Capitolo 18

Thraun lo sentì per primo, mentre Hirad se ne sarebbe accorto solo dopo. Denser era ancora in comunione mentale: aveva il volto tutto aggrottato e muoveva le labbra senza emettere suono mentre Erienne gli accarezzava i capelli.

Per il resto del Corvo non c'era niente d'insolito, però il lupo sollevò la testa e cominciò a guaire. Scosse il muso possente, si alzò annusando l'aria e rizzò il pelo sul collo. Le zampe anteriori gli tremavano leggermente. Indietreggiò dal fornello, ignorando la voce e la mano di Will che cercavano di calmarlo, guardò a sinistra al di là del fiume e a destra nei cespugli che celavano il Corvo da sguardi indesiderati. Il lamento scaturito dal profondo della sua gola continuò, poi cessò all'improvviso. Thraun fissò Hirad negli occhi e il barbaro sarebbe scoppiato a ridere, pronto a giurare che il lupo si fosse accigliato, se una fitta di dolore non gli avesse trapassato il cranio.

Hirad gridò stringendosi la testa tra le mani e cercò di alzarsi, ma cadde prima seduto, poi prono. Prese a sbattere le gambe, e i muscoli facciali gli deformarono orribilmente l'espressione. Udì in modo vago la voce di Ilkar e sentì mani che lo afferravano per bloccargli il corpo, che si sollevava e tremava.

Non era paragonabile a niente di quanto avesse provato prima. Era come se all'interno della testa il cervello gli venisse schiacciato da magli appuntiti e nello stesso tempo strizzato da una mano mostruosa fino a essere ridotto alle dimensioni di una mela. Vide lampi di luce rossa e gialla davanti agli occhi, anche se il resto del mondo era buio, e nelle orecchie udì il battito di un migliaio di ali che s'infrangevano contro i timpani.

Sanguino dal naso, pensò in uno strano momento di totale lucidità.

L'agonia aveva una voce. Hirad non capiva se fosse un'altra illusione dovuta al dolore. Gli giunse portata da un uragano di mormorii, scivolò nella sua mente stordita e lo agguantò.

Il barbaro voleva aprire gli occhi, ma non poteva. Anche i suoi arti erano immobili, di piombo. Sto morendo, pensò.

«No, Hirad Coldheart, non stai morendo.» Era una voce che il barbaro conosceva bene e, sebbene arrivasse dai suoi incubi, gli arrecò uno strano conforto. «Mi dispiace per l'inevitabile fastidio. Il primo contatto da una tale distanza è difficile, ma in seguito andrà meglio. T'insegnerò.»

«Sha-Kaan?» Hirad si rendeva conto di stare muovendo le labbra. Il turbine di pensieri che gli vorticava in testa trovò un punto focale. Il barbaro riuscì a comunicare mentalmente.

«Ottimo. Non ci sono danni alla tua mente.»

«Non è esattamente un 'fastidio' quello che hai appena causato.» Sha-Kaan ridacchiò e una dolce sensazione accarezzò la mente sofferente del barbaro. «Hai la stessa sfrontatezza di Septern. E un peccato che tu non sia un mago.»

«Perché?»

«Perché renderebbe il nostro legame ancora più potente e completo.»

«Quale legame?» Hirad percepì una vaga apprensione. Non si era chiesto perché Sha-Kaan avesse deciso di contattarlo. Non aveva nemmeno mai concepito quella possibilità, a meno che il drago non si trovasse su Balaia. Il fatto che gli parlasse da una grande distanza era motivo di preoccupazione.

«C'è una cosa che devo chiederti di fare e che aiuterà la mia stirpe a sopravvivere. Dalla morte di Seran al castello di Taranspike non ho più un dragonene. Tu sei l'unico umano con la forza mentale sufficiente per rispondere alle mie chiamate. Potrei avere bisogno di te prima che tu venga nel mio regno.»

Hirad era sbigottito. Si sentì anche immensamente onorato ma, cosa strana, non capì perché. Sapeva ben poco dei dragonene, solo che erano maghi. «Ma cosa posso fare? Non so lanciare incantesimi. Perché scegli me?»

«Ci sono altri nel Corvo che possono incanalare le energie dello spazio interdimensionale per prendersi cura delle mie ferite e delle mie lesioni. Ma la tua è una mente che ai miei occhi è viva come mai lo saranno quelle dei tuoi amici. Anche se io fossi gravemente ferito, riuscirei a individuarti e a trovare riparo. Ti chiedo di acconsentire. T'insegnerò quello che serve.»

«Io potrò chiamarti?»

«In caso di bisogno sì, ma non posso prometterti di rispondere subito né di darti l'aiuto che desideri, anche se da te non mi aspetto niente di meno.»

«Ma se mi trovassi nel bel mezzo di una battaglia?» Hirad immaginò il dolore piombargli addosso nel centro della mischia, insieme con l'ascia di un nemico. Non poteva permetterselo. Il Corvo era troppo importante.

«Se la tua mente è aperta come dovrebbe, prima di contattarti sarò in grado di capire se sei a riposo.»

«Allora accetto», replicò Hirad, senza capire esattamente le conseguenze di quella decisione.

«Bene. Ora dimmi, come va la ricerca del sistema per chiudere lo squarcio?»

