Capitolo 6
Passò ancora un giorno prima che il Corvo lasciasse Parve. Denser non era propriamente in grado di viaggiare, ma il tempo stringeva. Era una giornata calda e gli spazi aperti delle Terre Desolate attiravano il calore. Cavalcare sarebbe stato disagevole senza una nube che coprisse il sole.
La seconda misurazione dell'ombra di mezzogiorno non aveva portato a risultati certi: non era chiaro se lo squarcio fosse aumentato o diminuito. L'Ignoto ipotizzò di nuovo che ci sarebbe voluta almeno una settimana prima di disporre di misurazioni attendibili.
La cavalleria delle quattro Città College, comandata del generale Darrick, si era in parte divisa. Tre maghi, tutti esperti di comunione mentale, sarebbero rimasti nascosti a Parve. Con loro sarebbero rimasti quindici soldati a cavallo, che tra le tante istruzioni avevano quella di studiare in dettaglio e misurare il drago. Sarebbe stata quella piccola compagnia a fornire l'informazione principale: quanto tempo ci sarebbe voluto prima che lo squarcio diventasse troppo ampio perché la stirpe Kaan potesse difenderlo. Ciò lasciava Darrick con circa duecento cavalieri e undici maghi per attaccare, difendersi ed effettuare comunioni mentali.
I novanta Protettori di Styliann rappresentavano una forza formidabile e la magia del Lord della Montagna era incredibilmente potente. Tuttavia Hirad, mentre cavalcava col Corvo, non poté fare a meno di ritenere che fossero troppo pochi. Anche se i cinquantamila e più occadi fossero stati concentrati solo in alcune zone a est e a ovest dei monti Blackthorne, evitarli sarebbe stato difficile, e non potevano sperare di sopraffare o di battere in velocità un esercito di occadi.
Quello era il problema più grande e immediato. Dopo avere escluso l'idea di attraversare la catena di monti ripida e insidiosa, non restava che tentare col passo Understone, il che sarebbe stato un suicidio, oppure dirigersi verso nord al golfo di Triverne o verso sud alla baia di Gyernath; in entrambi i luoghi sarebbero stati costretti a rubare delle imbarcazioni per raggiungere la meta finale. La decisione su quale traversata tentare andava rinviata finché non avessero percorso almeno due giorni di cammino sulla pista che conduceva nei pressi del sommo tempio dei Signori delle Ombre e direttamente al passo Understone.
Hirad represse un brivido. Il sommo tempio era dove il sangue dei Protettori, del Corvo e dei Signori delle Ombre era stato versato, ma anche dov'era stato trovato l'ultimo catalizzatore del Ruba Aurora. Non era un luogo su cui il barbaro avrebbe voluto posare di nuovo lo sguardo. Mentre la colonna usciva lenta da Parve con Darrick in testa, il Corvo dietro la cavalleria e i Protettori che circondavano Styliann in fondo, Hirad scosse il capo. «Ci stiamo prendendo in giro!» esclamò.
Ilkar voltò il capo. «Come dici?»
«Dobbiamo decidere in fretta cosa vogliamo veramente. Non siamo stati chiari, e questo ci costerà.»
«Non ti seguo», replicò il julatsano.
«Perché il Corvo dovrebbe raggiungere le Città College? Gli studiosi laggiù non possono svolgere le ricerche per noi?»
«Nessuno di noi sa con precisione cosa cercare», replicò Ilkar.
«Sì, invece. Dobbiamo trovare e leggere tutto su Septern. Cioè, voi maghi dovete farlo, dato che io non ne sono in grado. Poi dobbiamo unire quelle informazioni a ciò che Xetesk sa delle porte dimensionali e dei portali dragonene. Poi dobbiamo effettuare un incantesimo che funzioni.»
Ilkar inarcò le sopracciglia, mentre cercava di reprimere un sorriso. «Non è come fare una passeggiata!»
Hirad appariva perplesso.
«Se dobbiamo creare un nuovo incantesimo per chiudere quel coso, siamo finiti.»
