Capitolo 33

Via via che la sera calava, la nebbia si fece più fitta e il ritmo della terra della stirpe Kaan, già calmo, rallentò ancora di più. Nessun drago rimase all'esterno: scelsero tutti un Choul, un corridoio d'interscambio o una dimora personale se il rango era adeguato. Il Corvo rimase fuori accanto al fiume. Non si era visto assegnare nessun alloggio e i Kaan si aspettavano evidentemente che dormisse all'aperto. La sera tuttavia era calda e umida e dormire accanto al fiume non avrebbe costituito un problema.

Il vero problema stava nell'incertezza dei maghi, e Hirad lo avvertiva intensamente. Vide lo sguardo ansioso negli occhi di Ilkar e l'inquietudine sulle labbra di Denser che mordicchiava la pipa. Guardava con ammirazione i quattro discutere ed esercitarsi a breve distanza, seduti su una roccia piatta vicino al fiume coi libri aperti e con le pergamene tenute ferme da sassi. Quattro dei maghi di maggior talento di Balaia, compreso l'uomo più potente di Xetesk, alle prese con un problema immenso: chiudere uno squarcio in cielo grande quanto una città, centinaia di passi sopra le loro teste. Hirad poteva solo immaginare quanta abilità richiedesse, e di nuovo si sentì impotente. Sapeva che erano giunti lì anche grazie alle sue capacità di guerriero, ma in quel momento poteva solo starsene seduto a bere tè.

Dall'altra parte del fuoco sedeva Thraun, silenzioso e meditabondo, coi lunghi capelli biondi che gli pendevano intorno al viso in fitte ciocche appiccicate per l'umidità. Il mutaforma non era più l'uomo di un tempo: non sembrava quasi rendersi conto di essere vivo, e si rianimava solo quando il Corvo era in pericolo.

«Thraun?» azzardò Hirad.

Il giovane sollevò lo sguardo dall'erba che stava fissando e guardò il barbaro. Non c'era forza nel suo sguardo, né determinazione. Non c'era niente tranne un cupo dolore.

Hirad aveva ottenuto l'attenzione di Thraun, ma non sapeva come mantenerla; sapeva solo che doveva in qualche modo toccargli il cuore, che non si poteva più continuare con quel silenzio. «Come ti senti?» Il barbaro trasalì mentre formulava quella sciocca domanda.

Thraun la ignorò. «A Will sarebbe piaciuto questo posto», disse invece, e la sua voce suonò come un basso grugnito. «Era molto nervoso, sai. Strano, per un ladro così abile. Questo posto è così tranquillo. Lo avrebbe calmato.»

«Nonostante il gran numero di draghi enormi che volano in giro?»

Un pallido sorriso comparve sulle labbra di Thraun. «Nonostante quello, sì. Buffo, non credi? Un essere così piccolo come il famiglio di Denser lo aveva spaventato tanto, mentre un animale grosso come un drago non lo avrebbe quasi turbato.»

«Ci sono tante cose buone nei draghi, almeno nei Kaan», osservò Hirad. «In quel famiglio c'era ben poco di virtuoso.»

Thraun annuì e riprese a osservare il terreno. «Non posso sopportarlo», disse all'improvviso, cogliendo Hirad alla sprovvista.

«Cosa?»

«Solo lui sa com'è veramente.» Thraun indicò l'Ignoto, che stava in piedi accanto ai maghi insieme coi tre Protettori sopravvissuti. «Avere qualcosa in te che odi e ami in egual misura. Qualcosa che vorresti non ti tormentasse, ma senza cui non puoi vivere. Però i suoi amici non sono morti quand'era un Protettore.»

«Richmond sì.»

«Ma l'Ignoto non gli era accanto, giusto? Lo avevate creduto morto. Se n'era andato, e Richmond non ha potuto essere salvato.»

