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La giornata iniziò con una pioggerella. Sabine si scaldò una tazza di caffè in stanza, si sedette davanti al portatile e guardò fuori dalla finestra. Le nubi scure incombevano a tal punto che pareva volessero posarsi da un momento all’altro sul tetto dell’accademia.

Era riuscita a dormire solo poche ore. Continuavano a frullarle in testa gli appunti di Dietz sull’udienza. Benjamin avrebbe avuto ormai diciassette anni, il doppio delle sue nipotine. Subito dopo il processo, la sentenza era passata in giudicato. Trovava interessante il modo in cui i giudici popolari avevano preso la decisione. La loro sentenza era stata giusta?

Sabine si scaldò le mani sulla tazza e bevve un sorso. Si sentiva la testa ovattata. Brividi freddi le correvano lungo la schiena, in parte per quel tempo da cani, in parte perché era stata sveglia quasi tutta la notte a condurre ricerche su Internet e a preparare i bagagli.

Cinque giudici popolari avevano dichiarato Thomas Wander non colpevole, quindi l’imputato era stato prosciolto. Tra i parenti di quattro dei giurati di allora si era verificato un caso di omicidio. La domanda sorgeva spontanea: che fine aveva fatto Thomas Wander?

Sabine disponeva di una cronologia quasi perfetta dei casi, che risalivano nel tempo fino a quattro anni prima. Non era certo casuale che tra un omicidio e l’altro fosse sempre trascorso un anno... In altre parole, dietro ciascuno di quei reati c’erano stati dodici mesi di intensa pianificazione!

Gli omicidi Centipede a Berlino, l’assassinio sul mare dei Wadden a Sankt Peter-Ording, l’omicidio Cannibale sull’Eifel e l’omicidio dell’Uomo Cavallo a Norimberga. Un elemento però non rientrava in quel quadro. Nella cerchia famigliare del quinto giudice popolare che aveva votato per l’assoluzione non si era verificato alcun omicidio e, tra l’altro, un anno prima c’era stato un buco nella sequenza degli omicidi. Nel caso la teoria di Sabine fosse fondata, quel terribile avvenimento era in grosso ritardo e il quinto giudice popolare, o qualche membro della sua famiglia, si trovava in pericolo.

L’uomo in questione viveva a Vienna e si chiamava Rudolf Breinschmidt. Molti anni prima era morta la sua prima moglie e l’anno precedente la seconda... Tuttavia entrambe erano decedute di morte naturale. La figlia adottiva di Breinschmidt, poi, era scomparsa nel nulla un anno prima, ma era ricomparsa da alcuni giorni.

Sabine fissava con occhi stanchi l’articolo di un’edizione online di un quotidiano austriaco. Clara, undici anni, era stata trovata da una coppia di pensionati in un bosco nella periferia occidentale di Vienna ed era stata portata in ospedale. Un folle l’aveva tenuta prigioniera per un anno e le aveva tatuato la schiena. Ma la ragazzina era ancora viva. Si era trattato di un tentato omicidio?

Sabine sussultò quando bussarono alla porta. «Sì?» gridò.

Nella stanza fece capolino un’addetta alle pulizie. «Devo pulire la camera, alle undici arriva un nuovo inquilino.»

«Lo so», sospirò. «Esco fra dieci minuti.»

La donna chiuse la porta e Sabine guardò l’orologio alla parete: erano da poco passate le sei del mattino. Se avesse chiamato Gerhard Dietz in quel momento lo avrebbe di sicuro strappato al sonno. Ma non poteva aspettare. Oltretutto il cronista le aveva detto che poteva contattarlo in qualsiasi momento... Soprattutto se aveva qualche informazione in esclusiva per lui. E ora l’aveva, eccome! Compose il suo numero.

Dietz rispose al quinto squillo: «Pronto?»

«Sono Sabine Nemez», disse. «Disturbo?»

«Aspettavo la sua chiamata. Ha qualcosa per me?» La sua voce sembrava cristallina e ben riposata, niente parole di circostanza, dritti al sodo. Sentì solo un clic. Probabilmente aveva attivato il vivavoce e stava registrando la conversazione.

«Ho dato una scorsa ai documenti che mi ha inviato. Cinque giudici popolari hanno dichiarato Thomas Wander non colpevole», iniziò, e di seguito riassunse i passaggi successivi in brevi frasi precise. Dopo due minuti aveva esposto per intero la sua teoria.

«Qualcuno sta manipolando dei criminali per vendicarsi sui giurati che hanno assolto Thomas Wander», riepilogò il cronista.

«A quanto pare.» Sabine rifletté. «Purtroppo ho pochissimo tempo a disposizione. Ho bisogno di sapere dove si trova Thomas Wander in questo momento... Ma ancora più importante, a mio avviso, è il caso attuale di Clara, che probabilmente ha a che vedere con il processo. Conosce per caso gli agenti che se ne occupano?»