«Cosa?» Il barbaro sobbalzò sulla sella.
«Un incantesimo simile a quello che suggerisci richiederebbe da uno a cinque anni per essere scritto, collaudato e speri-meritato, anche presumendo che possedessimo le conoscenze di base e la comprensione per farlo», spiegò l'elfo. «Ciò che speriamo di trovare, cosa che ti è chiaramente sfuggita, è uno scritto di Septern che contenga un incantesimo concepito per chiudere lo squarcio o che ci dica dove trovarne uno. Nella migliore delle ipotesi la connessione dimensionale di Xetesk rappresenterà una base per aiutarci a capire più in fretta.»
«Non capisco», replicò Hirad. «Sicuramente uno squarcio è uno squarcio. Se ne puoi aprire uno, ne puoi anche chiudere uno.»
«No», disse Erienne, facendo avanzare il cavallo fino a porsi tra il barbaro e Ilkar. «Ci sono tre tipi diversi di squarci; quattro, se si contano i portali dragonene. Abbiamo gli squarci stabili e confinati di Septern, che alcuni di voi hanno attraversato, la connessione dimensionale di Xetesk che è magia instabile, e i portali dragonene, che presumiamo siano controllati dai draghi stessi. Infine c'è lo squarcio incontrollabile conseguenza del Ruba Aurora. Sono strutture completamente diverse. Affermare di poterne chiudere uno perché ne puoi chiudere un altro è come dire che puoi fare scarpe per i cavalli perché le puoi fare per le persone. Tutto ciò di cui siamo sicuri è che, a un livello probabilmente basilare della dottrina magica, esiste un collegamento tra gli squarci confinati di Septern e quello in cielo. Solo il suo lavoro ci può aiutare davvero, nel poco tempo che abbiamo a disposizione. Non c'è tempo per fare gli apprendisti fabbri.»
«Non pensi che troveremo qualcosa che rappresenti una risposta certa al problema, vero?» domandò l'Ignoto.
«No», rispose Erienne. «Qualsiasi cosa sarà, correremo un grosso rischio con ciò che alla fine lanceremo.»
«E che succede se non troviamo niente negli scritti di Septern?» chiese Hirad.
«Moriremo», rispose l'Ignoto.
Su tutti calò il silenzio.
«Sempre allegro, eh?» osservò Hirad.
«Non sono abituato a mentire.»
«Nulla di tutto ciò cambia la questione originaria che stavo cercando di sottolineare, cioè che trecento di noi non sgattaioleranno attraverso il golfo di Triverne o la baia di Gyernath senza essere visti dagli occadi», disse il barbaro. «Dobbiamo decidere cosa fare.»
L'ignoto fissò davanti a sé le schiene dei cavalieri. Poi si girò e guardò i Protettori alle sue spalle. «Dobbiamo discuterne meglio, e questo non è il posto. Ci sentiranno, e non credo che Styliann dovrebbe sentirci. Hirad ha ragione. Nella fretta di partire e di elaborare un piano, abbiamo dimenticato che noi siamo il Corvo. Prendiamo le nostre decisioni in privato.» L'Ignoto annuì al capo Protettore, che chinò molto lievemente la testa.
Dalla maschera di ebano non trasparve nulla, ma Hirad suppose che i due si fossero detti qualcosa. Di qualsiasi cosa si trattasse, l'Ignoto la tenne per sé.
L'eterogenea colonna attraversò le Terre Desolate sotto un sole infuocato. I segni di vecchi accampamenti degli occadi giacevano sparsi sul suolo compatto e tra i cespugli secchi. Terra annerita e legno bruciacchiato, tele strappate, pezzi di corda e scarti di metallo. Qua e là il cadavere di qualcuno che si era azzuffato con la persona sbagliata.
Mancavano sette miglia alla linea degli alberi e alla volta accogliente di foglie e rami sulla pista che conduceva dalle Terre Desolate, attraverso le valli accidentate e le colline di Balaia occidentale, oltre il tempio dei Signori delle Ombre fino al passo Understone.