«E neanche Will», ribatté Hirad, con schiettezza. «Ascolta, quando Sirendor Larn è morto, ho provato le stesse emozioni. Come se lo avessi tradito per il fatto di non essere stato al suo fianco al momento dell'aggressione. Ma ho dovuto accettare che non avrei potuto fare molto di più. Sì, ho avuto la mia vendetta, ma sai un'altra cosa? Non diminuisce il dolore. Devi solo andare avanti come meglio riesci. Goditi le cose che hai ancora, non rivangare le cose che non hai.»

Thraun fece un lieve cenno d'assenso, con gli occhi umidi di lacrime. «So che vuoi aiutarmi, Hirad. E ti ringrazio. Ma Will era il mio unico legame col mondo umano quando avevo la forma di lupo. Era l'unico di cui mi potessi fidare per tornare indietro. L'unico abbastanza coraggioso da starmi vicino nei momenti più selvaggi. E io l'ho abbandonato. Mi sono nascosto nella mia invulnerabilità perché avevo paura. A Will è costato la vita.

«È una cosa che non potrete mai capire. Lui era la mia famiglia: gli volevo bene perché sapeva chi ero e si rifiutava di giudicarmi per questo. Ora gli unici che non mi giudicheranno, gli unici che sono la mia famiglia sono i componenti del branco. Quando tornerò su Balaia, li troverò.»

«Ora la tua famiglia è il Corvo», replicò Hirad. «Siamo forti e ci preoccupiamo per te. Resta con noi.» Le parole di Thraun lo avevano scosso. Sentiva che il mutaforma gli stava sgusciando via.

Di nuovo un pallido sorriso affiorò sulle labbra di Thraun. «Sono un'offerta e un impegno più grandi di quello che pensi. Ma io non appartengo al Corvo, non veramente. Non senza Will.» Per un istante, Thraun fissò intensamente il barbaro negli occhi. «Ma non lo deluderò.»

«Lo so», mormorò Hirad.

 

Era strana, la forza che attirava l'Ignoto verso i Protettori. Sapeva come si sentivano; vedeva la loro solitudine, la loro ansia per la separazione dai fratelli. Perciò rimase con loro, gli donò la sua presenza. All'inizio non ci furono parole, però l'Ignoto percepiva la stessa mancanza di motivazione che aveva osservato in precedenza. D'un tratto ruppe il silenzio. «Cil, Ile, Rya, sono Sol. Mi conoscevate. Mi conoscete ancora. Siete turbati.»

Cil chinò la testa mascherata. «Non riusciamo a sentire i fratelli, né la catena che ci lega. Le nostre anime sono distanti. Temiamo di averli persi.»

«La catena si è spezzata?» L'Ignoto era allarmato. Rimuovere il legame che congiungeva un Protettore al pozzo delle anime avrebbe significato ucciderne il corpo e perderne l'anima. Ma nessun Protettore aveva mai viaggiato nelle varie dimensioni, e quelli davanti a lui erano più che vivi.

«Non riusciamo a sentirla», disse Rya. «Non c'è.»

«Però sentite ancora le vostre anime.»

«Distanti.»

«Allora...»

«Siamo liberi?» lo anticipò Cil. «Lo sapremo solo togliendoci le maschere. Ma, se ci sbagliamo, il tormento sarà eterno. E come possiamo essere veramente liberi quando le nostre anime non sono all'interno del corpo?»

«Styliann lo sa?» domandò l'Ignoto, chiedendosi se lui stesso fosse libero. Eppure la speranza per i fratelli aumentò, anche se ne temeva la reazione di fronte a una separazione permanente dalla totalità.

«Siamo sempre affidati a lui», disse Cil. «Non mineremo le sue convinzioni.»

«Vi sosterrò, qualsiasi cosa scegliate», dichiarò l'Ignoto.

Cil, Rya e Ile annuirono con un movimento preciso. «Siamo una cosa sola», dissero. «E sempre lo saremo.»

