Capitolo 14
Styliann sapeva che Tessaya doveva essere stato informato del suo arrivo, ma era disposto a pagare il prezzo e a correre il rischio. A dire il vero, l'ex Lord della Montagna non si aspettava di riuscire a convincere Riasu a lasciarlo passare, ma il Lord tribale era rimasto sconcertato dalla prova di forza dei Protettori, tanto che aveva inviato alcuni cavalieri al di là del passo per chiedere l'approvazione di Tessaya prima ancora che il sangue dei guerrieri morti si raffreddasse.
Per Styliann, il tutto era stato un'affascinante dimostrazione del timore suscitato da qualsiasi cosa fosse legata alla magia. Presi singolarmente gli occadi, perfino i Lord, erano deboli; ma c'erano alcune significative eccezioni. Tanto per cominciare, il comandante delle tribù che assediavano Julatsa; era senza dubbio un uomo forte, ma perfino lui pareva riluttante a scontrarsi col cuore della magia, frenato da una paura dell'ignoto che nessuna dimostrazione di forza avrebbe potuto scalfire. Generazioni di condizionamento si ponevano tra lui e la conquista di una Città College, impresa che non era mai stata realizzata prima.
Poi c'era Tessaya, un individuo completamente diverso. La sua fama lo precedeva, e Styliann era sicuro che non avesse neppure valutato l'idea di parlare col Lord della Montagna: lo concepiva morto o come ostaggio.
Lì stava l'azzardo. Styliann aveva scelto una rotta attraverso i monti, evitando di proseguire il viaggio sia col Corvo, per il quale provava sfiducia e ammirazione in egual misura, sia col brillante generale Darrick, un uomo che aveva la tempra dell'eroe. L'ex Lord della Montagna non aveva nessun desiderio di unirsi al tentativo di liberare Julatsa, e Gyernath era troppo lontana. Perdere il comando su Xetesk, anche temporaneamente, era un'onta che aveva la precedenza su ogni considerazione.
Per un po', in seguito al lancio del Ruba Aurora e alla notizia dell'usurpazione dell'incarico, Styliann si era sentito minato nella sua sicurezza: l'influenza sugli affari balaiani ormai sembrava in declino. Ma in breve tutto gli era apparso chiaro. Buona parte delle conoscenze nel campo della magia dimensionale si trovava fra le mura di Xetesk; in particolare c'era un testo, recuperato di recente dalle camere chiuse a chiave sotto la torre, che aveva una rilevanza diretta per la questione che il Corvo doveva affrontare. Styliann si disse che la sua influenza su Balaia sarebbe rimasta integra, ma solo se avesse potuto riconquistare in fretta la Montagna.
Perciò aveva scelto quella strada. Era la più diretta per Xetesk e gli avrebbe consentito di risparmiare parecchi giorni, ma presentava il più grande ostacolo: Tessaya. Anche il fatto che il Lord degli occadi lo aspettasse, però, non doveva risolversi necessariamente in uno svantaggio fatale. Dopotutto, Styliann era scortato dai Protettori e andava a trattare. Gli occadi avrebbero difficilmente ammassato gli eserciti. Anzi, avrebbero fatto l'esatto contrario, si disse, certo di avere capito qualcosa del modo di ragionare di Tessaya. Inoltre c'era per lui il vantaggio di sapere con esattezza quando sarebbe arrivato, lusso non concesso al Lord degli occadi.
Quando il sole raggiunse lo zenit, Styliann, i suoi Protettori e una scorta di quaranta occadi entrarono nel passo Understone. L'ex Lord della Montagna era l'unico a cavallo. Tra gli occadi c'erano guide e una guardia d'onore, così aveva detto Riasu, e in quel momento Styliann aveva faticato a non ridere. Il Lord tribale credeva davvero che quaranta guerrieri avrebbero potuto fronteggiare novanta delle macchine da combattimento più potenti di Balaia?
Styliann sbadigliò e guardò dietro di sé: altri venti occadi marciavano lungo il passo e, mentre si muovevano, la luce delle lanterne ornava di ombre complicate le scure pareti di ardesia. Sulle loro teste, una fessura naturale penetrava fin nel cuore dei monti Blackthorne. Più in là il tetto di roccia si abbassava all'improvviso, raggiungendo un'altezza di poco più di quattro passi, e su un lato la pista precipitava in un baratro che pareva sprofondare negli abissi dell'inferno.
L'aria era umida e fredda; acqua gocciolava da qualche vecchio accumulo di pioggia o da qualche affluente sotterraneo. Il rumore di piedi e di zoccoli associato allo sbattere dei foderi sulle cosce echeggiava sempre più forte contro le pareti via via che il gruppo si avvicinava. Nessuno aveva quasi proferito parola, di certo non Styliann, e la spacconeria degli occadi aveva ben presto lasciato il posto a un bisbigliare inquieto e infine a un silenzio carico di ansia. Il passo Understone faceva quell'effetto. La potenza che si aveva sopra la testa e l'oppressione ai lati privava della sicurezza, induceva a curvare le spalle e ad affrettare il passo.
La colonna procedeva spedita. Gli alloggi costruiti all'estremità occidentale del valico erano molto indietro e nessuno, a est o a ovest, poteva udirli.
Styliann sorrise. Era il momento. Non aveva bisogno di guide, di lanterne o di guardie. Sarebbe stato meglio per gli occadi se fossero rimasti a ovest; almeno sarebbero vissuti un po' di più.
Il mago valutò le opzioni e decise di non intaccare nemmeno leggermente le riserve di mana. Sarebbe stato un uso inutile. Nessuno degli occadi aveva un arco, negligenza di cui non avrebbero fatto in tempo a pentirsi. Styliann si protese sulla sella e avvicinò la bocca all'orecchio di Cil, che marciava al centro del cordone difensivo. «Sterminateli», sussurrò.
La testa di Cil si mosse di un soffio in segno d'assenso. Senza modificare il passo, riferì l'ordine ai fratelli.