Lo squarcio dimensionale stava sospeso nel cielo. Minacciava l'aria e gettava la sua ombra sulla città dei Lord stregoni. Un'ombra che sarebbe cresciuta fino ad abbracciare tutta Balaia, a meno che il Corvo non avesse trovato il modo di richiudere lo squarcio.
La colonna cavalcò per due ore lasciandosi Parve alle spalle. Hirad sentì la tensione allentarsi via via che gli edifici rimpicciolivano in lontananza. Era una sensazione che quasi compensò il disagio della cavalcata. I cavalli sudavano nella calura attirando nugoli di mosche ronzanti, che affliggevano animale e cavaliere. Hirad agitava in continuazione la mano davanti al volto e aveva il corpo coperto da una patina di umidità. Rivoli di sudore gli correvano giù per la schiena e si raccoglievano sul fondoschiena, dove favorivano irritazioni e sfregamenti.
Il tardo pomeriggio portò temperature più fresche, una copertura di nubi e una variazione del terreno. Superato il margine settentrionale di una splendida regione di valli fluviali, di vegetazione lussureggiante e di colline ricoperte di felci, i cavalieri orientali entrarono in una terra molto più aspra. Il terreno s'innalzò a formare una serie di picchi aguzzi disseminati di pietre.
Darrick ordinò di smontare per risparmiare gli zoccoli dei cavalli. Uomini e maghi condussero i destrieri su insidiose lastre di roccia, semisepolte sotto chiazze di erba alta. Su entrambi i lati, il terreno precipitava nelle gole spazzate dal vento, formando ripidi ghiaioni. Non si vedevano segni di abitazioni.
«Qui siamo esposti», disse il Guerriero Ignoto, nervoso.
«Solo agli elementi», replicò Ilkar, chiudendosi meglio il mantello sulle spalle. Il vento sferzava stoffa ed erba; il caldo cedette rapidamente il posto al freddo.
«Se c'individuano, non abbiamo nessuna copertura», insistette l'Ignoto. «Thraun, che ne pensi?»
Il mutaforma aveva trascorso un po' di tempo in testa alla colonna, per consigliare gli esploratori di Darrick. «Non è male come sembra, anche se sarebbe bene percorrere altri quattrocento passi in direzione nord, se possibile. Gli esploratori hanno segnalato ben poche abitazioni quassù. Questa terra non serve a nessuno, tranne che alle capre. È improbabile che incontriamo dei locali; l'unico rischio è imbattersi in pattuglie di occadi. Ci sono poche piste praticabili per i cavalli, e questa e una delle migliori. Ho la sensazione che gli occadi non ci daranno problemi per un giorno o due. Abbiamo istruito tre esploratori affinché raggiungano il bivio sopra Terenetsa. È a più di due giorni a cavallo da qui per un esploratore veloce. Era tre giorni avremo un quadro migliore. Fino ad allora, dovrete affidarvi a me per evitare i guai.»
«E credi che li eviteremo?» domandò Ilkar. Era giunto a rispettare la conoscenza che Thraun possedeva della terra e degli odori.
«Sì.»
Poco dopo il crepuscolo, Darrick fermò la colonna a ridosso dell'ennesimo ripido pendio. Il vento aveva spazzato via le nubi; l'aria tersa si stava raffreddando in fretta.
Gli elfi contrassegnarono veloci i confini oltre i quali non si doveva vedere nessuna fiamma; così fu stabilito il perimetro del campo. Le prime guardie presero posizione e si accesero i fuochi per cucinare.
Il Corvo si sistemò nell'angolo opposto a Styliann e ai Protettori.
Mentre sedevano intorno al fornello di Will, in attesa che l'acqua bollisse, Hirad ridacchiò. «Mi chiedo come Styliann si senta. So che non ha molti amici, ma ci saranno trenta passi fra lui e il cavaliere più vicino, e gli uomini sembrano ancora tesi.»