Hirad descrisse a grandi linee quel poco che aveva compreso del Manto Demoniaco e il tragitto che dovevano compiere per arrivare a Julatsa.

«Devo sapere di più di questo Manto Demoniaco. È pandimensionale?»

«Non ho assolutamente idea di cosa significhi», replicò il barbaro. «Tutto ciò che so è che nessun essere vivente lo può attraversare, che s'innalza fino al cielo e affonda nella terra fino all'inferno. Tutti quelli che tentano di attraversarlo perdono l'anima per mano dei demoni.» Sha-Kaan tacque per un istante, ma non per quello Hirad sentì meno intensamente la sua presenza e la sua preoccupazione. Il barbaro ebbe un momento per riflettere sull'enormità di quanto aveva fatto e si sentì del tutto tranquillo. Però c'era una cosa che doveva chiedere. «Perché mi hai scelto ora?»

«Perché devo tentare imprese che provocheranno aggressioni e danni. Devo avere un dragonene. Per quanto riguarda il Manto, lascia che indaghi. I vostri maghi hanno di nuovo messo il naso in qualcosa che non capiscono né sanno controllare del tutto. Contatterò la stirpe e sonderò lo spazio intorno alla città verso cui siete diretti. Ci potrebbe essere un modo per superarlo. Tieniti pronto per un mio contatto domani, quando il sole supererà lo zenit.»

«Va bene.»

«Grazie, Hirad Coldheart. Hai fatto un giuramento solenne, ma non sei solo. Ovunque ci siano maghi ci sono dragonene. A domani.» Sha-Kaan lasciò la mente del barbaro.

Hirad si rese conto di non sapere come contattare il drago. Aprì gli occhi.

«Per gli dei della terra, Hirad, cos'è successo?» domandò Ilkar.

Il barbaro sorrise. Aveva la testa ovattata, la vista non del tutto nitida; il dolore gli ricordò che non era stato tutto un sogno. Era steso sulla schiena, con un mantello che gli faceva da cuscino; una mano femminile gli pulì il sangue che era uscito dal naso. «Per quanto sono rimasto svenuto?»

«Per un paio di minuti», rispose l'Ignoto.

«Forse meno», aggiunse Ilkar.

Si udì un sommesso brontolio. D'un tratto il muso di Thraun apparve nel campo visivo di Hirad e gli occhi gialli del lupo scrutarono quelli dell'uomo; aveva le folte sopracciglia inarcate e un cipiglio quasi comico gli corrugava la fronte pelosa. Chiaramente felice, estrasse la lingua per leccare la guancia di Hirad, poi si allontanò.

«È contento», osservò il barbaro.

«Sì, ma prima non lo era», replicò l'Ignoto. «Per niente.»

«Vi dispiace tirarmi su?» chiese Hirad.

Lo aiutarono a mettersi seduto. Denser se ne stava a gambe incrociate lontano dal gruppo e si era riacceso la pipa, il cui fumo saliva nel cielo pomeridiano; aveva un'aria molto preoccupata. Will era lì vicino, intento ad accarezzare il fianco di Thraun. L'Ignoto ed Erienne gli si accostarono, e Ilkar gli porse una tazza di tè.

«L'altra, l'hai fatta cadere», disse l'elfo.

«Non ricordo.» Hirad si sentiva meglio. La sensazione di ottundimento stava svanendo e i pensieri e la vista si stavano schiarendo.

«Cos'è successo?» chiese l'Ignoto.

«Era Sha-Kaan. Mi ha parlato dalle sue terre. Dall'Apertura d'Ali.»

«Da dove?»

Hirad scrollò le spalle. Non sapeva da dove gli fosse arrivata quella parola. Sha-Kaan non l'aveva usata. «L'Apertura d'Ali. La dimora di Sha-Kaan, credo.» Il barbaro scrutò i volti di Ilkar e dell'Ignoto. Il primo era preoccupato, l'altro pensieroso.

«Immagino che non fossero buone notizie», osservò l'elfo. «Perché ti ha contattato?»

«'Come' è una domanda più pertinente», disse l'Ignoto. «Guardati, Hirad. Sei più pallido di un cadavere di due giorni.»

«Grazie», replicò il barbaro. «Sentite, Sha-Kaan teme di essere ferito e ha bisogno di un nuovo dragonene. Di me, per l'esattezza.»

«Cosa?» sbottò in coro il terzetto di maghi.

«È quello che ho detto anch'io. A quanto pare, io sarò il contatto e voi tre farete ciò che serve. Ha scelto me perché conosce la mia mente. È molto forte, dice.» Hirad si raddrizzò un po' di più.

Ilkar ridacchiò. «Be', è vero che hai la testa abbastanza dura.»

«Non avrai acconsentito, vero?» chiese Denser. Era più un'affermazione che una domanda.

Hirad alzò un sopracciglio. «Be', sì. Ho dovuto.»

«Grazie tante», replicò il mago oscuro.

«Qual è il problema?» Hirad si sentì formicolare di rabbia. «Avevo forse scelta?»

«Sì, l'avevi. Avresti potuto dire di no. E se io non volessi essere un dragonene?»

«Non lo sei, xeteskiano. Io lo sono. Tu sei un... non so, un aiutante o qualcosa di simile.» Era una parola inappropriata e Hirad lo sapeva. Ma si pentì solo in parte di averla detta.