 

Darrick aveva deciso la linea di azione prima ancora di essere rientrato nell'accampamento, coi fischi di scherno degli occadi che gli risuonavano forti nelle orecchie. Chiamando i comandanti dei reggimenti, scese da cavallo ed entrò a grandi passi nel posto di comando, tallonato dai due baroni, leggermente senza fiato per l'intensa cavalcata. Si sistemò dietro il tavolo su cui erano sparse le mappe; gli ufficiali di grado più elevato si disposero davanti a lui in attesa di ordini, che furono rapidi e sicuri. Mai dimostrare debolezza. Mai tentennare. Essere pronti a adattarsi, ma mai cambiare.

«Tessaya non si arrenderà, e questo non mi ha sorpreso, anche se sono rimasto deluso dalla reazione di un uomo della sua cultura e della sua intelligenza. Pensa di tenerci in pugno. Non possiamo fare breccia nelle sue linee per raggiungere la residenza di Septern e non possiamo evitare che marci su Korina. Ovviamente non tenteremo nessuna delle due cose.

«Ci muoveremo invece per impegnare subito il suo esercito, senza nessuna intenzione di farvi breccia, solo per tenerlo occupato. Non attaccheremo con tutte le nostre forze. Stimiamo che l'esercito che accerchia la residenza sia composto da otto, diecimila uomini. Solo i Protettori lo tengono a distanza. Ecco cosa succederà.

«Il secondo, terzo e quarto reggimento agli ordini del capitano Izack partiranno immediatamente dirigendosi a sud, per poi svoltare a est attraverso la foresta Grethern con l'obiettivo di attaccare gli occadi alla residenza da sud, domani alle prime luci.

«Come ovvio, Tessaya avrà previsto la mossa. Non è uno stupido. Perciò il resto dell'esercito al mio comando lo affronterà direttamente. Cercheremo di attirarlo nella foresta, dove la nostra inferiorità numerica sarà uno svantaggio meno grave. In particolare, divideremo i reggimenti nelle centurie che li compongono e ogni capitano avrà un'area specifica da controllare. È una strategia rischiosa, ma ci consentirà di coprire un fronte più ampio. Sarà una battaglia continua, a meno di non riuscire a convincere Tessaya che ci ha intrappolato nella foresta. Commenti?»

«Signore, procedere attraverso i boschi è lento», disse Izack, un soldato di mezza età dai capelli neri, con piccoli occhi castani e i baffi curati in modo impeccabile. «Se avete intenzione di creare un diversivo a Grethern, non dovremmo marciare a nord e svoltare a est dopo le prime rocce?»

«Ma, se rischiassimo di essere sopraffatti dagli occadi, non potreste essere di aiuto. Quando sarete abbastanza a sud per svoltare non visti a est, sapremo se saremo in grado di trattenerli senza di voi. E non dovrete attraversare interamente la foresta; a un miglio dall'accampamento degli occadi dovrete riprendere la pista principale. Nel complesso è un tragitto più rapido di quello lungo le rocce.» Darrick aveva valutato e scartato in precedenza l'idea di Izack. Ma gli piacque che quell'uomo avesse avuto il coraggio di parlare e il cervello per farlo in modo sensato.

«Generale, cercherete di nascondere molti uomini nella foresta. Pensate davvero che possano sfuggire agli occadi?» domandò Gresse.

«Sì, ma solo se facciamo in modo di apparire più numerosi di quelli che siamo. Dobbiamo sfruttare in pieno la forza dei maghi, per tappare i buchi. Questa è anche la ragione per cui ci servono nella foresta a combattere con noi e per cui Izack dovrà percorrere tre miglia verso sud prima di svoltare a est.»

«E se non riusciamo a trattenerli?» chiese Blackthorne.

Darrick scrollò le spalle e diede la risposta che dava sempre a una domanda simile. «Forse è una cosa che dovreste chiedere a Izack, perché io non sarò qui a impartire nuovi ordini.» Non aveva mai considerato la possibilità di fallire o di essere sconfitto; non l'aveva mai provata. E credeva fermamente che in tutto ciò non c'entrasse affatto la fortuna. «C'è altro?»

Tutti scossero la testa. «No, signore», risposero in coro i capitani.