Styliann sorrise di nuovo, mentre una fugace tensione pervase l'aria prima che gli occadi venissero sopraffatti in una battaglia che finì pochi istanti dopo essere cominciata.
La fila anteriore dei Protettori, costituita da otto elementi, conficcò le asce nelle schiene e nei colli degli occadi ignari che li precedevano. Dietro, trenta Protettori si voltarono con le asce in mano e le abbassarono sulla retroguardia colta di sorpresa.
La cacofonia di urla che riempì l'aria era composta da grida di morte, non di guerra. I Protettori si lanciarono contro gli occadi sollevando le asce, abbassandole e menando fendenti, mentre il sangue imbrattava il passo. I tonfi nauseanti del metallo che colpiva la carne risuonarono forti nelle orecchie di Styliann.
La sorpresa dell'assalto privò gli occadi di ogni lucidità. Qualcuno riuscì ad affrontare gli aggressori, ma fu abbattuto dalla precisione e dalla forza dei Protettori, che a ogni colpo centravano il bersaglio e non emettevano mai un suono da dietro le maschere.
Nella retroguardia ci fu una timida resistenza. Per pochi istanti le scintille sprigionate dalle lame illuminarono il passaggio, aggiungendo un bagliore tremolante alla scena da incubo creata dalle lanterne. Il clangore dell'acciaio che sbatteva contro l'acciaio risuonò nello spazio chiuso. I Protettori aumentarono semplicemente il passo e la ferocia dell'attacco; si preparavano a colpire quasi prima ancora di avere terminato di assestare un fendente, e costrinsero gli occadi a una disperata e inutile difesa.
Col sangue che rendeva scivoloso il terreno, coi corpi smembrati e orrendamente sfregiati dei loro compagni sparsi qua e là, con le maschere impassibili di quella forza spaventosa che li sovrastavano, i pochi occadi superstiti si girarono e fuggirono via urlando avvertimenti che nessuno avrebbe sentito.
«Uccideteli tutti», ordinò Styliann.
Alcuni Protettori si fecero strada attraverso quel massacro e rincorsero i fuggitivi. I loro passi suonarono come un richiamo di morte imminente per le sventurate prede.
Sparite le lanterne in mano agli occadi in fuga, o fracassate sotto i piedi, Styliann creò una Sfera di Luce e inarcò le sopracciglia vedendo il massacro che aveva ordinato. «Ottimo», disse. «Qualcuno è ferito?»
«Due hanno tagli lievi, mio signore», rispose Cil. «Nient'altro.»
«Ottimo», ripeté lo xeteskiano, annuendo. «Buttate i corpi oltre il ciglio. Continuerò a cavalcare e tu mi seguirai.»
Di nuovo, Cil fece un cenno quasi impercettibile col capo. Subito i Protettori si chinarono per rimuovere i corpi dal passaggio e gettarli nel baratro.
Styliann spronò il cavallo, con Cil e altri cinque a fianco, tre per lato. Pochi passi più in là si fermò e scese, si scrollò i vestiti e si sedette appoggiando la schiena alla parete settentrionale del passo, mentre la Sfera di Luce illuminava la roccia rozzamente tagliata.
Poche cose colpivano Styliann, ma il passo Understone era certamente una di quelle. Rappresentava la combinazione di uno straordinario sforzo d'ingegneria umana e naturale. Costruito per gli spostamenti commerciali e militari, si era rivelato un'opera fondamentale per Balaia.
Il mago si grattò una guancia, poi alzò le spalle. Tante cose concepite per il bene si trasformano in male. «Adesso aspettiamo», disse a Cil. «O almeno lo farete voi. Io ho un lavoro da sbrigare.» Chiuse gli occhi. «Ho bisogno dei vostri compagni d'anima.»
Nella luce delicata del tardo pomeriggio, Tessaya fece due passi intorno ai confini di Understone, mentre un pensiero cominciava a tormentarlo. Era stata una giornata di contrasti estremi. Il messaggio portato dall'uccello gli aveva guastato l'umore, ma non i piani. I veloci cavalieri di Riasu avevano recato una notizia inaspettata e sorprendente, che poteva rivelarsi cruciale. Avere in pugno il Lord della Montagna era un obiettivo degno dello sforzo necessario a contenerne il potere. I terribili guerrieri che lo circondavano non erano un problema; se gli occadi fossero riusciti a isolare il mago, i Protettori sarebbero stati annientati. Non c'era nessun elemento di scambio più importante di Styliann, e il mago si era offerto di aiutare gli occadi per riuscire a rientrare velocemente a Xetesk.
Tessaya era più che contento di promettere tutto, per poi non dare niente, soprattutto a un mago. Però c'era qualcosa che non quadrava. All'inizio, l'euforia per l'ingenuità di Styliann e l'apparente sicurezza eccessiva del mago avevano indotto Tessaya a rimandare subito indietro i cavalieri con l'invito scritto. Aveva accarezzato l'idea di andargli incontro con una forza schiacciante, ma non aveva nessun desiderio di sprecare le vite dei suoi uomini quando, con un po' di pazienza, avrebbe potuto raggiungere lo scopo senza versare una goccia di sangue.
Ma in quel momento, col giorno che moriva rapidamente, terminato da tempo il giro della palizzata rinforzata che Darrick aveva costruito, Tessaya era preoccupato. E un altro giro della cittadina non era servito ad alleviare l'ansia.
Styliann avrebbe dovuto già essere là. Gli uomini che Tessaya aveva mandato perché sostituissero la guardia di Riasu non erano tornati.
C'erano numerose ragioni che potevano spiegare il ritardo. Un cavallo che aveva perso uno zoccolo, la mancanza di organizzazione all'estremità occidentale, una pausa per riposare più lunga del previsto, la decisione delle guardie di proseguire oltre il passo anziché riferire, Styliann che creava difficoltà per le condizioni di marcia, Styliann che controllava affinché il patto che pensava di avere stretto con Tessaya fosse rispettato, Styliann che avanzava ulteriori pretese a tarda giornata. Styliann.
