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Quando in casa il rumore di passi cessò, Sneijder si chinò su Melanie Dietz. «Non si muova, io devo andare», le sussurrò all’orecchio.

Sentì tintinnare una chiave, poi la porta d’ingresso si chiuse sbattendo. Un attimo dopo, Sneijder balzò in piedi e attraversò di corsa la casa fino all’ingresso. A sinistra, il portone; a destra, una scala che conduceva al piano superiore. Sui gradini di legno, tracce lasciate da scarpe sporche dirette verso l’uscita.

Sneijder estrasse la pistola e si precipitò fuori. Vide la sagoma di un uomo che si trascinava dietro una ragazzina e correva verso il capannone.

Sparò per aria un colpo d’avvertimento e urlò: «Fermo!»

L’uomo continuò a correre.

Sneijder mirò e sparò. Il proiettile passò a un metro dalla testa dell’uomo, andando a conficcarsi nella lamiera ondulata dell’officina.

Stavolta l’uomo trasalì e la ragazzina ne approfittò per liberarsi dalla presa e sgattaiolare oltre la porta del capanno.

Astuta, la piccolina!

L’uomo però non fuggì, ma la inseguì dentro il capanno. Prima ancora che Clara riuscisse a sprangarsi dentro, spalancò il portone e sparì dietro di lei all’interno.

Verdikkeme!

Anche Sneijder corse al capanno e lo raggiunse nel momento in cui l’uomo aveva già riagguantato la piccola e inciampando nei vari attrezzi cercava un’altra uscita.

Sneijder tastò la parete fino a trovare un interruttore. Quando lo premette si accese una lampadina senza paralume e per un attimo Sneijder rimase accecato.

Il capanno era grande e pieno zeppo di cianfrusaglie di metallo. Come in un’autofficina si sentiva puzzo di vernice e limatura. Sparpagliate in giro c’erano biciclette, borchie, reti con molle per materassi. In mezzo c’era una serie di strane sculture. Una in particolare aveva una terribile somiglianza con uno strumento di tortura medievale. A un’estremità troneggiava la testa di una polena, il corpo era costituito da spuntoni di ferro, simili a costole, che creavano una sorta di scheletro e sui fianchi si allargavano braccia oscillanti simili ad ali che, una volta chiuse, la facevano sembrare una Vergine di Norimberga.

Michael Lazlo si trovava in mezzo alle cianfrusaglie e si faceva scudo con il corpicino di Clara, minacciandola con un lungo bisturi sottile puntato sotto un occhio. La ragazzina piangeva senza produrre nemmeno un gemito, con la bocca chiusa dal nastro adesivo e la maglia del pigiama strappata a mettere in mostra una spalla.

Quel pazzo voleva solo ucciderla o voleva anche asportarle il tatuaggio dal corpo? Clara strizzò gli occhi come se volesse scacciare tutti i brutti ricordi e saltare per sempre in un mondo dei sogni.

La ferita al fianco di Sneijder pulsava in modo tremendo. Tentò di tenere le braccia rilassate e puntò la pistola alla fronte di Lazlo. Per quel che intravedeva, oltre al bisturi l’avvocato non aveva altre armi. Tuttavia il capanno aveva in effetti una seconda uscita, verso la quale Lazlo spinse la ragazzina.

«Lazlo», disse Sneijder calmo. «Non peggiori le cose. Fuggire non ha alcun senso.»

«Posi l’arma a terra, altrimenti le cavo l’occhio.»

Sneijder continuava impassibile a mirare su Lazlo. «Così non migliora certo la sua situazione.»

Senza commentare, Lazlo fece un taglio alla palpebra di Clara.

«Okay, va bene!» Sneijder abbassò la pistola.

In quell’istante sentì un rumore alle spalle.

«Clara!» gridò Melanie Dietz presa dal panico.

«Torni in casa!» le ordinò Sneijder senza perdere di vista Lazlo.

«Levatevi di torno, tutti e due!» gridò l’avvocato.

Sneijder notò che Lazlo aveva abbassato un po’ il bisturi e ne approfittò per tendere il braccio e sparargli alla spalla destra.

Lazlo fu sbalzato indietro e Clara si liberò dalla stretta e corse da Melanie passando davanti a Sneijder.

«Porti la ragazzina fuori di qui!» ordinò il profiler, per poi avvicinarsi a Lazlo e sparargli all’altra spalla.

L’uomo barcollò all’indietro, urtando con la schiena contro la Vergine di Norimberga, che sferragliando cadde a terra dietro di lui e gli fece perdere l’equilibrio. Cercò di afferrare la mano di Sneijder, che si trovava a poca distanza, ma in una frazione di secondo il profiler ripensò al sangue secco del cane sulle sue dita e alle ragazzine nella cantina di Lazlo, e la sua mano si trasformò in un pugno.

«Pronto per l’Inferno?» mormorò.

Lo colpì e lo guardò cadere all’indietro trafitto da una decina di spuntoni.