«Allora venite da me a turno per ricevere gli ordini specifici per la vostra zona. Baroni, vi sarei grato se allertaste i vostri contadini e vendemmiatori che hanno montato il campo con tanta abilità, perché organizzino una difesa dello stesso livello.»

La risata di Gresse echeggiò mentre i due baroni lasciavano la tenda di Darrick.

 

La notte era fonda quando il Corvo si radunò intorno al fuoco per parlare brevemente prima di godersi un po' di riposo. L'indomani si sarebbe deciso il destino delle due dimensioni. Le terre della stirpe erano silenziose; da qualche apertura nelle abitazioni provenivano luci, ma i balaiani erano le uniche persone all'esterno.

«Siete in grado di farlo?» domandò Hirad, con la tazza di tè che gli scaldava le mani.

«In teoria, sì», rispose Erienne.

«In pratica?» chiese l'Ignoto.

«Non sappiamo quanta energia ci vorrà per chiudere lo squarcio da questa parte. Abbiamo la capacità di proiettare l'incantesimo da terra ma, se lo sforzo sarà troppo grande, non riusciremo chiudere il corridoio. Abbiamo dovuto stimare l'effetto della casualità sulla struttura di mana nello spazio interdimensionale. Abbiamo dovuto ipotizzare la quantità di forza necessaria alla struttura di chiusura per sigillare il corridoio invece di farlo collassare. La lista va avanti, e si fa tecnicamente più complessa.»

«Dunque questi sono i punti più semplici?» replicò il barbaro, sgranando gli occhi.

Ilkar ridacchiò e gli diede un colpetto sulla gamba. «Povero vecchio Hirad. Per te la magia rimarrà sempre un libro chiuso, temo.»

«Sono meno vecchio di quello che pensi», grugnì il barbaro. «Non voglio ricominciare la discussione. Tutto ciò che volevo era un sì o un no.»

«Ce la faremo», dichiarò Denser. «Ce la facciamo sempre.»

«Hirad ti ha insegnato cosa dire?» ribatté Ilkar.

«Bisogna crederci.» Denser alzò le spalle. Erienne gli mise un braccio intorno al collo e lo baciò sulla guancia.

«Lui chiaramente ci crede», commentò l'elfo, guardando Hirad.

«E lui?» Il barbaro indicò Styliann, che sedeva con la schiena appoggiata a una roccia e gli scritti di Septern ben stretti al petto. «Lui ci crede?»

«Con un fervore cui stento a prestare fede», rispose Denser. «Francamente mi preoccupa. A volte ha uno sguardo folle. Non so se sia spaventato o eccitato.»

«Be', abbiamo bisogno di lui», disse Erienne. «Perciò non irritatelo.»

«E lui ha bisogno di noi», affermò Hirad. «Non dimentichiamolo. Se la cosa fallisce, morirà con noi.»

Il Corvo tacque. Hirad saggiò l'atmosfera calda, pesante. La stirpe Kaan era a riposo. Ma i draghi sapevano, mentre le loro menti si riprendevano dall'ultima battaglia, che la successiva avrebbe stabilito se la stirpe avrebbe continuato a prosperare o cessato di esistere. Sapevano che molti avrebbero patito il dolore delle fiamme e degli artigli e che, per quanto strenuamente potessero combattere, il destino non era nelle loro mani.

D'un tratto la responsabilità del Corvo si fece molto pesante sulle spalle di Hirad. Sha-Kaan stava tornando dalla missione presso i Veret e avrebbe voluto da lui una risposta più sicura di quella che gli aveva fornito in precedenza. Nonostante l'apparente sicurezza di Denser, il barbaro non riusciva a scuotersi di dosso l'ansia. Era una cosa che avrebbe dovuto risolvere prima di affrontare il Grande Kaan.

«Cerchi ancora di evitare l'estinzione con le parole, Sha-Kaan. Scegli ancora di aprire la bocca per parlare anziché sputare il fuoco che ti rende un vero drago. Pochi rimpiangeranno la scomparsa dei Kaan. Tu predichi quello che nessun'altra stirpe vuole sentire.»

