Capitolo 20

Barras bussò piano, temendo che il generale stesse dormendo, ma l'ordine di entrare gli giunse subito, pronunciato con voce forte. Il vecchio negoziatore elfo entrò negli alloggi di Kard alla base della torre e trovò il generale seduto davanti a un piccolo fuoco, con la sedia accostata a una finestra aperta. Sul davanzale c'era una tazza fumante.

Il soldato più anziano di Julatsa stava guardando il cielo illuminato dalle stelle. La notte era una liberazione, se non altro perché il Manto era quasi invisibile al buio e in qualche modo sembrava meno minaccioso, anche se la sua aura dava i brividi a chiunque entrasse nella sua sfera d'influenza. In base alle clessidre, mancavano quasi due ore all'alba.

Non c'era nient'altro che potessero fare se non aspettare il primo ordine, e che il giorno portasse quello che doveva portare. In tutto il College regnava un silenzio inquieto. Non c'era uomo, donna o bambino che non conoscesse il proprio ruolo. In decine di riunioni, tutte svoltesi sotto gli occhi degli occadi, Kard e i suoi luogotenenti avevano illustrato in dettaglio il piano.

Oltre ai gruppi di combattenti e alle squadre offensive e difensive di maghi, il generale aveva organizzato l'intera popolazione civile perché eseguisse compiti specifici. Ognuno aveva ricevuto la mansione più adatta alle sue capacità. C'erano squadre di carpentieri e di muratori incaricati di tamponare e rinforzare le difese; molti avevano il compito di provvedere alle barelle o di spegnere le fiamme; altri si sarebbero occupati dell'approvvigionamento dei soldati sulle mura, portando frecce, cibo e tutto ciò di cui i combattenti avrebbero avuto bisogno.

In riunioni separate, Kerela aveva istruito i maghi perché obbedissero a Kard finché la battaglia non fosse stata vinta o persa. In quest'ultimo caso, sapevano tutti cosa sarebbe successo; quelli che non avessero potuto aiutare direttamente a seppellire il Cuore sarebbero stati pronti a morire per difendere i compagni intenti a farlo. Infine, mentre il College si godeva le ultime ore di sonno prima d'ingaggiare battaglia, Endorr e Seldane avevano spostato per ordine di Barras centinaia dei testi più rilevanti del College nel Cuore o subito al di fuori di esso. Quando il Manto fosse stato eliminato, il Cuore sarebbe sembrato più simile a un magazzino che al centro della magia julatsana.

Barras osservò l'alloggio spartano di Kard. L'unica branda giaceva inutilizzata contro la parete destra. Un tavolo sotto una finestra chiusa era ingombro di carte, pergamene e penne d'oca; su una sedia c'era un mucchio di libri.

Quando vide che era entrato il suo vecchio amico, il generale li spostò. «Sedetevi, Barras, dovete riposare», disse con un mezzo sorriso sulle labbra spaccate. Il mento, rasato da poco, luccicava di sudore per il fuoco che scaldava la stanza. Kard tolse un pentolino da un gancio fissato all'interno del caminetto e riempì una tazza di tè per Barras.

Il mago la prese con entrambe le mani e ringraziò con un cenno.

«Siamo sicuri che sia giusto?» domandò Kard, puntando il mento in direzione del Manto. «Tornare a combattere, intendo.»

«Che alternativa abbiamo?»

«Be', potremmo imprigionare i rifugiati riottosi e restare tra queste mura per...» Il generale tacque e tirò a sé un foglio sul tavolo, scuotendo gli altri che vi erano posati sopra. «Centodiciassette giorni. Se razioniamo parecchio il cibo e gestiamo in modo assennato le fogne.»

«E alla scadenza?»

Kard sorrise di nuovo e scrollò le spalle. «Il mondo avrà compiuto parecchie rotazioni. Forse verremmo liberati.»

«Senedai avrà esaurito i prigionieri da massacrare, e i cumuli di corpi in putrefazione saranno più alti delle mura. Perché questi dubbi?» Barras si accigliò e sorseggiò la bevanda. Era un tè di erbe con un pizzico di menta.