Il mago oscuro si alzò. «Maledizione! Se pensi che acconsentirò a essere un 'aiutante'» - sputò la parola come se fosse il boccone di un frutto avvelenato - «puoi ficcarti la tua idea su Per il culo.»

«Denser, adesso siediti e abbassa la voce», ordinò l'Ignoto, accennando un vago movimento quando il mago minacciò di Parlare ancora. «Il baccano che fai ci attirerà addosso l'intero popolo degli occadi. Il baccano che tutti facciamo, se è per questo. Siamo il Corvo. Cerchiamo ogni tanto di ricordarcelo.»

«Tu non eri là», affermò il barbaro.

«Hirad...» lo ammonì l'Ignoto.

«No, ascoltatemi.» Il barbaro abbassò la voce. «Ho percepito un senso di bisogno in Sha-Kaan. Lui ha bisogno di me, di noi, tanto quanto noi di lui. E nel caso te lo fossi dimenticato, Denser, se lui e i Kaan muoiono, moriremo anche noi. Contribuire a proteggerlo è un nostro dovere. A questo scopo, mi serve il vostro aiuto. Non c'era tempo per consultarvi. Ho fatto quello che dovevo. Quello che era giusto qui.» Hirad si picchiettò il petto.

Denser prese posto accanto al fuoco, scambiandosi intense occhiate con Erienne. «Be', a proposito del tempo, hai ragione.»

Tutti lo guardarono con rinnovato interesse. Si erano dimenticati della comunione mentale.

Hirad si schiarì la gola. «Tremo nel chiedertelo, ma... perché?»

«Perché abbiamo solo otto giorni per chiudere lo squarcio.»

 

Darrick esultò nel profondo del cuore. Dopo otto giorni di faticose cavalcate erano arrivati a distanza di tiro dall'accampamento degli occadi, nella baia di Gyernath. I suoi esploratori avevano segnalato una piccola forza di guerrieri nemici, forse solo centocinquanta persone, e un flusso intermittente di traffico in arrivo lungo la pista che si allontanava verso ovest, verso il fiume che scorreva dai monti Garan al mare proteggendo il confine orientale delle terre degli occadi.

Era stata una cavalcata intensa e disciplinata, condotta a ritmo sostenuto di giorno e con pause per riposare la notte. Darrick sapeva che ai cavalli non restavano molte forze, ma la fine del viaggio era vicina e la distruzione del campo avrebbe preceduto il breve tragitto via mare e forse un giorno di riposo.

La cavalleria delle quattro Città College, centonovanta tra guerrieri e arcieri e diciotto maghi, era radunata a un'ora dall'accampamento nella baia. Elaborarono un piano. Il rischio più grosso era rappresentato dalle tre torri di guardia, presidiate ciascuna da tre sentinelle; il generale destinò a esse l'intero contingente dei quattordici arcieri e un numero sufficiente di maghi che li proteggessero con l'incantesimo Scudo di Pietra. Avrebbe preferito effettuare un attacco con la magia, ma gli incantesimi necessari erano molto difficili da preparare e da effettuare al galoppo. Il corpo principale dell'accampamento nemico, grandi tende che fungevano da magazzino, circondate da tende più piccole adibite ad alloggi, si prestava a una carica della cavalleria accompagnata dal fuoco dei maghi.

Darrick pronunciò il discorso finale mentre il sole del tardo pomeriggio cominciava a tramontare. «Gli occadi hanno invaso le nostre terre e ucciso la nostra gente. Conoscete tutti qualcuno che è già morto nella difesa del passo Understone o nell'assedio di Julatsa. Solo gli dei sanno in che condizioni siano Blackthorne, Gyernath e Arlen, Erskan, Denebre ed Eimot.

«Gli occadi non ci hanno mostrato nessuna pietà. Voi dovete fare lo stesso. Uccideteli, altrimenti vi uccideranno. Voglio che l'accampamento sia bruciato fino al suolo e la terra annerita lasciata lì come monito. Balaia orientale non s'inginocchierà davanti agli occadi. I College prospereranno. I guerrieri dell'Ovest saranno scacciati dalle nostre terre, dalle nostre case e, sì, dai nostri letti. Siete con me?»

Il coro di risposte fece levare gli uccelli in cielo.

Darrick annuì. «Allora andiamo.»

La cavalleria partì al galoppo per la baia.

 

Il campo si era tranquillizzato. Il Corvo sedeva intorno al fornello di Will; erano tutti assorti nei propri pensieri e rimuginavano sulle parole di Denser. Will si era steso accanto a Thraun, con un braccio allungato con noncuranza sulla sagoma prona del lupo. L'animale era rimasto vigile, con la testa sollevata e con le orecchie ritte, e si leccava il muso mentre scrutava il nuovo territorio.

Erienne li osservò per un attimo, notando in loro una vicinanza che non le sembrava più di possedere con Denser. Il mago oscuro scostava assente le foglie secche sul terreno, con la pipa tra i denti, da tempo spenta e ignorata. Erienne si accigliò e cercò di sondarlo delicatamente col mana, ma per l'ennesima volta s'imbatté in quella coltre che gli ammantava la mente.