Il Grande Kaan continuò a volteggiare pigro. Il capo dei Naik, Yasal-Naik, che volava con due accompagnatori, lo aveva intercettato al ritorno dalla missione nell'oceano della stirpe Veret. Era chiaro che Yasal in quel momento non aveva intenzione di combattere, né voleva parlare di pace. Sha-Kaan non ne era sorpreso, ma si rimproverò per non avere variato rotta per tornare a Teras.

Molto più in alto delle nubi, nelle correnti fredde in cui lasciava che il vento lo spingesse per riportarlo a casa, aveva individuato i tre Naik e deciso di non evitarli. Nonostante la stanchezza nelle ossa, nelle squame e nelle ali, si sentiva in grado di sconfiggere tre esemplari della stirpe color ruggine, più piccola dei Kaan. Mentre si avvicinavano, aveva individuato Yasal dal taglio sulla testa. Era stato lo stesso Sha-Kaan a creare quella ferita più di cento cicli addietro, in una battaglia sopra Beshara.

I due draghi più anziani girarono l'uno intorno all'altro, mentre gli accompagnatori rimasero più in basso, distaccati.

«I Naik sono l'unica stirpe che resta cieca davanti alla devastazione che creiamo nelle nostre terre. Non possiamo combattere per sempre. Se lo facciamo, non ci saranno più terre in cui vivere. Si arriverà a un punto in cui anche voi dovrete riconoscerlo.»

Yasal-Naik emise una risata rabbiosa. «Ma la battaglia è già vinta, Sha-Kaan. Con la tua stirpe distrutta e la vostra dimensione d'interscambio in fiamme, abbiamo il dominio. Tutte le altre stirpi piegheranno le loro ali davanti ai Naik. I Veret sono già condannati alla sottomissione. I Gost li seguiranno e gli Stara anche, finché ogni stirpe non eseguirà gli ordini dei Naik.»

«La tua eccessiva sicurezza sarà la tua disfatta, Yasal», replicò Sha-Kaan. «Non esultare per la vittoria prima di averla conquistata.»

«I Kaan sono tanto disperati da cercare alleanze coi deboli abitatori delle acque, e hanno perfino chiamato i balaiani in loro aiuto. Credi davvero che gli umani riusciranno dove voi avete fallito? Ridurremo le loro ossa in cenere davanti ai vostri stessi occhi. Condurrò i Naik al trionfo oltre la porta mentre voi giacerete morti a terra, mai più capaci di risollevare le ali. Scacceremo l'acqua dagli oceani di Balaia, abbatteremo le loro esili torri e frantumeremo le loro montagne. Chiunque sopravvivrà sarà cibo per i miei draghi. Non mi fermerò finché ogni insetto su Balaia non sarà morto. Quando avrò terminato, niente vi crescerà, camminerà o volerà più.»

«Tanto odio, tanto veleno che acceca», mormorò Sha-Kaan. «Ti faccio l'ultima offerta. Smettete di attaccare, e non daremo la caccia ai Naik fino a distruggerli quando la porta verrà chiusa.»

«La porta non verrà mai chiusa», ribatté Yasal-Naik, con gli occhi pieni di disprezzo e la bocca incapace di trattenere la saliva che il vento gli portava via. «Forse alla fine l'età ha sopraffatto la tua mente. Abbiamo vinto, Grande Kaan. L'unico motivo per cui sono qui è ricordarti che stai assistendo alla morte della tua stirpe. Sono qui per guardare la faccia del fallimento.»

«Allora vola fino all'oceano e guardatici riflesso, Yasal. Domani la porta verrà chiusa e i Naik proveranno la rabbia dei Kaan, ciclo dopo ciclo, finché non esisteranno più. Prendi la tua scorta e va'. Con tutta la tua potenza, non hai il coraggio di affrontarmi da solo. Sei piccolo, Yasal-Naik, e la tua scomparsa segnerà il momento in cui le stirpi cominceranno a rispettare le terre che distruggono tanto avventatamente.»