Tessaya smise di camminare e si sedette su una roccia rivolta a sud, verso Understone. Il sole al tramonto inondava di una splendida luce rossa la città, infiammando di rabbia la sottile copertura di nubi. Portato dal vento leggero, giunse da destra un rumore attutito di martelli e di seghe. La porta di uno degli alloggi usati come prigione si aprì e una fila di balaiani orientali dall'aria sconfitta si allontanò con passo pesante, fiancheggiata da guerrieri muniti di asce.
Mentre ascoltava il vento, Tessaya colse voci provenire da tutti gli angoli della città: conversazioni, ordini, discussioni. Nel giro di tre giorni la palizzata, che controllava già la pista principale da est a ovest, avrebbe circondato Understone. Poi avrebbero potuto iniziare a lavorare sulle difese del passo, fino a quel momento trascurate.
La cittadina si era allargata come olio sull'acqua in seguito all'occupazione degli occadi. Guardando al di là del basso avvallamento in cui sorgevano gli edifici originari, Tessaya notò le tende grigie che costellavano il dolce pendio orientato a sud e l'altopiano cui questo conduceva. Gli stendardi di una decina di tribù e di un centinaio di clan meno importanti si levavano fieri sopra i semicerchi di tende, ognuno intorno a una buca per il fuoco.
Tessaya aveva scelto di alloggiare nella locanda insieme coi consiglieri, tra cui Arnoan, che il Lord desiderava tenere strettamente d'occhio. Pochi dei suoi familiari si trovavano a Understone. I suoi figli combattevano con Senedai, a nord; i suoi fratelli erano morti per mano di maghi xeteskiani.
Accigliato, Tessaya si avviò a passo sostenuto verso l'estremità occidentale della città. «Mi serve un esploratore», disse a un luogotenente.
«Mio signore.» Il guerriero urlò un nome, e il suono echeggiò profondo contro gli edifici vicini. Da una squadra di uomini intenti a scavare buche per piantare una serie di pali si staccò un uomo. «Kessarin, mio signore.»
Il guerriero era giovane e aveva i tratti marcati, frutto di un'unione di sangue meno nobile.
«Sai correre?» gli chiese Tessaya.
«Sì, mio signore.» Kessarin annuì energicamente, mentre il forte desiderio di compiacere il comandante prevaleva sulla paura che nutriva di lui.
«Allora va' al passo. Prendi una lanterna schermata. Ho bisogno che trovi quegli idioti che ho inviato lì questo pomeriggio. Non entrare in contatto con nessuno. Al ritorno riferirai direttamente a me.»
«Sì, mio signore.» Kessarin s'inchinò, poi si allontanò.
Tessaya guardò verso le fauci nere del passo, che si confondevano nelle ombre sempre più fitte. Era restio a confrontarsi con Styliann e con la sua forza, ma le prime luci dell'alba gli avrebbero forzato la mano. Il pensiero che Kessarin potesse non tornare lo spaventò più del dovuto.
Circondato dalla guardia del corpo, Styliann si rilassò e formò la sagoma di mana per una comunione mentale che avrebbe profondamente adorato o maledetto per sempre. La sagoma blu, stretta e ritorta come una corda intrecciata, salì a spirale dalle rocce dei monti Blackthorne in cerca di una mente in particolare a Xetesk. Una mente che, seppur potente, sarebbe stata incapace di resistere alla pressione dell'incantesimo di Styliann.
La comunione mentale coprì la distanza in un istante, e un lieve sorriso comparve sulle labbra di Styliann mentre l'incantesimo passava sopra le menti a riposo di centinaia di maghi all'interno del College. Sembravano piccole onde in uno stagno altrimenti immobile, una mappa di menti che, con la debita cura, gli esperti e i sapienti potevano leggere.
L'ex Lord della Montagna frugò nei pensieri dei dormienti in cerca di qualcuno che fosse attivo, calpestando le onde mentali come pozzanghere. Non gli fu difficile trovarlo. Un uomo la cui ascesa al potere era stata dignitosamente rapida; aveva afferrato l'opportunità a due mani sull'onda di uno spettacolare successo conseguito con la magia, grazie all'assenza del legittimo Lord della Montagna.
Styliann ne ammirava il coraggio, ma fremeva per l'umiliazione subita ed era in collera per la debolezza della propria cerchia. Quando avesse ripreso la sua legittima posizione, quell'uomo avrebbe dovuto rispondere a parecchie domande.
La comunione mentale raggiunse il bersaglio, riportando il mago addormentato a un improvviso e sgradevole stato di veglia. La resistenza svanì quasi subito.
«Mi scuso per l'ora tarda, mio signore.» La voce mentale di Styliann era carica di astio.
«St-Styliann?»
«Sì, Dystran, sono io. E sono abbastanza vicino da spazzare via il tuo patetico scudo. Dovresti addestrarti di più nelle tecniche di difesa, potrebbe risultarti utile.» Styliann non era mai stato costretto ad accettare una comunione mentale contro la sua volontà.
«Dove siete?» Ormai Dystran era pienamente sveglio.
Styliann percepì l'ansia dell'altro. «Non c'è bisogno che blocchi le porte con una Chiusura Difensiva. Non ancora», osservò in tono di scherno.
«Cosa volete?»
«A parte ciò che è ovvio? Un po' di aiuto per far sì che il nostro inevitabile incontro sia più amichevole di quanto non lo sia il colloquio attuale.»
«Avete intenzione di tornare?»
«Xetesk è casa mia», affermò brusco Styliann, traendo conforto dalla consapevolezza che Dystran e i suoi avevano riflettuto poco sulle possibili conseguenze dell'usurpazione. Nel silenzio, avvertì i pensieri dell'altro turbinare. Era certo che Dystran si sentiva solo e debole senza l'appoggio dei consiglieri.
«Cosa volete?» ripeté il nuovo Lord della Montagna.
«Forze», rispose Styliann. «Molte forze. Lasceranno subito Xetesk e si dirigeranno a sud, verso Understone. Le incontrerò per strada.»