«Oh, niente. Speravo solo che voi veniste qui con un'altra soluzione che non conducesse così tante persone a morire domani e il giorno dopo e il giorno dopo ancora.»

«Non pensavo che il dubbio trovasse posto nella vostra testa, Kard.»

«Non lo trova, come ben sapete, ma... Non lo so, nutrivo molte speranze quando il Manto è stato innalzato.»

«Avreste preferito che non fosse mai stato innalzato?» domandò Barras.

«No, no. In realtà ieri notte... o è stata la notte prima?» Il generale guardò verso il cortile. «In ogni modo, l'altra notte ero steso qui e mi sono chiesto come sarebbe finita se non aveste innalzato il Manto.»

Barras inarcò le sopracciglia.

«Lo sapete bene quanto me. Gli occadi avrebbero superato le mura in un baleno. I maghi avevano esaurito il mana, il nostro esercito era stato sconfitto ed erano tutti terrorizzati. In questo modo almeno siamo riposati; il morale è più alto, ma penso che siamo altrettanto spaventati. Almeno daremo agli invasori una bella batosta».

Barras non disse nulla, bevve il tè e studiò le espressioni che si susseguivano sul viso di Kard. Vide parvenze di sorrisi, preoccupazione e lacrime. Si rammaricò di avere interrotto le meditazioni del generale.

Il vecchio soldato stava rivivendo la sua vita, sapendo che gliene restava poca. I dubbi che aveva espresso erano solo quelli di un uomo abituato a riflettere molto, che aveva l'assennatezza di cercare una soluzione migliore fino all'ultimo istante e che era stato costretto ad ammettere che non esisteva. «Volevate dirmi qualcosa?» chiese Kard.

«Abbiamo parlato nella stanza del Consiglio. Inizieremo ora la chiamata. Potrebbe volerci un po' prima che Heila appaia e a quel punto dovremo negoziare la rimozione del Manto. Sarà difficile garantire che scompaia esattamente un'ora prima dell'alba, ma non dovrà verificarsi dopo. Dovrete fare in modo che almeno i maghi siano pronti per l'attacco alla torre.»

«Sveglierò anche i miei soldati. Non potevate avvertirmi prima?»

«Dovevamo studiare alcuni testi per esserne sicuri. Inizieremo adesso.» Barras si alzò per andarsene e posò sul tavolo la tazza, versando un po' di tè su alcune mappe. «Mi dispiace.»

Kard scrollò appena le spalle. «Non importa. Credo che ormai le carte non servano più.» Strinse la mano all'elfo con forza e sicurezza. «Buona fortuna.»

Barras annuì. «Ci vediamo di sopra tra un po'. Che gli dei siano con voi.»

«Se non lo sono, saremo presto noi con loro.»

Barras sorrise. «Un pensiero macabro.»

«Ma realistico.»

L'elfo si allontanò verso il Cuore della torre di Julatsa.

 

Il Corvo si era fermato a riposare a ridosso di un lieve pendio riparato dal vento. Più in alto, felci e cespugli frusciavano, mentre da entrambi i lati la terra si perdeva in lontananza, ricca di torrenti, paludi, acquitrini e boscaglia.

Avevano camminato fino a sera inoltrata, fermandosi solo quando Denser aveva segnalato che Erienne aveva bisogno di riposare. La maga non aveva detto niente, ma il suo volto si era fatto più tirato nella luce fioca del tardo pomeriggio; seppure estremamente irritata da quelle attenzioni, si era addormentata quasi subito con un sorriso sereno sul volto.

Will e Thraun avevano lasciato il campo dopo avere acceso il fornello ed erano tornati parecchio tempo dopo. Il ladro era apparso taciturno; il lupo si era disteso con aria meditabonda, in un punto tranquillo lontano dai compagni.

Prima Denser e poi l'Ignoto avevano montato la guardia. In quel momento, con le stelle che cercavano di toccare la terra con la loro luce, era Hirad a stare sveglio, seduto con la schiena contro il pendio. Fissò i compagni addormentati e poi di nuovo il sentiero percorso il giorno prima.