«Banchetterò di persona con la tua carne», replicò il Naik.

Sha-Kaan aprì la bocca e ruggì tutta la sua delusione. Batté forte le ali, inclinò il corpo verso l'alto e si portò sopra l'avversario. «Vattene, Yasal! Vattene prima che io trascini entrambi giù dal cielo. Non osare entrare nello spazio dei Kaan quando il globo di luce illuminerà il cielo, altrimenti incontrerai la tua morte.»

Yasal chiamò a sé gli altri due Naik. «Sei un vecchio idiota, Sha-Kaan. Prega i cieli per la tua stirpe e per la tua dimensione d'interscambio. Prima che il globo di luce tramonti di nuovo, sarete spariti e i Naik governeranno. A domani, Grande Kaan.» I tre Naik virarono e si allontanarono veloci.

Sha-Kaan pensò per un istante d'inseguirli. Uccidere Yasal in quel momento avrebbe mutato le sorti della battaglia. Ma non poteva rischiare di morire, perché ciò avrebbe sancito la sconfitta definitiva dei Kaan. Il Grande Kaan ruggì di nuovo, stavolta incendiando l'aria, prima di gettarsi nelle nubi e dirigersi verso casa.

«Finta a sinistra, colpisci a destra, ascia, difesa con spada piatta, centro del petto, ascia sopra la testa. Colpisci dall'alto, ascia, spada ad altezza di testa, parata a sinistra. Mezzo passo in avanti, affondo, ascia indietro di un quarto, blocca in basso. Abbassati, benda la ferita, spazio riempito. Riposa. Colpo rapido in alto a sinistra, colpo lungo con l'ascia, arretra. Mantieni la posizione.»

Ogni colpo era sicuro, ogni mossa calcolata, calma e precisa. I Protettori combattevano con una ferocia silenziosa e terribile, le loro menti comunicavano alla velocità del pensiero e i loro occhi si muovevano collegati senza tralasciare nulla. Gli occadi si scontrarono con una barriera di acciaio. I canti furono sopraffatti dal cozzare delle armi e dal tonfo delle lame che affondavano nella carne. Gli ordini e le tattiche mutevoli furono vanificati da colpi precisi e da una forza incrollabile.

«Fratello caduto. Piangete il corpo, confortate l'anima. Preparatevi a elevarla.»

Le ondate degli occadi si abbattevano ripetutamente contro quel muro di metallo scintillante e di maschere inespressive. Erano tanti, ma morivano sempre più numerosi e la sicurezza andava e veniva; ogni uccisione di un Protettore veniva comunicata all'intero esercito.

I Protettori combattevano come se non fossero stati così pochi. In file di tre, distanziati per poter sfruttare al massimo le armi, paravano attacco dopo attacco resistendo e spostandosi rapidi mentre le linee degli occadi si spezzavano e si ricompattavano agli ordini dei comandanti. Là dove i cadaveri dei nemici formavano mucchi troppo fitti per poter combattere, i Protettori attendevano che i compagni li trascinassero via lasciando tracce di sangue e d'interiora a contrassegnare l'ultimo viaggio.

Aeb rispettava l'energia degli occadi, non però il disordine in battaglia. Ogni uomo combatteva da solo o tutt'al più con uno o due guerrieri, e ciò lasciava buchi che i Protettori sfruttavano. Non sapeva quanto a lungo avrebbero dovuto resistere, solo che il loro Affidato aveva ordinato che lo facessero. Anche Sol, il Protettore che era tornato a essere un uomo libero e che tutti guardavano con riverente timore, aveva chiesto loro di resistere il più a lungo possibile.

Messaggi, consigli, ordini e avvertimenti fluivano senza sosta nella mente di Aeb, filtrati in base all'importanza o segnalati alla sua attenzione. Mentre mozzava il braccio a uno degli occadi e parava il colpo di un secondo avversario, inviò un avvertimento a Fyn, la cui difesa sul fianco era momentaneamente sguarnita a causa del poderoso colpo subito da Jal.

«Aeb, colpo d'ascia, a sinistra.»