Non era sicura che Denser fosse consapevole della barriera che aveva eretto contro di lei; d'altronde non era sicura che fosse consapevole di alcunché, tranne che dei pensieri sul Ruba Aurora e di ciò che gli aveva fatto. Si alzò e andò a sedersi accanto a Denser, che l'accolse con un pallido sorriso. Erienne sentì un formicolio in tutto il corpo. «Ti va di fare due passi, fino alla riva?» chiese.

Lui la guardò dritto in faccia, con la fronte aggrottata e con le pupille dilatate per la luce fioca. Erienne avrebbe tanto voluto che fossero dilatate dal desiderio.

«Perché?» domandò Denser.

«Credevo fosse ovvio», bofonchiò Ilkar a poca distanza.

«Ilkar, stanne fuori», replicò brusca Erienne. «Denser, ti prego.»

Lui scrollò le spalle e si tirò su, lasciandosi sfuggire un sospiro. «Va' avanti», disse, facendo un mezzo gesto che rispecchiava la palese mancanza di entusiasmo che aveva sul volto.

Erienne socchiuse gli occhi, ma tacque.

«Non andate troppo lontano», li avvertì Hirad. «La zona non è sicura.»

La maga scostò un ramo basso, si piegò a destra e si allontanò in direzione del fiume Tri. Sebbene fosse sera, la luna emanava luce sufficiente a vedere il cammino. Erienne avanzò a passo svelto tra alberi e cespugli, scendendo un leggero pendio che portava al bordo dell'acqua; la spiaggia era un insieme di piccoli ciottoli, fango e piante sporgenti. Lei girò a sinistra e, superando pozze e tratti paludosi, raggiunse una chiazza di erba coperta dagli alberi, a qualche passo dal fiume. Si sedette sul terreno un po' umido e osservò lo scorrere lento, pigro del Tri mentre proseguiva inesorabile il suo corso verso il golfo di Triverne e il mare. Nell'oscurità le sembrava grigio scuro, come una fanghiglia semovente, e ciò non l'aiutò a risollevarsi.

Dopo qualche istante comparve Denser e si accese la pipa. Sembrava incerto sul da farsi.

«Siediti», lo invitò Erienne, battendo una mano sull'erba.

Con un'altra scrollata di spalle, senza quasi guardarla, Denser accondiscese, lasciando però una lieve distanza tra loro.

«Perché non mi parli?» domandò la maga, non sapendo come iniziare il discorso ma consapevole di dover arrivare a toccargli il cuore per il bene suo e del Corvo.

«Lo sto facendo», rispose lo xeteskiano.

«Oh, sì. Apprezzo davvero i nostri 'Come stai? ' 'Bene, grazie.' Sono molto significativi, molto appaganti.» Un leggero colpo di vento le fece frusciare le foglie dietro la schiena e le gettò i capelli in faccia.

«Allora di cosa vuoi che parli?»

«Di te! Per gli dei, Denser, non hai visto cosa ti è successo da quando hai lanciato il Ruba Aurora?» Erienne sentì crescere la rabbia di fronte a quell'atteggiamento scorbutico e cocciuto.

«Non è successo niente», ribatté lui, sulla difensiva. «Ho soltanto acquisito la conoscenza del vero funzionamento della magia.»

«Sì, e guarda cosa ti ha fatto. Ti ha portato via da noi, da me, ti ha dato quella maledetta aria di superiorità. Come se d'un tratto fossimo diventati tutti inferiori.»

«Non è quello che penso.»

«Be', è quello che sembra. Rispondi male a Ilkar, fai innervosire Hirad, m'ignori.» Gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime. Solo pochi giorni prima stava seduta con lui in grembo, così fiera, così felice che fosse vivo, sbalordita dalla sua impresa; ma quell'ondata di sentimenti si era infranta su un muro granitico di emozioni nascoste. Ormai si sentiva impotente. «Cosa succede nella tua testa?»

«Niente.»

«Proprio così! Da quando hai recuperato le tue scorte di mana, è come se non t'importasse di niente. Né di me, né del Corvo, né del nostro bambino.»

«Non è vero.» Denser ancora non la guardava.

Erienne avrebbe voluto allungarsi per toccarlo, ma ebbe un tuffo al cuore quando pensò che lui si sarebbe ritratto. «Allora Parlami. Ti prego.»

Lui sospirò e per poco lei non gli diede uno schiaffo. Poi però i loro sguardi s'incrociarono. Erienne lo vide faticare a trovare le parole.

«È difficile», mormorò Denser, con una lieve alzata di spalle.

«Abbiamo tutta la notte.»

«Non direi», replicò il mago oscuro, mentre un fugace sorriso gli compariva sulle labbra. «Tu conosci la magia. Sai quanta forza sia necessaria per controllare il mana e conosci il crollo della resistenza che si verifica quando si effettua un incantesimo. Sai che ogni mago cerca nuovi modi per ridurlo al minimo. A me è appena stata servita una quantità enorme di mana su un piatto d'argento. E questa è solo metà della storia.»

Erienne avrebbe desiderato interromperlo, ma non voleva spezzare il filo dei suoi pensieri. Non sapeva se tutto ciò che Denser le stava dicendo fosse rilevante. Era solo contenta di sentirlo parlare.