Anche se il passo era stato sostenuto, procedevano a piedi e il barbaro era preoccupato perché non avevano avuto la possibilità di procurarsi nemmeno un paio di cavalli per trasportare i bagagli e spezzare a turno quella marcia lunga ed estenuante. Ma ancora più urgente era capire come superare l'esercito degli occadi, di cui non conoscevano la grandezza ma che era certamente vasto, e poi il Manto Demoniaco.

Il barbaro comprendeva poco di quello che Ilkar aveva detto, ma gli sembrava che non si potesse distruggere quella barriera, di qualsiasi natura fosse. Si ritrovò a desiderare un altro contatto con Sha-Kaan, nella speranza che il potente drago avesse trovato un modo per portarli al di là del Manto.

Hirad sbadigliò. Scosse la testa e guardò il cielo. Mancavano un paio d'ore all'alba, forse un po' di più; la notte era mite, senza il vento che gelava la pelle e col delicato tepore del fornello che avvolgeva il campo. Il barbaro si alzò e si riempì la tazza dal pentolino sul fornello. Le scorte di tè stavano calando rapidamente e Hirad arricciò il naso, disgustato al pensiero delle tisane di foglie che Ilkar avrebbe preparato quando il sacco del tè fosse stato vuoto. Fece per risedersi, ma un ringhio lo indusse a girarsi di scatto. Il tè gli schizzò sulla mano protetta dal guanto.

Thraun se ne stava accucciato e lo fissava con gli occhi gialli, freddi e maligni.

Il barbaro incrociò il suo sguardo e si sforzò di sorridere. «Ehi, Thraun, sono io, ricordi?»

Il lupo continuò a ringhiare e rizzò il pelo sul collo. Arretrò, appoggiandosi sulle zampe posteriori che vibravano di una forza selvaggia.

Accanto a lui, Will si mosse e si svegliò. «Che succede?»

«Non lo so», rispose Hirad. «Thraun...»

Con un latrato, il lupo balzò via nel buio. Poi il dolore attanagliò Hirad. Breve e intenso, gli ottenebrò i sensi e lo gettò in ginocchio, mentre il contenuto della tazza si versava nel terreno.

«Hirad Coldheart, ascoltami.» Sha-Kaan non sembrava forte e autoritario come le altre volte, ma sofferente.

«Ti ascolto, Sha-Kaan.»

«Devo aprire il portale. Il Corvo mi deve ascoltare. Siete in un luogo sicuro? Sento che stavate riposando.»

«Sì, Grande Kaan.»

«Ottimo. Tra poco sarà fatto.»

Il dolore nella mente di Hirad scomparve.

Alcuni passi più in là, sul lieve pendio, una linea di luci tremolanti formò un rettangolo nero: salì dal terreno fino a circa tre passi, si spostò in orizzontale e ridiscese.

Hirad si mise in piedi e si guardò intorno. Will stava fissando a occhi sgranati il portale dimensionale. Il resto del Corvo si stava svegliando: il sonno era stato interrotto da un'entità sconosciuta che aveva disseminato inquietudine nelle menti a riposo.

«Non avere paura, Will, è Sha-Kaan.»

«Sto bene.» La voce dell'ometto tremava. «Com'è possibile che sia Sha-Kaan?»

«È difficile da spiegare in questo momento, ma ha viaggiato dalla sua dimensione alla nostra per parlarci. Sveglia gli altri.» Hirad tornò a guardare la luce. All'interno della sagoma, nel buio, apparve uno scintillio dorato simile a un'improvvisa bufera di neve, che si spostò quindi a sinistra svelando un passaggio illuminato da bracieri. Conduceva a una piccola camera spoglia che Hirad aveva già visto.

«Cos'è?» chiese Will.

Il barbaro sorrise. «Il sentiero per il Grande Kaan.»

La voce di Sha-Kaan gli sussurrò nella mente: «Ben fatto, Hirad Coldheart, il tuo segno è forte. Vieni, porta i tuoi compagni».

Hirad non capiva bene cosa stesse provando, ma era qualcosa di simile all'euforia. Si sentiva la testa girare, gli arti pieni di forza, il cuore che gli martellava in preda alla gioia. Sha-Kaan era lì.

«Ci risiamo, vero?» mormorò Ilkar. Nella sua voce non c'era sorpresa, ma solo un tocco di stanchezza.