Lui rispose con un gesto automatico e sentì l'ascia cozzare contro l'arma di un avversario. Poi spostò l'ascia in alto e verso destra e la sentì affondare nel petto dell'uomo, che fu sollevato da terra. Con una scrollata si liberò del cadavere, rivolgendo nel contempo l'attenzione al guerriero che lo attaccava al fianco destro.

«Ripiegare, dietro l'altura della residenza. Prima fila riposo, la terza avanti. Armi pronte. Combattete.»

Aeb conficcò con ferocia la spada in un collo esposto.

Era metà pomeriggio.

«Balaia, in marcia!» tuonò Darrick, mulinando la spada in un ampio cerchio sopra la testa. Abbandonato il cavallo per procedere a piedi in testa a un esercito di soli fanti, il generale si rese il più visibile possibile. Sapeva che gli esploratori nemici avrebbero fatto subito rapporto a Tessaya e voleva che lo guardassero tutti.

Si era premurato che i capitani capissero che l'attacco poteva giungere in qualsiasi momento, e a quel punto si sarebbero dovuti sparpagliare nella foresta divisi in centurie, per dirigersi verso le posizioni assegnate. Non avrebbero dovuto ingaggiare battaglia in campo aperto a meno che non fosse stato assolutamente necessario. In realtà, se gli occadi fossero rimasti all'esterno, Darrick sarebbe stato più che lieto di tenerli a distanza. Aveva avvertito i suoi della confusione dei combattimenti in mezzo alle foreste e dell'importanza di una comunicazione costante lungo la linea frammentata del fronte. Sapeva che era un azzardo, ma riteneva fosse l'unica possibilità.

Avrebbe voluto parlare all'esercito riunito ma quel lusso gli era stato negato dall'incalzare del tempo e dalle esigenze organizzative. Aveva invece cercato di trasmettere alla squadra di comando la rilevanza di quanto avrebbero intrapreso. Ancora una volta, Balaia non poteva permettersi che fallissero. Il Corvo si meritava tutto il loro coraggio e tutta la loro energia. Non aveva senso risparmiarsi per la battaglia successiva perché, se avessero fallito in quell'occasione, non ci sarebbero state battaglie successive. Né per loro né per gli occadi.

L'esercito partì in formazione serrata. I maghi erano davanti, disposti in coppie e protetti da un Occulta Cammino, in cerca di esploratori nemici. In cuor suo Darrick sapeva che sarebbero serviti a poco o a niente, ma non aveva senso tenerli dietro e avrebbero almeno costituito un sistema di allarme.

Erano a meno di un'ora dal caos totale della foresta Grethern e voleva sfruttare al massimo ogni più piccolo vantaggio. I reggimenti avanzarono rapidi lungo la pista principale, guadagnando terreno verso il campo degli occadi a un miglio di distanza. Avevano percorso meno di metà strada quando davanti a loro si levò un rombo; echeggiò tra i dirupi lontani, si diffuse lungo i lievi pendii fin dentro Grethern e restò sospeso come una nube sopra il rilievo cui si stavano avvicinando. Gli occadi stavano caricando.

Due coppie di maghi abbandonarono l'incantesimo e apparvero accanto a Darrick. «Occadi a settecento passi, stanno correndo, generale», disse uno, un elfo alto e magro, calvo, vestito con abiti aderenti.

«Dimensioni del fronte?»

«Da trecento a trecentocinquanta passi, dai primi rilievi settentrionali ai primi alberi a sud.»

«Grazie.» Era un fronte ampio, ma non più di quello previsto. Darrick valutò il terreno. A sinistra e a nord la pista si perdeva tra lievi ondulazioni rocciose, che a più di un miglio di distanza terminavano cedendo il posto ad alti dirupi e ghiaioni. A sud si ergeva la foresta Grethern, scura e fitta. I primi tronchi si trovavano, sparpagliati qua e là, a non più di un centinaio di passi, ma il campo di battaglia preferito di Darrick era la folta vegetazione che cresceva duecento passi più in là. Ne vedeva l'oscurità, sentiva quasi i rami che bloccavano il cammino e pregò tutti gli dei di avere preso la decisione giusta.