«Parlate dei Protettori?» Dystran era incredulo per la richiesta.
«Naturalmente», ribatté Styliann. «Chiamare l'esercito dei Protettori è un diritto del Lord della Montagna.»
«Ma voi non siete il Lord della Montagna», replicò Dystran. «Io lo sono.»
Styliann ridacchiò. Dopo il suo successo con la connessione dimensionale, Dystran era stato nominato «maestro»; ma l'imprudenza con cui si era impossessato del sommo potere non recava beneficio a nessuno, tranne che ai suoi consiglieri, che lo stavano senza dubbio usando come esca per sondare stato d'animo e opinioni della gente del College.
«Mi concederai l'esercito dei Protettori», affermò Styliann, in tono sicuro. «Forse allora, al mio ritorno, potremo sistemare in modo assennato le questioni della Montagna.»
«Se non ve lo concedo, forse non tornerete. Allora la situazione si sarà sistemata da sé.»
«Idiota.» Styliann inviò il pensiero come un aculeo e sentì la mente di Dystran arretrare. «Credi davvero che io abbia guidato Xetesk tanto a lungo solo per lasciare che un mago spuntato dal nulla come te prendesse il mio posto?» Prese un respiro profondo, per calmarsi. «Hai studiato i documenti che delimitano l'autorità del Lord della Montagna?»
«Quando ne ho avuto il tempio.»
«Le pressioni sono grandi, non è vero?»
Dystran si rilassò. «Sì. Spero che potremo discuterne in modo civile.»
«Immagino che tu abbia revocato l'atto dell'Affidamento e te lo sia attribuito.»
«L'atto dell'Affidamento? No, quel testo non mi è noto.»
Styliann provò un'ondata di gioia e di trionfo. «A quanto pare, non lo conoscono neanche i tuoi mediocri consiglieri. Ti assicuro però che tutti voi ne sentirete gli effetti.» Terminò bruscamente la comunione mentale, scuotendosi di dosso la momentanea sensazione di disorientamento.
Il fatto che Dystran non avesse revocato l'atto dell'Affidamento era un errore che non stupiva Styliann. Di solito non c'era un deposto Lord della Montagna in vita cui revocarlo, e la scoperta di quel potere avveniva senza fretta. Di solito.
Styliann sorrise e rivolse la mente al compito di convocare l'intero esercito dei Protettori, com'era ancora suo diritto.
Kessarin era fiero di sé. Aveva ricevuto un incarico segreto e importante, che si sarebbe concluso con un rapporto diretto a Tessaya. Entrò nel passo con olio sufficiente nella piccola lanterna per quattro ore; lo stoppino era stato accorciato e la chiusura bucata orizzontalmente in modo da lasciar filtrare solo una sottile fessura di luce e consentire un'adeguata ventilazione. Sfruttando la luce morente del sole che gli illuminava il cammino, Kessarin percorse rapido la prima parte del passo, in lieve discesa.
Le calzature di cuoio imbottite facevano poco rumore. La piccola ascia era ben legata alla cintura in modo da lasciare le mani libere per seguire l'andamento del passo, in alcune parti del quale Kessarin riusciva a orientarsi col tatto, come qualsiasi buon esploratore delle tribù Paleon. Il silenzio era essenziale.
L'uomo sorrise compiaciuto al pensiero della guardia mandata nel passo, cinque ore prima. Dubitava che avessero già raggiunto l'estremità occidentale. Si aspettava invece che, guidati dallo sgradevole Pelassar, fossero ancora distanti dal punto d'incontro stabilito, nonostante le istruzioni molto precise di Tessaya. Scegliendo Pelassar come comandante della guardia che avrebbe dato il cambio all'altra, Tessaya aveva commesso l'unico errore fino ad allora, si disse Kessarin. E lui sarebbe stato più che contento di riferire della condotta negligente di Pelassar e di vederlo preso a frustate o impiccato.
Là dove si attendeva di trovarlo coi suoi trenta uomini, non vide tracce di Pelassar. Pensava che avrebbe sentito il ticchettio dei dadi di osso sul terreno roccioso e le risate sguaiate echeggiare lungo il passo, che avrebbe visto il bagliore delle lanterne e delle torce che illuminavano inutilmente la strada per un centinaio di passi. Non aveva tuttavia avuto bisogno di rallentare o di nascondere la lanterna: a quanto pareva, Pelassar aveva proseguito il cammino. Kessarin inarcò le sopracciglia e lo imitò.
Percorse il valico in volata. Dopo un'ora, la prudenza lo indusse a optare per una camminata a passo svelto. La lanterna, rimasta schermata per tutto il tragitto, emanava solo una sottile striscia di luce proiettata sul terreno o sulle pareti laterali, mai di fronte.
Kessarin controllava il respiro, e le sue orecchie erano abituate a cogliere i più lievi rumori, ma tutto ciò che percepì fu il gocciolio dell'acqua da qualche parte, in lontananza. Continuò così per un'altra mezz'ora: silenzio assoluto, nessuna luce da nessuna parte e nessun segno di Pelassar e dei suoi uomini. Fu allora che avvertì l'odore del sangue: non era forte ma c'era, portato da un alito di vento che soffiava lungo il passo.
Si bloccò all'istante, chiuse del tutto la lanterna e rimase nel buio totale. Si premette contro la parete sinistra e rifletté. Quella era una zona che conosceva poco. Ascoltò con attenzione. Ancora nessun rumore di Pelassar e dei suoi, nessuna eco di passi contro le pareti rocciose, nessuno spostamento di aria, indicativo di un incontro imminente, e nessuna luce che cercasse di scacciare le tenebre. Solo quel vago odore di sangue.
Kessarin era una persona calma per natura, ma il silenzio e il buio lo stavano sopraffacendo. Rumori che sapeva non potevano esistere gli sussurravano all'orecchio: il grido di un bambino, il muggito di una mucca, tutti lontani. Erano gli scherzi che facevano le montagne, su in alto.