«Stavolta l'incontro sarà più facile e tranquillo», assicurò Hirad.

«Be', non verrà rubato niente, di questo sono sicuro», replicò Ilkar.

Il Corvo non impiegò molto a svegliarsi. L'Ignoto si piazzò silenzioso accanto al barbaro, col volto tirato.

«Proprio come ai vecchi tempi, eh, Ignoto?» Hirad ridacchiò.

«Non proprio.» L'imponente guerriero fece strada all'interno del portale.

«Affascinante», commentò Denser, che si era spostato sul retro del portale. «Vi vedo dall'altra parte, ma non posso infilare la mano per toccarvi. È come se esistesse solo nel modo in cui lo vedete voi.» Si ricongiunse a Hirad. «Vuoi provare una cosa?»

Il barbaro alzò le spalle. «Se proprio devo...»

«Giraci intorno come ho appena fatto io.»

Hirad inarcò le sopracciglia e si avviò, fermandosi dopo un paio di passi soltanto. «Aspetta», disse. «C'è qualcosa che non va.» L'apertura lo aveva seguito: Hirad si trovava sempre di fronte a essa.

«Non c'è niente che non vada», replicò Ilkar. «Ci troviamo di nuovo dietro, se 'dietro' è il termine giusto.»

«Adesso sei un dragonene», spiegò Erienne. «Quel portale esiste solo grazie a te e al tuo legame con Sha-Kaan.»

«Ah», mormorò Hirad. Non aveva idea di cosa stesse dicendo la maga.

«Vi muovete o no?» La faccia dell'Ignoto comparve sul portale. «Forza.»

«Will, e Thraun? Verrà?» chiese Hirad.

«Suppongo che Thraun ci seguirà, se desidera ancora proteggermi», rispose il ladro coi capelli neri screziati di grigio, retaggio di un terrore che ancora popolava i suoi incubi. «Ma è spaventato dal tuo drago.»

«In questo non è solo», affermò Erienne.

«Muoviamoci. Andiamo a incontrare il Grande Kaan», disse il barbaro. «Spade nei foderi.»

Fu come rivivere un ricordo. Hirad rievocò con totale chiarezza l'inseguimento alla cieca di Denser la prima volta che erano entrati nel corridoio d'interscambio di Sha-Kaan. Fece quello che non aveva fatto allora: si guardò intorno, seppur brevemente.

Il passaggio era corto e l'Ignoto li aspettava in fondo, nella piccola stanza spoglia. Non aveva aperto la porta. C'erano alcune panche su entrambe le pareti, un pavimento lastricato e affreschi che rappresentavano il fuoco e la giungla.

Al di là della porta c'era la prima sala, di cui il barbaro ricordava soltanto il fuoco che Sha-Kaan aveva scagliato attraverso le due sulla destra. Le porte erano state sostituite, tutti i segni delle bruciature erano stati cancellati; un fuocherello ardeva nel caminetto sotto l'emblema dei dragonene appeso al muro.

Hirad si avvicinò, affascinato da quel simbolo: due artigli sotto le fauci aperte di un drago che sputava fuoco. Poi notò una cosa che gli gonfiò il cuore di orgoglio. Era l'emblema del Corvo, la sagoma della testa e dell'ala di un corvo su uno sfondo rosso sangue; stava insieme col simbolo dei dragonene, fiero eppure subordinato. Hirad non ebbe da ridire sulla catena di comando che implicava.

«Bene, bene», mormorò Ilkar, che aveva notato il merito conferito al Corvo.

Hirad sorrise. «Se ce n'è uno, ci sono tutti.»

«Da che parte si va per raggiungere Sha-Kaan?» domandò Erienne.

Hirad indicò a destra e guidò il Corvo. Superato il caminetto, si ritrovarono di fronte alla porta con le rune incise e l'emblema che Hirad aveva visto distrutto dal fuoco in quella che gli sembrava un'altra vita. Lì però tutto era integro, l'oro dell'emblema scintillava nella luce del fuoco e dei bracieri.

«Apri la porta», disse Hirad all'Ignoto.