«Non penso che gliene importi nulla», disse Denser. «È abituato a stare da solo.» Il mago oscuro era steso sulla schiena, con la testa in grembo a Erienne. Lei gli accarezzava i capelli in quella che stava diventando una scena familiare.
Hirad e l'Ignoto si scambiarono un'occhiata. Erano le prime parole che Denser diceva in tutto il giorno, e il suo era stato un silenzio distaccato: lo xeteskiano aveva cavalcato lontano dal Corvo. Tutto ciò che Hirad aveva ricevuto da Erienne in risposta alle sue occhiate preoccupate erano state scrollate di spalle e di testa. In quel momento, mentre lo teneva in grembo, la preoccupazione e la perplessità di lei erano palesi anche alla luce tremolante delle fiamme.
La conversazione proseguì svogliata e frammentata finché non fu versato il tè. A sinistra di Denser e di Erienne sedevano Thraun e Will, mentre Hirad e Ilkar stavano a fianco dell'Ignoto.
«Ilkar, Hirad, non provate una sensazione spiacevole?» domandò l'imponente guerriero.
I due assentirono con un'aria rigida sul volto. I loro occhi erano nascosti dall'ombra.
«Perché solo loro?» chiese Will.
«Perché solo noi tre ci siamo già trovati in potenziali situazioni di combattimento su vasta scala. Ci sono parecchie cose che non vanno.»
«Dobbiamo solo raggiungere in fretta le Città College, e questo è sicuramente il modo migliore», osservò Erienne.
«No, perché non vogliamo provocare combattimenti. Questo drappello invece lo sta facendo, o lo farà quando raggiungeremo i paraggi dei Blackthorne», replicò l'Ignoto. «Allora che suggerisci?» domandò Thraun. «Dobbiamo dividerci da loro. La nostra strada va in una direzione diversa.»
Thraun si accigliò. «Come pensi di fare?»
«La situazione si farà difficile quando raggiungeremo il golfo di Triverne. Possiamo presumere che gli occadi riforniscono i loro eserciti via mare, perciò la loro presenza sarà abbastanza massiccia. Se andiamo con Darrick e con Styliann, ci sarà una battaglia. Se proseguiamo per conto nostro, con gli occhi e le orecchie di Thraun, possiamo prendere una barca e compiere la traversata non visti.»
«E Darrick?»
«Dobbiamo persuaderlo a dirigersi verso sud, alla baia di Gyernath, creando un diversivo per noi lungo la strada. Comunque sia, dobbiamo andare soli.»
«Il punto è che siamo stati considerati un'aggiunta alla cavalleria. Ma non è così che il Corvo opera», osservò Hirad. «Come operiamo, allora?» chiese Denser. «Dovresti saperlo», replicò il barbaro, accigliandosi di fronte al tono brusco del mago. «Ci si presenta un problema, lo valutiamo, prendiamo decisioni, diamo suggerimenti e non ci aspettiamo che ci facciano domande.»
«Non lo ritieni un po' arrogante?» azzardò Will. Hirad alzò le spalle. «Prova solo a chiederti perché siamo ancora vivi dopo dieci anni di battaglie. E perché siamo vivi quando i Lord stregoni sono morti. Non è arroganza. È il sistema del Corvo.»
Ilkar sorrise. «Solo tu sai essere sfrontato con cinquantamila occadi tra te e la tappa seguente.»
«Non è questo, è...»
«Lo sappiamo.» Ilkar annuì. «Se facciamo le cose come pensiamo che debbano essere fatte, rimarremo vivi.» Mimò uno sbadiglio.
Will e Thraun scoppiarono a ridere. Hirad si corruccio leggermente.
«Sono contento che abbiamo chiarito questa cosa», affermò l'Ignoto. «Ora ascoltate. Se Darrick quasi sicuramente capirà, Styliann quasi sicuramente non lo farà.»
«Perché no?» chiese Will.