«Tutti abbiamo un compito e un sogno nella vita. Io ho scoperto che il trucco sta nel non raggiungere mai quel sogno.» Il mago oscuro allontanò lo sguardo verso l'acqua.

«Non ti seguo. Perché inseguire delle cose, se in realtà non le si vuole ottenere?» chiese la maga.

«Cosa fai quando vinci la sfida più grande della tua vita?» ribatté Denser.

Per qualche istante, Erienne non seppe rispondere. Poi disse: «C'è sempre qualcosa».

«È quello che pensavo. Ma quando non c'è niente di altrettanto grande rispetto a quello che hai appena fatto?»

«Io...» La maga credette di avere capito. Per un attimo tutti i pezzi sembrarono trovare una collocazione, ma poi si accorse che non era così. «Come puoi non avere niente?» chiese. «Siamo qui perché dobbiamo chiudere lo squarcio dimensionale, perché nessun altro può farlo. Come può non essere abbastanza importante per te?»

«Non lo so.»

«Se falliamo, morirai. Moriremo tutti.»

«Ma a me la morte non fa più paura. Ho lanciato il Ruba Aurora, ho raggiunto qualcosa che ritenevo irraggiungibile. Era l'unica cosa che potevo continuare a sognare, perché sapevo che non sarei mai riuscito a compierla. Ma ora ci sono riuscito, e sono vuoto. Se morissi ora, morirei sentendomi completo.»

Erienne lo schiaffeggiò, con forza, sulla guancia. Il rumore riecheggiò nella silenziosa aria serale. In breve il Corvo si sarebbe precipitato lì, ma non le importava. Erano riemerse tutte le frustrazioni, tutte le gelide occhiate che Denser le aveva lanciato, tutte le volte che le aveva mancato di rispetto. Quel gesto, però, non la fece sentire meglio. «Allora fallo per qualcun altro. Che ne diresti di me? Del nostro bambino?» Le lacrime presero a scorrerle sul viso. «Bastardo egoista.»

Denser la prese per un braccio. «Ho lanciato il Ruba Aurora per salvare tutti.»

«Lo hai fatto per te stesso», ringhiò la donna, sentendosi pervadere da un improvviso disprezzo. «Lo hai appena spiegato con molta chiarezza.» Si liberò dalla presa di lui. «Mi stupisce solo che tu non sia andato sino in fondo. Perché non compiere l'estremo gesto di egoismo e portarci tutti via con te? Almeno ti avrebbe evitato di piangerti tanto addosso.» Erienne fece per allontanarsi, ma le parole di Denser la bloccarono.

«Ci è mancato poco, ma non ho potuto. Perché ti amo.» La maga si voltò, sapendo che avrebbe dovuto colpirlo con un altro schiaffo per il modo in cui osava giocare coi sentimenti. Ma qualcosa nel tono della sua voce le frenò la mano. «Dichiarazione straordinaria», osservò, fredda.

«Ma vera.»

«Be', da allora hai avuto un modo strano per dimostrarlo.»

Denser la guardò e i suoi occhi scintillarono nella luce debole. «Ora non posso essere tutto ciò che vorresti. A essere onesto, sento di avere fatto un sacrificio enorme. Non solo per te, ma per il Corvo. Quando sono arrivato al dunque, non ho potuto tradire la fede che avevi dimostrato di avere in me, che tutti avevate dimostrato. Sebbene il Ruba Aurora mi allettasse, per indurmi a trascinare il mondo via con me, non ho potuto farlo.» Il mago lasciò di nuovo cadere lo sguardo sull'erba. «È buffo. Non avevo mai pensato di vivere fino ad assistere al lancio dell'incantesimo. Tuttavia, quando l'ho effettuato, il desiderio disperato che viveste ha superato quello terribile di vedere ultimato il lavoro della mia vita.»

Erienne gli si sedette accanto e gli posò un braccio intorno al collo, accarezzandogli il viso là dove lo aveva schiaffeggiato. «Adesso hai la possibilità di portare avanti un nuovo compito, amore mio», mormorò. «Hai passato tutta la vita a imparare a distruggere, ma io e te abbiamo creato qualcosa. Puoi adoperarti perché non muoia.» Si accorse che Denser stava tremando. Per un po' non capì se fosse per il freddo o per l'emozione ma, quando lui si girò verso di lei, le prese le mani tra le sue, col volto bagnato di lacrime.

«È quello che voglio più di ogni altra cosa, ma mi sento ingannato. Non capisci? Da quando ricordo, tutto nella mia vita ha avuto un ruolo marginale rispetto a quel maledetto incantesimo», disse Denser. «Mi è stato inculcato con tanta forza in testa che non c'è stato posto per altro. Ora non c'è più e io non ho un centro, non ho un riferimento che mi stimoli a sopravvivere ai problemi e a uscire dall'altra parte del tunnel.» Le sfiorò la guancia con la mano. «So quanto tutto questo ti deve sembrare duro e so che è sbagliato sentirsi così, ma è quello che provo. E se non potessi più tornare a essere quello che ero? Se non potessi desiderare qualcos'altro come ho desiderato il Ruba Aurora?»

«Ci riuscirai, amore. Fidati di me. Tutto ciò che devi fare è provarci.» Erienne lo baciò delicatamente sulla bocca.