Scosse la testa e si sforzò di concentrarsi. Doveva scegliere: tornare, riferendo del silenzio e del sentore di sangue nell'aria, oppure proseguire pur sapendo che Tessaya si sarebbe spazientito e scoprire se i suoi timori fossero giustificati. In realtà, la scelta era obbligata. Per entrare nelle grazie del Lord, doveva proseguire e sperare che la rabbia di Tessaya si placasse quando avesse ascoltato il rapporto.
Kessarin guardò di nuovo nell'oscurità. Lì, nel cuore del passo, la luce naturale non sarebbe mai arrivata. Non si riusciva nemmeno a vedere la parete tenendo il naso a contatto con essa. Lì, anche la più sottile striscia di luce avrebbe scacciato le tenebre come un fuoco di segnalazione. Più in là, poteva esserne certo, non c'era nessuno.
Riaprì la lanterna, consapevole che la poca aria all'interno del vetro si sarebbe presto esaurita senza un ricambio. Il rumore risuonò forte nel silenzio, simile a una porta di ferro arrugginita che venisse aperta. Kessarin si concesse un sorriso.
Con la mano sinistra contro la parete avanzò con cautela, tenendo la luce verso il basso e a destra, illuminando un tratto del valico in lieve pendenza. Un paio di passi più in là mise il piede in una chiazza appiccicosa. Sangue.
All'improvviso emersero dal buio. La pallida luce illuminò quelle maschere da incubo. Uno dei Protettori afferrò Kessarin per il collo con velocità sorprendente.
L'esploratore lasciò andare la lanterna, che si fracassò sul suolo di pietra. Cercò di parlare, ma non gli uscì suono, agitò futilmente le braccia e sgranò gli occhi davanti alla marea di facce inespressive che si spostarono per lasciar passare un uomo alto dai capelli neri, alle cui spalle fluttuava una sfera lucente.
«Molto bene», disse Styliann. «Ci avevi quasi ingannato. Sei solo?»
Terrorizzato, Kessarin riuscì ad annuire.
«Come pensavo.» Styliann girò la testa. «Fuori è buio, vero?»
Kessarin annuì di nuovo.
«Bene. Cil, abbiamo un lavoro da fare.»
La mano intorno alla gola di Kessarin si strinse, e tutti i sogni di gloria dell'esploratore svanirono nel buio da cui non sarebbe mai tornato.
L'unico interrogativo che restava era l'accoglienza a Understone, ma l'esploratore catturato eliminava parte delle incertezze. Styliann stimò che Tessaya ne avrebbe atteso il rapporto prima di decidere fino a che punto armare le sue difese; in quella fase non aveva ancora un vero motivo per credere che la mancata comparsa del Lord della Montagna fosse dovuta a ragioni diverse da un irritante ritardo.
Styliann e i suoi Protettori si mossero rapidi con la Sfera di Luce. In meno di due ore si stavano già avvicinando all'estremità orientale del passo. Il mago si fermò a circa quattrocento passi dall'accesso, in un punto nascosto da una serie di affioramenti rocciosi e curve ampie, assegnò la Sfera di Luce a Cil, smontò da cavallo ed effettuò un Occulta Cammino per sé. Avrebbe potuto scegliere un Protettore come obiettivo dell'incantesimo, ma l'Occulta Cammino era molto più difficile da conservare di una Sfera di Luce o delle Ali d'Ombra.
«Restate qui», ordinò. «Non mi vedranno.» Scomparve alla vista e procedette, tenendo la mano sulla parete sinistra mentre un vago chiarore intaccava il buio totale. Camminò svelto, adattando gli occhi alla luce via via più forte che filtrava dal passaggio. Secondo i suoi calcoli, mancavano circa quattro ore all'alba; rispetto all'oscurità del passo, il cielo era luminoso. Lì dentro era freddo e umido e Styliann era contento di avere il suo mantello.
All'ingresso del passo non c'erano segni di uno schieramento di forze, ma un gruppetto di una decina di guerrieri era seduto intorno a un fuoco, poco più in là. Styliann li compatì; la tempesta xeteskiana li avrebbe consegnati alla morte prima ancora che si accorgessero del suo arrivo.
Il mago continuò ad avanzare lentamente e giunse a una decina di passi dai guerrieri; si accovacciò dietro una frana causata dall'incantesimo che i suoi maghi, organizzati da Dystran, avevano lanciato per massacrare tanti occadi. L'odore di morte avrebbe aleggiato per sempre nel valico.
Nessuna delle sentinelle era rivolta verso il passo, cosa che Styliann trovò un po' strana: evidentemente l'eccessiva sicurezza portava all'imprudenza, pensò. Il suo sguardo si posò su Understone. Le difese erano state notevolmente rinforzate, e in otto punti si vedevano delle torri di guardia. La vista era in Parte oscurata dal pendio che arrivava alla base delle porte che Tessaya aveva costruito, ma dal bagliore di altri fuochi Styliann capì che all'esterno della città c'erano altre sentinelle.
Understone era tranquilla. Gli occadi dormivano, mentre il cielo sopra di loro era terso e l'aria immobile e fredda.
Non avrebbe avuto occasione migliore; sempre protetto dalla magia, Styliann sgattaiolò via per riunirsi ai Protettori.
Tessaya si aggirava nervoso per le strade silenziose. Kessarin era tra gli esploratori migliori, glielo avevano garantito; avrebbe trovato la guardia e fatto rapporto, ma se avesse dovuto percorrere l'intero passo non sarebbe tornato fino alle prime ore del mattino, poco prima dell'alba.
La situazione tuttavia era strana. Come poteva esserci stato un ritardo tale da far sì che Styliann non fosse ancora giunto? E, in quel caso, perché lui non era stato avvertito? Per una volta, Tessaya si ritrovò lacerato dal dubbio. L'istinto gli urlava di svegliare ogni guerriero e di annientare quel maledetto mago nel momento stesso in cui fosse apparso a est. Ma la sua mente strategica lo supplicava di agire con calma e con pazienza, di aspettare l'arrivo di Styliann e di salutarlo a braccia aperte.