«Perché il golfo di Triverne rappresenta la via più rapida per Xetesk, dopo il passo Understone. Se Styliann non capirà, dovremmo andarcene di nascosto tra un paio di notti. Spero che non si arrivi a questo. Il Lord della Montagna potrebbe ancora essere un potente alleato e la sua influenza ci aiuterebbe sicuramente ad avere accesso alle biblioteche delle Città College.»
«Non mi fido di lui», dichiarò Ilkar.
«Ma guarda un po' che sorpresa», bofonchiò Denser.
«Non si tratta della rivalità tra i College. Al sommo tempio dei Signori delle Ombre, Styliann ha cercato di ucciderci. Voleva il Ruba Aurora per assumere il potere sulle Città College, oltre che come minaccia nei confronti dei Lord stregoni e degli occadi. Solo gli dei sanno cosa emergerà da questa comunione di conoscenze, ma non credo che Styliann debba prendervi parte.»
«Pensi di tagliare fuori Xetesk?» ribatté Denser, brusco.
Ilkar sospirò. «Tu sei qui, giusto?»
«Hai fatto la tua scelta al sommo tempio», aggiunse Hirad. «Sei un Corvo.»
«C'è di più», affermò Erienne. «La spartizione delle opere di Septern tra le Città College non è stata un capriccio o un caso. Septern è stato molto attento a far sì che nessun College possedesse abbastanza conoscenze da prevalere sugli altri.»
«Era davvero così saggio?» domandò Will.
«Riteneva la sua magia potenzialmente pericolosa», spiegò Erienne. «Credo che avesse capito come le sue ricerche avrebbero potuto essere usate. E aveva ragione: Xetesk lo ha dimostrato con la connessione dimensionale. Pensate solo al rischio, quando riusciranno a stabilizzare il portale.»
«Ho sentito tutto quello che avete detto, ma credo che ci sia un errore di fondo», affermò Thraun. «State facendo affidamento sull'influenza di Styliann perché ci apra le porte delle biblioteche dei College. Guardiamo le cose in faccia: se foste un mago anziano e riceveste la richiesta di selezionare tutte le opere di Septern e di metterle a disposizione del Lord della Montagna, obbedireste?»
«Sì», rispose Erienne.
«No, non lo faresti», ribatté Ilkar. «E Styliann non può non saperlo.»
«Se lo sa, perché a Parve sembrava tanto sicuro del contrario?» domandò Hirad.
«Be', ha una certa autorità e influenza, no?» disse Denser. «Tira le fila anziché fare approcci diretti, di certo con Julatsa e Lystern. I dordoveriani potrebbero reagire bene a una richiesta personale.»
«Ma, se ha in progetto di effettuare una comunione mentale coi maghi anziani degli altri College, dobbiamo impedirgli di prendere la scorciatoia per Xetesk», affermò Hirad. «Questo cosa comporterebbe?» domandò Will. «Essere tagliati fuori, suppongo», rispose l'Ignoto. «Immaginate per un istante che Styliann decida di attraversare il golfo di Triverne e che con le sue richieste irriti le Città College. Dobbiamo sapere esattamente che tipo di azioni intraprendere.» Lanciò un'occhiata intorno al fuoco: gli altri membri del Corvo erano in attesa. Annuì con un lieve sorriso. «Ecco cosa penso dovremmo fare. Primo, avviciniamo Darrick. Ci serve averlo dalla nostra parte; potrebbe escogitare una scusa che Styliann possa bersi. Se così non fosse, nel giro di due giorni, quando saremo vicini a Leionu, ci accamperemo il più possibile lontano da Styliann. Partiremo quattro ore prima dell'alba. Darrick ci aiuterà, forse fingendo un attacco da parte di una pattuglia di occadi, in modo da coprire il rumore. Fino ad allora, se parleremo con Styliann, dovremo cercare di persuaderlo a intraprendere la giusta strategia, ma non deve sospettare che abbiamo ulteriori motivazioni. Se rispettiamo la sua autorità, non sospetterà di noi. Denser?»
Il mago oscuro scrollò le spalle. «Non so se la faccenda del diversivo possa funzionare, ma compiacere l'ego di Styliann è sicuramente un'idea giusta. Quello che mi preoccupa sono i Protettori.»