Lui rispose al bacio e l'abbracciò, avvicinandola al suo corpo.

Erienne si elettrizzò al contatto. Lo desiderava, eppure lo respinse. «Non è così semplice», disse, sentendo il calore sul viso e un fremito nel cuore. Vide che Denser le stava rivolgendo quel sorriso sincero che lei aveva amato fin dalla prima volta e che aveva temuto di non rivedere più.

«Ma tutto questo è qui per noi: erba soffice, il rumore del fiume, la vaga luce della luna. Ignorarlo sarebbe scortese.»

«Mi hai trascurata per giorni, e adesso questo?»

«Da qualche parte bisogna pur cominciare.» Denser mosse una mano per accarezzarle il seno.

Erienne voleva scostargliela, ma non riuscì a trovare la forza. Mentre si lasciava stendere a terra e i baci di lui l'avvolgevano più e più volte con la loro passione, credette di udire dei passi che tornavano furtivi verso il campo.

 

Stanco dell'erbafiamma, Sha-Kaan divorò la carcassa di una capra appena uccisa, placando un po' la fame. Meditava sulla conversazione con Hirad Coldheart, colpito dalla forza dell'umano ma sempre dubbioso sull'assennatezza di quella decisione. Se il contatto tra loro non avesse funzionato, sapeva di poter andare avanti lo stesso, ma il pensiero della morte del barbaro - inevitabile in tal caso - non lo consolava. Aveva deciso di correre un rischio, e non era una cosa che faceva con leggerezza.

Ormai era tempo di agire. Sha-Kaan frantumò e deglutì le ultime ossa di capra, concluse il pasto con una balla di erba-fiamma e si portò fuori dall'Apertura d'Ali, inviando mentalmente un ordine a un Kaan di cui aveva bisogno. Poi si spostò nel fiume e bevve a lungo dalle sue acque gelide.

Sopra di lui, la nebbia si aprì e un giovane e grosso Kaan piombò nella terra della stirpe. Frenò con le ali e cercò un appiglio per atterrare in un'area ricoperta da sassi piatti e bucherellati, che i suoi artigli incisero in profondità.

Il Grande Kaan sollevò la testa dal fiume. Raddrizzò il tronco, lasciando visibili le squame gialle del ventre, tenne le zampe anteriori stese e mosse leggermente le ali per equilibrarsi. Fissò il giovane drago, che assunse una postura simile, pur col capo chino in segno di rispetto; Elu-Kaan ricordava al vecchio drago quello che lui era stato a quell'età: forte, grosso, sicuro delle proprie capacità, eppure rispettoso in presenza degli anziani. «I cieli ti salutano, Elu-Kaan», esordì Sha-Kaan.

«Sono onorato dalla tua chiamata, Grande Kaan.»

«Ho un lavoro per te. Il tuo dragonene è, da quello che so, un mago che risiede nella città balaiana di Julatsa.»

«Sì, Grande Kaan, anche se non lo contatto da diversi cicli. Sono stato fortunato in battaglia.» Elu-Kaan chinò ulteriormente la testa.

«Non si è trattato di fortuna. L'abilità è la tua salvezza.» Sha-Kaan sentì che il giovane rispondeva al complimento con un moto di orgoglio. «Ma ora ho bisogno che tu viaggi nello spazio interdimensionale per andare a parlare col tuo dragonene, se ci riesci. I maghi hanno protetto il loro College con un'energia tratta dalla dimensione degli Arakhe. Temo che il portale invii potere agli Arakhe, e non posso permettere che abbiano accesso incontrollato su Balaia. Prova a penetrare questa difesa, ma non mettere in pericolo la tua vita. Ci sono rischi in quello che ti chiedo. Ritirati nel momento in cui senti incalzare gli Arakhe; sono un nemico difficile.»

«Mi darò subito da fare.» Elu-Kaan alzò la testa per rassicurare Sha-Kaan del suo intento.

«Quando i cieli diventeranno scuri dovrò già avere una risposta», disse il vecchio drago.

«Sì, Grande Kaan.»

«Mi allontanerò dalla terra della stirpe per un breve periodo. Devo parlare coi Veret. Se non torno, prenderai il segno di Hirad Coldheart del Corvo. Risiederà nell'Apertura d'Ali e tu solo hai il permesso di entrarvi, se io dovessi morire.»

«Sono onorato, Grande Kaan.»

«Sei ancora giovane, Elu-Kaan, ma la grandezza sta nel tuo cuore, nella tua mente e nelle tue ali. Impara da me, e col tempo diventerai tu stesso il Grande Kaan.» Sha-Kaan spiegò le ali. «Che i cieli possano essere sempre limpidi per te.»

«E per te, Grande Kaan. Stai attento. La stirpe ha bisogno di te.»

Sha-Kaan lanciò il suo saluto alla stirpe e si alzò in volo puntando a nord, ih direzione dell'oceano Shedara.

Il cielo sereno, le nubi alte e i venti negli strati superiori gli agevolarono il volo. Dopo avere scambiato saluti e istruzioni con la guardia a difesa della porta, Sha-Kaan salì ben al di sopra dello strato di nubi e si godette la bellezza del suo mondo.