Il Lord delle tribù Paleon guardò il cielo in cerca d'ispirazione, ma non ne trovò. L'aria era immobile, silenziosa e fredda. Si era fermato vicino alla locanda, ma represse l'impulso di chiedere consiglio ad Arnoan. E poi sapeva cosa avrebbe detto il vecchio sciamano. Portami il mago. Lascia che operi la mia magia su di lui. Ma Arnoan non possedeva la magia: solo cantilene e pozioni. Styliann avrebbe potuto distruggerlo con un semplice gesto della mano.
Che fare? Tessaya tornò nella strada principale fino alle porte della città e salì sulla torre che le controllava. Due sentinelle chinarono il capo quando apparve.
«Continuate la guardia», ordinò.
Gli uomini si girarono di nuovo per scrutare il buio vuoto del valico, illuminato a destra dal fuoco della sentinella.
«Nessun segno?»
«No, mio signore. Non abbiamo visto niente laggiù, e i sentieri a nord e a sud sono entrambi sgombri.»
«Che diavolo è successo?» sbottò Tessaya. La sentinella azzardò una risposta. «È un mago, mio signore. Non c'è da fidarsi.»
Tessaya fece per rimproverarlo per la risposta non richiesta, ma si ritrovò totalmente d'accordo. Anziché sbraitare, annuì. «Sì. Perché stupirmi? Mi fa piacere che capiate chi stiamo aspettando. Siate molto vigili. Non posso lasciare che quell'uomo se ne vada in giro liberamente.»
All'improvviso l'ingresso del passo sparì, travolto da un'improvvisa ondata di violenza.
I Protettori mascherati avanzarono nella notte, massacrando i guerrieri intorno al fuoco, che non li avevano visti arrivare. Le grida di allarme furono stroncate con estrema rapidità. I Protettori proseguirono senza rallentare; in mezzo a loro, un uomo a cavallo procedeva al piccolo galoppo. Non c'era confusione, non c'era sforzo né incertezza; solo una terribile efficienza. Nessuno alzò gli occhi su Understone mentre l'intero gruppo piegava a nord e risaliva la pista. Gli sguardi stupefatti delle sentinelle sulle torri di guardia lo seguirono mentre si allontanava rapido.
Tessaya imprecò e sbatté i pugni con tanta forza sul parapetto della torre da spezzare un'asse. «Svegliate le tribù!» urlò. «Voglio ogni uomo giù dalla branda. Voglio che la città sia svuotata, subito! Voglio che quei bastardi siano presi e massacrati. Muovetevi!»
Le campane di allarme risuonarono per tutta Understone.
Tessaya seguì con lo sguardo il cavaliere, certo che fosse Styliann, ormai libero di dirigersi verso Xetesk coi suoi guerrieri mascherati. Fu pervaso da un senso di gelo. Là c'era Styliann, ma dov'era Darrick? E dov'era il Corvo? Scacciò quel pensiero dalla mente, sapendo che vi sarebbe tornato una volta placata la furia. Per il momento, aveva solo un bersaglio in testa. «Per gli spiriti dei morti Paleon, berrò il tuo sangue, Styliann di Xetesk!»
Mentre il clamore dell'esercito che si svegliava gli invadeva le orecchie, il comandante degli occadi pensò di udire una risata echeggiare dai monti nell'immobile aria notturna.
Per tre terribili giorni, il Consiglio dei maghi di Julatsa compì il tremendo pellegrinaggio fino alla porta settentrionale per vedere Senedai uccidere degli innocenti, sacrificati sull'altare del Manto Demoniaco. Il primo giorno ne erano morti altri cento, cinquanta a mezzogiorno, cinquanta al crepuscolo. Il secondo giorno erano andati incontro alla morte in trecento, molti dei quali con la stessa espressione fiera del vecchio mago, ma sempre più con riluttanza e sibilando parole di collera verso i maghi che li guardavano morire senza fare niente per difenderli.
Il terzo giorno la tensione si era diffusa all'interno delle mura del College. Dopo il sacrificio di centocinquanta donne a mezzogiorno, il Consiglio si ritrovò di fronte una folla infuriata, tenuta a bada da Kard e da una fila di guardie; alcuni maghi erano pronti a lanciare Coni di Forza per disperdere l'assembramento.
La folla era capeggiata dal soldato che Kard aveva rimproverato durante il primo sacrificio. Il generale era riuscito a tacitare le proteste, ma il silenzio aveva un'aura minacciosa. Tutti gli occhi erano puntati sul Consiglio.
Kerela annuì. «Dovevamo aspettarcelo.»
«Penso che non sia il momento di parlare con loro», osservò Seldane.
«Non ci sarà mai un momento giusto», replicò Kerela. «Anche se speravo che le parole di Kard avessero un effetto più durevole.»
«Suppongo che quanti le hanno ascoltate stiano pregando anziché protestando», affermò Barras. «Non convinceremo mai tutti.»
«Cosa sperano di ottenere?» chiese Endorr, il membro più giovane del Consiglio.
«Be', andiamo a chiederglielo.» Kerela fece strada giù per le scale all'interno del corpo di guardia.
Quando i maghi spuntarono nel cortile, un mormorio si diffuse tra la folla. Kerela avanzò a grandi passi nello spiazzo e con un gesto indicò a Kard e ai suoi soldati di scostarsi; Barras era alla sua sinistra, il resto del Consiglio qualche passo più indietro. Guardò seria i volti dei cittadini infuriati e spaventati, i cui amici morivano sempre più numerosi fuori dalle mura.
Barras decise di lasciar parlare per prima la maga anche se molti stavano fissando proprio lui, il capo negoziatore, in cerca di conforto, di una soluzione.
«È il momento più duro della nostra vita», affermò Kerela, e il bisbiglio cessò all'istante. «La nostra gente sta morendo numerosa, costretta a entrare nel Manto Demoniaco da una banda di assassini che si prefigge di distruggere questo College. Rimuovere il Manto ora metterebbe in pericolo la vita di ogni julatsano.»