Apparve la sala del drago con gli arazzi, i fuochi, il calore. Sha-Kaan era disteso in posizione di riposo, con la coda arrotolata dietro la grossa massa del corpo. Parlò in modo che tutti udissero. «Benvenuto, Hirad Coldheart, dragonene. Benvenuto, Corvo.»

Sha-Kaan era immenso. Era un fatto che, dal primo incontro, Hirad si era sempre rifiutato consapevolmente di accettare e in quel momento gli apparve chiaro perché. Le dimensioni del drago erano di per sé spaventose, ma accettare che un essere lungo quasi quaranta passi avesse anche poteri mentali e una conoscenza molto più avanzata di quella degli uomini significava rasentare la follia. In più c'erano l'energia e la forza fisica che il drago emanava da tutti i pori.

Quando il barbaro guardò Sha-Kaan per la prima volta con occhi di dragonene, la nebbia svanì. Finalmente vedeva, oltre la mole, la mente che stava all'interno. Percepiva pensieri e paure. E capì che il Grande Kaan era ferito.

Hirad condusse il Corvo attraverso il pavimento di piastrelle, verso la terra e il fango umido su cui Sha-Kaan riposava. Dieci fuochi ardevano nei caminetti intorno al drago; la sala era permeata del calore della condensa.

Il Corvo si dispose spontaneamente in una formazione difensiva: l'Ignoto accanto alla spalla destra di Hirad, Will a sinistra, i maghi dietro; di Thraun non c'era traccia.

Mentre si avvicinava, il barbaro vide i segni lasciati dal fuoco sul collo del drago. «Dimmi cosa fare, Sha-Kaan.»

«Ci sarà tempo dopo per questo, oppure non ci sarà più tempo per nessuno di noi», replicò il drago. «C'è un grave problema a Julatsa. Lì i vostri maghi hanno scatenato una forza che non sono in grado di contenere, anche se temo che non lo sappiano.»

«Posso parlare?» chiese Ilkar.

«Un elfo di Julatsa.» Sha-Kaan alzò la testa da terra di qualche passo, battendo stancamente le palpebre. «M'interessa molto quello che hai da dire, ma sii breve. Il tempo scarseggia.»

«Grazie», rispose Ilkar. Avanzò per mettersi accanto a Hirad, mentre Will si faceva da parte con un certo sollievo. «La forza di cui parli è legata a un vecchio incantesimo chiamato Manto Demoniaco. Il Consiglio di Julatsa è esperto nel lanciarlo e nel rimuoverlo. Ti posso assicurare che hanno l'accortezza per imbrigliare il potere dei demoni. Il Manto è per sua natura un sortilegio circoscritto; è impossibile che i demoni riescano a varcarne i confini.»

Sha-Kaan rimase in silenzio per un istante. Espirò emettendo una ventata calda, acre, che grattava la gola e pungeva gli occhi. «Questo crede il tuo Consiglio?»

«È scritto nella nostra dottrina. La sagoma del mana è solida, verificata e del tutto affidabile», rispose l'elfo.

«Ma il tessuto della vostra dimensione non è solido», replicò Sha-Kaan, e la sua voce suonò come una campana a morto. «Le forze dello spazio interdimensionale starino operando nei vostri cieli. Gli Arakhe, i demoni, sono una forza dimensionale; hanno un potere, attualmente contenuto, che viene loro conferito dal Manto. Nel momento in cui verrà eliminato, come voi dite, quel potere può diventare permanente. Se dovesse accadere, i demoni potrebbero minacciare la vostra sopravvivenza e la dimensione d'interscambio dei Kaan.»

«No.» Ilkar scosse la testa, accigliato. «La sagoma del mana è totalmente controllata da Julatsa. I demoni stabiliscono il catalizzatore, ma al di là di ciò sono costretti a far funzionare il Manto come un'estensione della loro dimensione all'interno di Balaia, vincolata dalla nostra magia.»

Gli occhi di Sha-Kaan lampeggiarono.

Hirad percepì una breve ondata di rabbia. «Ilkar, non penso che...»

«Stavo solo spiegando ciò che so», lo interruppe l'elfo.