«Lasciate che me ne occupi io», disse l'Ignoto. «Ci sono modi per creare intralci senza disobbedire.»
Hirad si massaggiò il mento. «In che senso?»
«Non capiresti replicò l'Ignoto.
Il barbaro decise che era meglio non insistere.
«Quando parliamo a Darrick?» chiese Will.
«Adesso sarebbe un buon momento», rispose l'Ignoto.
«I suoi maghi sono in comunione mentale», osservò Ilkar. «Potrebbe essere utile aspettare.»
«Per quanto ne avranno?»
«Un'ora o poco più. Dipende da quanto rapidamente riusciranno a trovare il contatto.»
L'Ignoto annuì. «D'accordo, aspettiamo.»
Poco dopo, Erienne allontanò Denser dal fuoco. «Mi vuoi dire che cos'hai?»
«Niente. Sono solo stanco, e non posso credere che lanciare il Ruba Aurora ci abbia lasciato in queste condizioni.»
«Ma nessuno ti biasima», replicò Erienne, guardando in profondità nei suoi occhi e accarezzandogli i capelli.
«Non è questione di biasimare. È qui, dentro di me. Non so spiegartelo. È solo...» Denser s'interruppe, compiendo vaghi gesti con le mani.
«Posso aiutarti. Non escludermi.»
«Non lo faccio», ribatté lui, brusco.
«No? Sei così taciturno e distante da me. Da tutti.»
«Non sono distante», disse Denser, con voce troppo forte. Poi cercò di sorridere. «È solo che... non volevo parlarne.»
Erienne sentiva il cuore perdere colpi nel petto. «Ho bisogno di te. Non lasciarmi sola.»
«Sono qui, no?»
«Per gli dei, a volte sei come un bambino! Non era quello che intendevo, e lo sai.»
«Be', allora che intendi?» replicò Denser, con aria torva.
«Il tuo corpo è qui, ma dov'è il tuo cuore?»
Denser si picchiettò il petto. «Qui, come sempre.»
«Accidenti a te! Perché fai così?»
«Non faccio niente. Perché tu fai così?»
«Perché sono preoccupata per te!» gridò Erienne, esasperata, sentendosi arrossire. «Per noi.»
«Io sto bene. Ho solo bisogno di essere lasciato in pace.»
«Benissimo.» Erienne si alzò e si allontanò in direzione del bivacco, mordendosi la lingua per non dire qualcosa di cui si sarebbe pentita.
Denser non la richiamò indietro.
I maghi di Darrick non erano soli durante la comunione mentale. Circondato da un fitto cordone di Protettori, il Lord della Montagna sondò i monti Blackthorne, entrando in contatto con uno dei pochi aiutanti di cui sentiva ancora di potersi fidare. Il contatto fu breve. Quando aprì gli occhi, Styliann stava tremando; il messaggio lo aveva lasciato senza fiato.
Julatsa era tranquilla. Per tutta la notte e tutto il mattino seguente, gli occadi accampati intorno alle mura del College avevano cercato di creare una breccia nel Manto Demoniaco. Le anime di quanti lo toccavano finivano per alimentare l'appetito insaziabile dei demoni che controllavano lo spaventoso incantesimo. Era disumano oltre che doloroso.
Dalle sue stanze, Barras aveva sentito gli occadi che cercavano di passare il fossato prima a piedi, poi gettandovi sopra pezzi di legno e di metallo, e infine aggrappandosi a corde con rampini tirate tra gli edifici vicini e le mura del College.
Incapace di restare semplicemente a sentire le urla terribili dei moribondi, Barras uscì sui bastioni della torre e prese visione dell'inferno che lui e il Consiglio avevano creato proprio al di là delle mura.