La tranquillità a quell'altezza gli risollevò l'animo, e per un istante riuscì a credere che il mondo fosse in pace. Una luce calda inondava il cielo, riflessa dalle nuvole, e brillava davanti ai suoi occhi. Sha-Kaan chiuse le palpebre interne e focalizzò la mente in basso.

Niente disturbò la sua concentrazione. Nessun volo di draghi smuoveva l'aria, nessuno scontro mentale riempiva di rumore il vuoto, nessun verso annunciava l'inizio di una battaglia, nessun grido di dolore sanciva una sconfitta. Contento, Sha-Kaan aumentò il ritmo del battito d'ali e sfrecciò nel cielo.

L'oceano Shedara occupava l'emisfero settentrionale. Iniziava là dove terminavano le vaste distese di Dormar e Keol. Costellato nella sua vastità solo da isolette e banchi di sabbia, era mosso da correnti immense. Ma solo un drago sciocco avrebbe ignorato le masse di terra, sebbene restassero ben poco fuori dall'acqua. Benché fossero creature acquatiche, i Veret costruivano i nidi e allevavano i piccoli nelle grotte e nei nascondigli in cui il mare non arrivava.

Sha-Kaan sapeva dove avevano scelto di procreare e attraversò cauto il centro della loro rete mentale, prima di virare bruscamente verso l'alto e attendere l'inevitabile risposta, che non tardò molto ad arrivare.

Uno stormo di sei Veret fendette l'aria umida per andargli incontro con intento chiaramente aggressivo.

Sha-Kaan placò la loro furia prima che avessero la possibilità di avvicinarglisi per attaccare. «Vorrei parlare con Tanis-Veret, il mio altemelde», disse sapendo che il nome del Veret anziano e l'esistenza di un antico legame di sangue avrebbe calmato gli ardori. «Sono Sha-Kaan.»

Salendo a spirale in cielo, i Veret lanciarono grida di provocazione e di monito, sfidando il Kaan a scendere verso la terra della loro stirpe, sotto le onde. Le squame blu luccicavano bagnate alla luce del sole; le ali permettevano loro di salire rapidi e i corpi affusolati offrivano ben poca resistenza all'aria.

Sha-Kaan li guardò ruotare, valutò la sicurezza dei loro movimenti e concluse che, se lo avessero attaccato, probabilmente lo avrebbero ucciso. Rimase sul posto, planando lentamente in cerchio, mentre i Veret si mettevano in formazione intorno a lui. Percepì il riverente stupore che provavano nei suoi confronti, ma anche la rabbia e l'odio di qualcuno.

«Non ti staccherai da noi mentre scendiamo. Non emetterai richiami né effettuerai contatti mentali», ordinò un Veret.

«Bene», replicò Sha-Kaan. «Sapete che per voi non sono un pericolo. Sono venuto a parlare.»

«È il nostro sistema», disse un altro, con più rispetto nella voce. «Tutti gli ospiti devono essere scortati all'approdo della terra della stirpe.»

«La prudenza non è mai troppa.»

Lo stormo si gettò bruscamente in picchiata. Erano diretti verso una piccola isola rocciosa lungo i cui margini sorgevano, in cinque punti, grandi torri di pietra.

«Atterra al centro», ordinarono a Sha-Kaan. Poi lo stormo si allontanò.

Sha-Kaan frenò rapido per scendere verticalmente sulla roccia lavata dal mare, tra le guglie di pietra.

Quasi subito l'acqua s'increspò, ribollì ed esplose. Tanis-Veret emerse in superficie, portando con sé una massa di acqua e di schiuma, mentre un verso di saluto echeggiava nel cielo. Atterrò sul bordo dell'isola e sfruttò la coda per assorbire umidità dall'oceano. Mentre si sistemava, le onde che aveva creato uscendo dall'acqua continuarono a propagarsi. «Non c'è niente come il vento sulle squame bagnate», affermò Tanis-Veret. «Sei lontano da casa, Sha-Kaan.»

«E questa situazione è lontana dalla normalità», replicò il Grande Kaan. «Ti saluto, Tanis-Veret.» Sollevò il collo, incontrando lo sguardo del suo pari.

«E io saluto te.» Il collo corto di Tanis non poteva piegarsi come quello di Sha-Kaan, però il drago marino sollevò il tronco per sedersi dritto, esponendo, come il Kaan, le squame ventrali.

Sopra di loro, i sei draghi che avevano scortato l'ospite ruppero la formazione e si gettarono in acqua con un tuffo perfetto che ridusse al minimo schizzi e increspature, e sparirono tra le onde.

«Non credo che avrò bisogno della mia scorta, e tu?»

Sha-Kaan piegò la testa. «La tua fiducia è bene accetta e ricambiata.»

«Parla, Sha-Kaan, anche se credo di sapere cosa vuoi dirmi.»

«Sarò chiaro. Ritengo che vi siate alleati coi Naik in una battaglia che non vi riguarda e da cui la vostra stirpe non può trarre benefici.»