«Ma, se il Manto sparisce, le uccisioni cesseranno», disse una voce dalla ressa. Altre si unirono per sostenerla.
«Davvero?» replicò Kerela. «Perché pensate che gli occadi stiano uccidendo i più giovani, i più vecchi e le donne che ritengono abbiano superato l'età fertile? Sono un esercito conquistatore. Chi non può essere immediatamente utilizzato non è che una bocca in più da sfamare e un nemico in più da controllare. Forse venderanno i bambini come schiavi al di là dell'oceano Meridionale, ma gli altri? Sono solo un peso. E in questo momento gli occadi non possono permettere che niente e nessuno li rallenti. Vi sto guardando: uno su tre di voi morirà, se il Manto verrà rimosso prima che siamo pronti ad agire. Chiunque non creda quanto selettive siano le uccisioni può venire a vedere sulla porta settentrionale, al crepuscolo.»
«Non possiamo stare qui a guardare i corpi che si ammucchiano», disse il portavoce delle persone che avevano trovato rifugio nel College, un uomo dai capelli castani, chiamato Lorron. «Questo lo capite.»
«Certo. E sono stupita dal fatto che non sappiate niente dei piani che stiamo preparando. Siete qui con un membro della guardia cittadina, cui il generale Kard fornirà più tardi ulteriori istruzioni, eppure vi ha chiaramente detto poco o nulla.» Kerela fissò il soldato, la cui aria di sfida cominciò a farsi esitante sotto l'intensità dello sguardo dell'anziana elfa. «Mi auguro che non abbia soltanto fomentato guai.»
«Vi spiegherò qual è il nostro problema», replicò il soldato.
Barras sentì Kard irrigidirsi e poté solo immaginare l'espressione del suo volto.
«Sembra che facciate qualsiasi cosa per garantire la sicurezza del College, anche se ciò significa far morire tutti i prigionieri là fuori», disse il soldato.
«Sì, ma vedo che sei riuscito a trovare riparo qui. La tua sistemazione non ti aggrada più?» La punta delle orecchie di Kerela stava diventando rossa. «Cosa vorresti facessimo?» domandò il Sommo mago, con voce spaventosamente calma. Barras sapeva che di lì a poco sarebbe esplosa. «Vorrei che combatteste!» rispose il soldato. «Per gli dei della terra, che altro?»
Un mormorio d'assenso si levò tutt'intorno a lui.
Kerela annuì. «Capisco. E pensi che trionferemmo nonostante la situazione avversa, vero?»
«Possiamo tentare», disse Lorron. «Abbiamo la magia.»
«E verrà usata al momento giusto!» tuonò Kerela, facendo trasalire la folla. «Credete che io voglia rimanere a guardare mentre i julatsani innocenti muoiono? Lo credete davvero? Purtroppo però devo farlo. Più di metà dei miei maghi è incapace di lanciare incantesimi, perché sono stati feriti o hanno subito danni mentali mentre si assicuravano che voi qui rimaneste vivi e al sicuro. Il generale Kard ha elaborato piani per un attacco, ma i giacigli sono ancora pieni di uomini feriti. Volete che li lasci morire? Sono per qualche ragione meno importanti di quelli là fuori?
«Dordover ha inviato soldati, e probabilmente maghi, in nostra difesa. Non è giusto aspettarli? E dovremmo forse provare i nostri piani qui nel cortile, sotto gli occhi di quella maledetta torre, svelando così le nostre intenzioni?» Kerela indicò la torre degli occadi che, presidiata giorno e notte, veniva anche in quel momento collocata in una nuova posizione, forse per seguire meglio la disputa in corso. «Il massacro all'esterno della porta settentrionale mi lacera l'anima, ma mi fa più male l'idea che uno qualunque di voi creda che mi compiaccia della mia carica.» La maga abbassò di nuovo la voce. «Siamo pochi contro molti e l'attacco dovrà verificarsi alle nostre condizioni, al momento giusto, altrimenti verremo massacrati. Capisco la vostra impazienza, ma solo in questo modo potremo salvare più vite. Non dovrebbe essere questo il nostro obiettivo?»
«E il College?» domandò il soldato.
«È la mano che ci dà da mangiare e la forza che ci sostiene. Ne difenderemo l'integrità con tutto ciò che abbiamo. Non ho intenzione di mentirvi. Qualsiasi attacco sferreremo nel tentativo di rompere l'assedio non dovrà lasciare il College alla mercé degli occadi.» Kerela tacque in attesa di una replica. Poi aggiunse: «Nessun julatsano morirà invano. Nessuna vita sarà sprecata mentre io sarò Sommo mago. Qualcuno vuol dire qualcos'altro?»
Le persone nella folla si guardarono. Varie teste si abbassarono.
«Bene.» Kerela annuì. «Un'ultima cosa prima che andiate. Sono il Sommo mago e questo College è sotto il diretto controllo mio, del Consiglio e, dato che siamo assediati, del generale Kard. Chiunque ritiene che non sia una situazione accettabile può provare a superare il Manto con la mia benedizione. Sono stata chiara?»
Alcuni annuirono, altri no. La maggior parte delle persone scoprì un improvviso interesse per le proprie scarpe.
Kerela si allontanò verso la torre, seguita dai maghi del Consiglio.
Alle loro spalle, la voce di Kard risuonò chiara. «Allontanatevi. Ritornate alle vostre attività. Tu no. Vieni qui, soldato. Vieni qui!»
Thraun era a poppa della barca a vela e ringhiava agli occadi ammassati sulla riva; intralciava il movimento della barra del timone e Denser ebbe qualche difficoltà a mantenere la rotta. Nessuno li stava inseguendo. Le fiamme del campo devastato illuminavano il cielo, gettando ombre sull'acqua, che sembravano giocare con le increspature create dal vento. Le nubi si erano accumulate fin quasi a occultare il chiarore acquoso della luna.