«Allora sai molto poco!» La voce di Sha-Kaan sibilò nella sala, echeggiando contro le pareti rivestite di arazzi. «Il Manto Demoniaco dà agli Arakhe accesso su Balaia, e di conseguenza si proietta dalla loro dimensione attraverso lo spazio interdimensionale finché non ne colpisce un'altra che non riesce ancora a penetrare: i cieli sanno dove sia. Non è contenuto all'interno di Balaia e l'indebolimento del vostro tessuto conferisce loro molto più potere di quello che immaginiate, perché l'essenza della vostra dimensione fluisce in uno spazio interdimensionale dove i demoni possono alimentarsi a sazietà. Hanno la forza per sopraffare il vostro Consiglio.»

«Ilkar, fidati di quello che dice», disse Hirad, avvertendo che la scarsa pazienza di Sha-Kaan si stava esaurendo. «Non ho idea di cosa intenda, ma sono sicuro che abbia ragione.»

L'elfo annuì.

Intervenne Denser: «Una domanda, Sha-Kaan, se posso».

Il drago mosse rapido la testa per trafiggere Denser coi suoi freddi occhi blu. «Ah, quello che mi ha derubato. Dovresti sentirti fortunato perché in cambio non ti ho preso la vita. Ma, come dicono i Kaan, quando i cieli diventano neri per le ali dei nemici, mangi perfino tronchi marci per alimentare il tuo fuoco. Ricordatelo e fa' la tua domanda, ladro.»

Hirad percepì il disprezzo del drago.

Denser era molto pallido, ma il suo sguardo non vacillò né guizzò verso il terreno. «Il Ruba Aurora era la nostra unica speranza di sopravvivere...»

«Non mettere alla prova la mia pazienza, ladro, le tue ragioni non sono importanti. Lo è invece quello che hai rubato. Parla.»

Denser fece un profondo respiro. «Volevo chiederti come fai a sapere tanto, come...»

«Come posso essere così sicuro? Perché uno dei miei Kaan più giovani e forti rischia di morire dopo avere incontrato gli Arakhe in un luogo in cui non si sarebbero dovuti trovare. Lo hanno sopraffatto nel suo corridoio d'interscambio.»

«Cosa si può fare, Grande Kaan?» domandò Hirad, paventando la risposta.

«Abbiamo una possibilità, e a questo scopo mi servono la vostra forza e la vostra magia. E le vostre anime.»

«Faremo da esca», borbottò l'Ignoto.

Sha-Kaan emise un rumore secco dal profondo della gola; sembrava divertito da quelle parole. «Sì. Un'esca intrisa di veleno.»

I membri del Corvo si guardarono, mentre una sensazione strisciante d'inquietudine li avvolgeva.

«Vi spiegherò cosa dovete fare.»

Hirad guardò negli occhi il Grande Kaan. Non vide e non percepì nessun intento malevolo, solo il desiderio di sopravvivere e di vincere. Fece un cenno d'assenso e ascoltò.

 

Thraun avanzò cauto verso l'apertura da cui arrivava l'odore animale. Sapeva che in quello che vedeva c'era qualcosa di strano, e il pensiero lo tormentava mentre si avvicinava. Vedeva dentro l'apertura, vi vedeva scintillare delle luci, ma al di là di esse non scorgeva nulla tranne la terra. Ringhiò; poi il ringhio si trasformò in un guaito di paura. L'apertura conduceva all'uomo-fratello, e all'animale la cui forza spaventava tanto il lupo. Sembrava andare verso il nulla: non era la foresta, non era uno spazio aperto, non era l'acqua né il cielo.

Thraun annusò la base dell'apertura, vedendo l'erba tramutarsi in pietra e sentendo gli odori che provenivano dall'altra parte. C'erano legno e olio, uomo ed elfo, e tutto ciò lo confortava. Però al di là di quegli odori noti c'erano sfumature ignote che non riusciva a ricollegare a niente. Tirò su la testa e guardò dentro, osservando le luci e la pietra. La traccia dell'uomo-fratello, venata di paura ma non di terrore, era evidente come quella degli altri umani.

Thraun guardò dietro di sé, col cuore che gli martellava nel petto; vide il posto dove avevano riposato, diede un'ultima occhiata alle luci del cielo ed entrò silenzioso e guardingo nell'apertura.