Il Manto Demoniaco circondava il College come una sottile nube grigia. Era spesso tre passi, s'innalzava ondulato verso il cielo a perdita d'occhio e, Barras lo sapeva, si conficcava nel terreno a una profondità maggiore di quella cui sarebbe potuto sopravvivere un uomo. Era un sortilegio maestoso, a suo modo, nonché orrenda testimonianza del potere che i demoni potevano esercitare su Balaia con l'aiuto dei maghi. Stare nei suoi paraggi dava i brividi. Il Manto Demoniaco trasudava orrore e avvolgeva di angoscia tutto ciò che stava nel suo raggio; bisognava compiere uno sforzo di volontà per non fuggire via.
Barras non aveva dubbi che prima o poi, nelle settimane seguenti, gli occadi avrebbero cercato di scavare un tunnel. Pregava solo che capissero la follia dell'impresa prima che troppe anime venissero catturate. Eppure, mentre osservava il Manto in cui di tanto in tanto luci gialle e blu si accendevano e si biforcavano come fulmini, non ne era così certo. Le azioni degli occadi denotavano una sostanziale ignoranza della realtà del mana e delle connessioni dimensionali. Si ritrovò a sorridere mestamente. Non avrebbero capito. Non possedevano la magia, e quell'ingenuità sarebbe stata la loro maledizione.
Barras fece un giro intorno alla torre per osservare l'intero Manto Demoniaco, che col suo grigiore conferiva a quanto si trovava al di là un aspetto slavato, attenuando i colori e offuscando i movimenti. Era stato impiegato per la prima volta più di settecento anni prima, per rendere il College di Julatsa inespugnabile; aveva svolto la stessa funzione di un fossato, ma in modo molto più efficace.
Non c'era modo di attraversarlo finché l'incantesimo non avesse avuto termine: chiunque ci avesse provato, amico o nemico, sarebbe stato preda dei demoni. Il Manto catturava indiscriminatamente le anime degli uomini e degli animali. Era il male sulla faccia di Balaia. Eppure avrebbe salvato Julatsa dagli occadi e, nonostante l'orrore, quella consapevolezza arrecava conforto a Barras.
Nel comprensorio del College, il Manto era affrontato con la massima cautela: nessuno che si avventurasse sulle mura osava avvicinarsi a più di dieci passi dal suo bordo mutevole. Le persone che erano riuscite a varcare le porte e si erano mescolate a quanti consideravano il College la propria casa stavano in piedi o sedute in gruppi, tutte stordite, tutte afflitte e colpite dalla spaventosa calma che pervadeva l'intero complesso.
Tutti i rumori degli occadi erano smorzati e lontani. Avevano da tempo smesso di scagliare frecce contro le mura: per loro era uno spreco e per i julatsani un modo per aumentare le scorte. Si erano invece disposti ad anello intorno alle mura, poco oltre il bordo del fossato, ammassandosi per guardare. Ma il frastuono che producevano ai margini del Manto, il martellare intorno alla torre che Barras osservava, il baccano prodotto dalla loro stessa esistenza - per camminare, correre, cucinare, parlare, ridere - erano tutti attenuati.
Barras appoggiò le mani sulle orecchie, pensando per un istante di avere perso l'udito.
Poi però la voce di Kard si levò alla sua sinistra, forte e invadente. «Buona sera, Barras.»
Il vecchio elfo sussultò e si voltò. «Kard! Mi fa piacere vedere che state bene.»
«Tutto è relativo», replicò il generale. «Certo. Che cosa vi porta qui?»
«La stessa cosa che ha condotto voi. Vedere gli occadi farsi artefici della propria follia.» Kard indicò con un cenno la torre in costruzione davanti alla porta sud delle mura di Julatsa.
Dal punto in cui si trovavano, sembrava una struttura traballante, ma Barras sapeva bene che non era così: gli occadi erano abili taglialegna. Un reticolo di travi incrociate era fissato a quattro tronchi, alla base dei quali pali intagliati sarebbero serviti da assi per le ruote. All'interno del reticolo, scale alte quasi dieci passi conducevano a una piattaforma affollata di occadi che martellavano furiosi per costruire il livello successivo; ogni colpo era smorzato, come attraverso uno spesso panno. A sinistra della struttura principale, un'altra squadra di carpentieri stava intagliando le ruote; a destra, i fuochi vomitavano fumo nel cielo senza nubi. Non erano fuochi per cucinare. Alcuni occadi con grossi grembiuli di cuoio armeggiavano con incudini e martelli mentre altri preparavano stampi.