Hirad appoggiò la schiena a una murata e si tolse gli stivali, svuotando l'acqua fuori bordo. Era stanco. Sei giorni di cavalcata e di camminata difficili, seguiti da un combattimento fuori programma. Era seduto dalla parte opposta a Thraun e guardava la barca: la vela era gonfia ma non tesa e li stava conducendo attraverso il golfo di Triverne. Il Guerriero Ignoto si stava strizzando le calze. Sulla prua coperta, Erienne e Will sedevano davanti all'albero; Ilkar, con le mani strette sul bordo dello scafo, si trovava proprio accanto a Hirad e fissava intensamente l'interno dell'imbarcazione.
Ce l'avevano fatta, ma non era stato facile. Per loro fortuna, il piano di riserva aveva funzionato bene.
Tuttavia Hirad non era contento. «Cos'è successo, Ilkar?»
«Quella sentinella maldestra», replicò l'elfo, sfoderando un sorriso. «Credo che volesse cercare di togliersi il pugnale di Denser dalla gola e invece ha fatto suonare la campana.»
«Abbiamo dovuto attaccare prima di raggiungere la piattaforma», spiegò Denser, dando la risposta che Hirad cercava. «Ilkar non poteva scendere perché avrebbe perso l'Occulta Cammino e mi sarebbe venuto addosso, perciò, con la sentinella che bloccava l'ingresso, non abbiamo avuto altra scelta.»
«Ma le uccisioni non sono state pulite», osservò il barbaro.
«Siamo maghi, non macellai», ribatté Ilkar. «Non avevo mai fatto niente del genere, prima.»
«Dovrò mostrarvi i migliori colpi per uccidere in maniera pulita», disse Hirad. «Vi sarebbero stati utili.»
«Quando saremo sulla terraferma, sarò lieto di sottopormi all'addestramento», replicò Ilkar. «Ma in questo momento sto cercando disperatamente di non stare male.»
Hirad scoppiò a ridere. «Te la caverai.»
La barca beccheggiava appena, solcando le acque, ma sul volto dell'elfo era comparso un insolito pallore.
«Guarda l'orizzonte», consigliò il Guerriero Ignoto. «Si muove meno dell'interno della barca. Ti darà un certo senso di stabilità.»
Ilkar annuì e spostò a fatica lo sguardo all'esterno, sull'acqua, in direzione della riva orientale, là dove il mare incontrava il cielo.
Evidentemente soddisfatto da quanto aveva visto a terra, Thraun si girò e urtò la barra del timone, facendo perdere brevemente la presa a Denser. Poi attraversò lentamente la barca, fermandosi a osservare ogni membro del corvo. Hirad incrociò il suo sguardo, notando le screziature gialle negli occhi ma non l'umanità repressa che Will aveva assicurato esservi racchiusa. Però in quello sguardo c'era un'intelligenza che non aveva niente a che fare con la natura animale e, fatto curioso, Hirad non si sentì minacciato, sebbene fosse a un balzo dalla morte.
Il lupo balzò sul ponte di prua e s'infilò tra Erienne e Will, che allungò la mano e lo accarezzò sulla schiena. Thraun girò la testa e cominciò a leccare la faccia del ladro.
«Com'è affettuoso!» esclamò Hirad.
«Mi chiedo se s'imbarazzerà quando lo saprà, una volta ritrasformato», mormorò Denser, in preda a uno stato d'animo che contrastava col comportamento degli ultimi giorni.
«Quanto durerà il viaggio?» domandò Ilkar.
«Metà notte, forse un po' di più», rispose l'Ignoto.
«Per gli dei», borbottò l'elfo, stringendo ulteriormente la presa.
Hirad gli mise una mano sulla spalla e gli diede qualche colpetto d'incoraggiamento.
A prua, Will si asciugò il viso cercando il più possibile di tenere la saliva del lupo lontana dalle labbra. Poi afferrò il muso di Thraun con una mano e glielo scosse. «Devi proprio?»
Il lupo si leccò le labbra e ricambiò lo sguardo. Aveva un'espressione triste.
La perplessità di Will si trasformò in preoccupazione. «Che c'è, Thraun? Cose c'è che non va?» Quando il lupo abbassò lo sguardo sul ponte, Will aggiunse: «Puoi trasformarti qui. Non devi aspettare che approdiamo. Ricorda».
Era la parola che risvegliava la dimensione umana insita in profondità nel corpo del lupo. O che avrebbe dovuto farlo. Thraun si limitò ad accucciarsi e ad appoggiare la testa sulle zampe anteriori puntandola verso l'acqua. Will lanciò un'occhiata a Erienne.
Anche il volto della maga era segnato dalla preoccupazione. «Si riprenderà», disse in tono poco convincente. «Si trasformerà quando sbarcheremo.»
«Lo hai visto, l'ultima volta.», replicò Will. «Si è trasformato nel momento stesso in cui ci siamo allontanati da Dordover. Non poteva aspettare. Più resta così, più difficile gli risulta ricordarsi che può farlo.» Accarezzò di nuovo Thraun, premendogli la mano con forza contro la colonna vertebrale.
Il lupo dimenò languidamente la coda, proprio come un cane rilassato ai piedi del padrone.
Will scosse il capo. Thraun si ritrasformava sempre in fretta; odiava la forma animale, diceva che ne aveva paura. Ma forse in quel momento il movimento della barca lo turbava, pensò il ladro.
Eppure Thraun sembrava a suo agio. A suo agio. Era una condizione che Will non aveva mai visto nel lupo, e aveva visto l'amico trasformarsi almeno una decina di volte in tutti gli anni della loro conoscenza.
«Thraun, dai, guardami.»
Il lupo batté le palpebre.
«Ricorda. Ti prego.»
Thraun alzò leggermente la testa e prese ad annusare l'aria. Emise un ringhio profondo, di gola, e tornò a scrutare l'acqua davanti a sé.
Will si voltò verso il Corvo, e vide che tutti lo stavano fissando. «Questa barca non può andare più veloce? Credo che abbiamo un problema.»