Tanis-Veret distolse lo sguardo, mentre un colpo di tosse gli scuoteva il petto. Le squame sempre più opache denotavano la sua vetusta età. Era molto più vecchio di Sha-Kaan, ma nella rigida struttura della stirpe Veret la sua autorità e la sua capacità di comandare non sarebbero mai state messe in dubbio. Solo alla sua morte sarebbe stato nominato un successore. Per i Kaan invece la forza mentale era determinante: Sha-Kaan sapeva che un giorno Elu-Kaan lo avrebbe sconfitto e che lui avrebbe preso posto tra i Kaan anziani, riverito ma ai margini della stirpe.

«Sha-Kaan, questo è un tempo di grande pericolo per i Veret. Le nostre nascite sono crollate e proteggere le femmine gravide è la nostra principale preoccupazione. Questo ci lascia con troppo pochi draghi per difendere i confini dagli attacchi.»

«Allora avevo ragione.» La rabbia di Sha-Kaan divampò, provò una vaga pietà per Tanis-Veret, ma il sentimento fu sopraffatto dal disprezzo. «Perché non siete venuti da me?»

«I Naik erano già qui. Avevano la forza di finirci, in quel momento. Non abbiamo avuto scelta.»

«I Naik!» sbraitò Sha-Kaan, mentre uno sbuffo di fumo gli usciva dalla bocca. «Ma, dopo, perché non mandarmi uno stormo per avvertirmi?»

«I Naik lo avrebbero saputo. Sapevano dei nostri problemi. Sapevano che avremmo dovuto ripiegare le ali davanti a loro.»

Sha-Kaan fissò intensamente Tanis-Veret, e la delusione soppiantò il disprezzo. L'anziano Veret era prostrato e rassegnato. Non aveva nemmeno la forza di tentare di liberare la sua stirpe. I Naik li avrebbero finiti comunque. Sha-Kaan espose quel pensiero.

«Forse. Posso solo sperare che non lo facciano», disse Tanis-Veret.

«Stai lasciando morire la tua stirpe», ribatté Sha-Kaan. «Ero venuto a offrirti aiuto. Forse dovrei lasciarti avvizzire e basta.»

«Come puoi aiutarci? La tua stirpe è ridotta all'osso, nella vostra dimensione d'interscambio c'è uno squarcio dimensionale che tutti vedono. Combattete per la vostra stessa sopravvivenza.»

«E voi contribuite alla battaglia aiutando i Naik. Non lo capite?»

«Devo proteggere la mia stirpe, prima di ogni altra cosa. Ti prego di rispettare questa scelta.» Tanis-Veret alzò gli occhi al cielo, con sguardo nervoso.

«Non c'è nessuno nelle vicinanze.»

«I Naik sono sempre nelle vicinanze.»

«L'ultima luce è stata la più dolorosa di tutte in tanti cicli», disse Sha-Kaan. «Ho ucciso uno della vostra stirpe che aveva inseguito e incenerito un vestare. Un drago della mia stirpe è precipitato in un abbraccio mortale, ferito da un Veret. Altri ancora della mia stirpe hanno scacciato o ucciso diversi Veret. Non siamo in guerra con voi, Tanis-Veret; perché combatterci?»

«Se non lo facciamo, ci estingueremo.» Tanis-Veret si rifiutava di guardare Sha-Kaan.

«Capisco il vostro problema e la confusione che deve avervi creato. Ma adesso io sono qui e la mia stirpe vi proteggerà, se spezzate l'alleanza di paura coi Naik.» Sha-Kaan si mosse per la prima volta da quand'era atterrato, estese le ali e si alzò sulle zampe posteriori. Con la sua poderosa massa fece sembrare minuscolo il Veret; le sue ali gettarono un'ampia ombra sull'isola e gli artigli lasciarono sfregi nella roccia sottostante.

Tanis-Veret aprì le mascelle e corrugò la fronte; le punte sulla cresta cranica riflessero la luce dell'acqua. «Non hai la forza per proteggerci dai Naik.»

«Cerca di capire come stanno le cose», replicò Sha-Kaan, cercando di mantenere la calma. «Noi siamo in guerra coi Naik come con numerose stirpi minori, perché loro vogliono attraversare il nostro portale dimensionale. Si sono alleati con voi, e probabilmente anche con altre stirpi che sono riusciti a minacciare. Noi Kaan non abbiamo scelta se non essere in guerra anche con queste stirpi. Spezzate la vostra alleanza. Fidatevi di me. Fidatevi dei Kaan.»

«Sha-Kaan, non posso.»

«Allora continueremo a distruggere la vostra stirpe ovunque costituisca una minaccia. E, se la minaccia aumenterà, la prossima volta che mi rivedrai qui sarò a capo di uno stormo da guerra. Evitaci se puoi. Non assisterò alla caduta dei Kaan.»

«Mi dispiace che debba andare così.»

«Hai il potere di mutare le cose, Tanis-Veret. Se dovessi cambiare idea, sai che ti sentirò.»

Il drago marino incrociò di nuovo lo sguardo di Sha-Kaan. «Dovresti andare. Non riferirò ai Naik il tuo messaggio finche non avrai abbandonato i miei cieli.»

«Che buoni venti e buone correnti ti accompagnino», affermò Sha-Kaan.

«Sconfiggi i Naik.»

«Lo farò», replicò Sha-Kaan. «È un peccato che tu non abbia fiducia.» Si levò in aria lanciando un grido di saluto e tornò nella relativa sicurezza dello strato superiore, dove il vento gli spazzò la rabbia dalla mente.