Izack avrebbe guidato la colonna dei rinforzi diretta a sud, alla residenza di Septern. Quello era il momento più rischioso per il piano. Darrick non poteva permettere che un solo esploratore nemico segnalasse che il suo esercito si era diviso. Tessaya doveva credere di combattere contro tutte le truppe di Balaia orientale. I maghi di Gyernath stavano esplorando rapidi la foresta più indietro, i dirupi e le alture a nord. Era ora di muoversi.

Il generale alzò una mano, e il comando di fermarsi fu trasmesso alla colonna. Poi alzò il pugno, aprì le dita e gridò l'ordine di dividersi. «Centurie staccatevi, formazione a mezzaluna in base al numero. Correte!»

In modo un po' discontinuo, dato che non avevano avuto il tempo di esercitarsi, le centurie ruppero la formazione allontanandosi in sequenza dalla pista principale e lasciando una linea consistente a difenderla. Darrick l'aveva definita a mezzaluna, e così appariva nei suoi schemi; nella realtà sembrava una cascata irregolare.

Il generale fece un cenno di apprezzamento e partì con le sue due centurie, deviando solo leggermente dalla pista. Era poco più di un'esca. In qualità di avanguardia al galoppo, sperava d'indurre l'esercito di Tessaya a entrare nella foresta prima che il nemico individuasse la debolezza delle forze dirette verso il loro accampamento. Gli occadi avrebbero potuto circondarli rapidamente, Darrick ne era consapevole, ma faceva affidamento sul desiderio di combattere del nemico. Il generale era sicuro che Tessaya, pur essendo un abile stratega, avrebbe visto la sua mossa come un tentativo di aggirare la residenza di Septern.

Alle spalle di Darrick, l'esercito si precipitò verso la foresta superandone i confini. Le centurie cambiarono direzione e dal caos emerse l'ordine, mentre ognuna trovava il suo spazio e la sua posizione rispetto alle altre. Era un muro costruito solo in parte, ma una tentazione certamente troppo forte perché gli occadi la ignorassero.

Le prime linee nemiche superarono un'altura gridando forte, mentre scrutavano l'esercito frammentato sotto di loro. Per un po' continuarono ad ammassarsi come una macchia scura che si allargava all'orizzonte, poi il fragore di un centinaio di corni li fece riversare giù verso i balaiani orientali. Canti e grida di battaglia squarciarono l'aria, e Tessaya apparve ben visibile al centro della formazione.

Per un istante Darrick valutò l'idea di attaccarlo; poi pensò che, sebbene fosse in prima linea, il comandante nemico sarebbe stato ben difeso. E lui aveva cose migliori da fare che suicidarsi. Prese le due centurie e partì verso Grethern, mentre le prime frecce degli occadi cadevano troppo lontane.

«Tenetevi pronti!» gridò, vedendo i suoi schierati lungo il confine della foresta. «Arretrate di tre passi. Costringeteli a variare l'andatura. Maghi, tappate quei buchi.»

Gli ordini furono trasmessi attraverso la foresta mentre gli occadi si gettavano verso l'esercito di Darrick. Le frecce saettavano e cozzavano contro gli alberi e i rami, urla e provocazioni echeggiavano cupe nelle profondità della foresta. Il generale si girò, tracciò una linea nel mucchio di foglie che aveva davanti; i suoi uomini si misero in formazione intorno e dietro di lui.

Il cielo, triste e grigio, rovesciava pioggia; il vento aumentò sotto le nubi, sibilando tra gli alberi. Da qualche parte, Izack e i suoi soldati stavano correndo in soccorso dei Protettori. Darrick guardò gli occadi precipitarsi verso la foresta abboccando all'esca preparata per loro. Ma i balaiani orientali erano inferiori di numero e si sarebbero dovuti impegnare allo stremo per restare imbattuti. Sarebbe stato un lungo pomeriggio.