«Cosa fanno, altre armi?» domandò Barras.
«No. Credo che siano rivestimenti per la torre», rispose Kard.
«Pensano che cercheremo di bruciarla, vero?»
«Sì. Probabilmente tenteranno di spingerla al di là del fossato nella speranza che il metallo devi il potere del Manto.»
«Oh, cielo!» L'elfo scosse la testa. «Credo che dovremmo tentare di parlare con loro.»
Kard lo guardò di traverso. «Non vedo la ragione di persuaderli a smettere di ammazzarsi.»
«Capisco il vostro odio nei confronti di questa forza d'invasione, ma non credo comprendiate cosa significhi morire nel Manto Demoniaco. Non augurerei a nessuno un'eternità di tormento, neanche a uno degli occadi.»
Kard alzò le spalle. «Parlate con loro, se volete. Io non m'intrometterò, ma di certo non vi starò a fianco.»
«Avete un cuore duro.»
«Hanno massacrato buona parte del mio esercito, un numero incalcolabile di julatsani e più maghi di quanti ne possa contare», replicò Kard, con voce fredda e pungente. «Per ognuno di loro che muore, mi sento un po' più sollevato. Solo un po'.»
«Siete contento di rispondere alla morte con altra morte?»
«È umano cercare vendetta, e non siamo stati noi a provocare tutto questo. Gli occadi hanno scelto la loro strada e, per quanto mi riguarda, se non imparano dagli errori commessi è un problema loro. Non spetta a me rimetterli sulla giusta via.» Barras annuì. «Forse dovrei interrogare meglio la mia coscienza.»
«Mio vecchio amico, ammiro la vostra coscienza e la vostra capacità di perdono, ma questa è una guerra in cui non siamo mai stati gli aggressori. Anzi, non riesco ancora a credere che sia successo. Eppure gli occadi ritenevano, come hanno fatto trecento anni fa, che, spalleggiati dai Lord stregoni, sarebbero stati in grado di distruggere le Città College.» Kard era cupo in volto. «Adesso sono arrivati al punto di credere di poter vincere anche senza il potere che i Lord stregoni gli avevano conferito, e potrebbero avere ragione. Se dovete parlare con loro, va bene. Ma riflettete: più a lungo penseranno di poter creare una breccia nel Manto, più a lungo le loro menti saranno sviate dall'idea di proseguire l'assedio, e tanto maggiori saranno le nostre probabilità di ricevere aiuti efficaci da Dordover. Questo potrebbe anche distogliere le loro menti da una mossa piuttosto ovvia che finora hanno trascurato.»
«Quale?»
La risposta restò in sospeso.
Dalla porta nord si levò un grido. I due uomini corsero lungo la torre e videro una decina di occadi avvicinarsi al bordo del Manto, con la bandiera bianca e rossa della tregua davanti a loro. Varie urla si levarono dalla torre stessa e la porta si aprì.
Un aiutante si precipitò fuori. «Il Sommo mago richiede la vostra urgente attenzione, miei signori.» Il giovane si scostò dalla fronte i lunghi capelli rossi che il vento gli scompigliava.
«La porta nord?» domandò Barras.
«Sì, mio signore.»
«Di' a Kerela che arriviamo subito.»
Il giovane annuì e tornò di corsa da dov'era venuto.
Barras fece un profondo respiro e si voltò verso il generale Kard, inarcando le sopracciglia quando vide l'espressione dell'altro, tetra e spaventata. «Kard?»
«Credo che abbiano appena pensato alla mossa ovvia.»
«Cioè?»
«Ascoltatela da loro, Barras, se si cureranno di dirvela.» Kard si avviò verso la porta della torre. «Io prego ancora di essermi sbagliato.»