«Il caso di Clara?» ripeté Dietz sorpreso. Sabine ebbe l’impressione che avesse aperto una porta per andare in un’altra stanza. In sottofondo si sentiva abbaiare un cane. «Sul caso sta indagando la polizia federale di Vienna», riprese Dietz sottovoce. «Può mettersi in contatto con gli inquirenti solo attraverso una richiesta ufficiale tramite Wiesbaden. Ma per lei non dovrebbe essere un problema.»

È quello che pensa lei! «Non ho tutto questo tempo», rispose Sabine.

«Allora...» mormorò Dietz. «Per accorciare i tempi dovrebbe entrare in contatto direttamente con il procuratore.»

«Sa per caso chi sta lavorando sul caso?» Sabine prese una matita per appuntarsi il nome.

«La procuratrice che conduce le indagini si chiama Melanie Dietz.»

«Mi dica solo...?» Sabine si interruppe. «Siete parenti?»

«È mia moglie.»

«Quindi per il suo lavoro di cronista giudiziario attinge direttamente alla fonte.»

Gerhard trattenne una risata. «Sembra facile, ma in realtà spesso è problematico quando si vorrebbe scrivere un pezzo obiettivo. Non sempre io e Melanie vediamo le situazioni legali allo stesso modo.»

«Però sembra interessante.»

«Piuttosto snervante, mi creda. Comunque mia moglie sarà di sicuro interessata alla sua storia. Le passo il suo numero... Non posso prometterle altro.»

«Grazie, arrivederci.» E riattaccò.

Bussarono di nuovo alla porta. «Sì!» gridò. «Santo Dio, me ne vado subito.»

 

Mentre Sabine si dirigeva verso gli ascensori con il trolley e un borsone sportivo in spalla, si aprì la porta di un altro appartamento e Tina barcollò in corridoio assonnata stropicciandosi gli occhi. Indossava i pantaloni di un pigiama attillato e un top corto che metteva in mostra il piercing all’ombelico.

«Te ne sparisci così?» chiese sbadigliando.

Sabine si strinse nelle spalle. «Che senso avrebbe mettersi a fare storie? La tua raccolta di firme non è servita a molto.»

«E tu che cosa ne sai?»

«Hess pensa che sia stata una mia idea.»

«Oh, merda!» si lasciò sfuggire Tina. All’improvviso era sveglissima.

«Sì, proprio merda, e mi ha raccontato che hanno firmato cinquanta colleghi.»

«Sessantasette», la corresse Tina.

«Perché così tanti?»

«Negli ultimi due giorni non ti sei fatta vedere. All’accademia non si fa che parlare di te e Sneijder e dell’arresto di quella coppietta di assassini. Quando si è sparsa la voce che Hess ti ha messa sulla lista nera proprio per quello, all’improvviso tutti si sono schierati dalla tua parte.»

Sabine sospirò. «Speriamo che non ci andiate di mezzo anche voi.»

«Non preoccuparti, vieni, lasciati strizzare.» Tina prese Sabine tra le braccia e le accarezzò la schiena. «Prima o poi ci incontreremo di nuovo.»

Sì, e io sarò nella zona pedonale di Monaco, a mettere multe.

«In gamba, mi raccomando, capito?» disse Tina, a cui piaceva usare quella parola in italiano.

«Capito! E tu tieni d’occhio Sneijder, quell’uomo mi preoccupa. È sparito già da due giorni.»

«Garantito. Se oggi il vecchio guastafeste si ripresenta a lezione, lo saluterò da parte tua.» Le passò una mano tra i capelli e se la svignò in camera sua.

Dopo che ebbe chiuso la porta, il dormitorio ripiombò nel silenzio assoluto. Si sentiva solo il ronzio delle videocamere appese al soffitto. Sabine prese l’ascensore e trascinò il trolley nella cabina. Mentre scendeva a pianterreno, le suonò il telefono: un numero con prefisso austriaco. «Sabine Nemez», rispose.

«Salve, sono Melanie Dietz», disse una donna dalla voce piacevole e risoluta. «Mio marito ha pensato che potrei essere interessata alla sua storia, ma non mi ha rivelato nient’altro.»

«Capisco.» Sabine rifletté su come iniziare. «In questo momento mi trovo a Wiesbaden. Fino a poco fa ho lavorato per la polizia federale.»

«Il BKA tedesco? Interessante.» Dietz tacque un attimo, forse stava prendendo qualcosa per scrivere. In sottofondo si sentiva abbaiare un cane, come nella telefonata precedente. «Di cosa si tratta?»

«Di Clara Breinschmidt.»

Un attimo di silenzio all’altro capo della linea. «Cosa sa di Clara?»

La porta della cabina si aprì. Sabine prese il trolley e mentre attraversava il campus sotto la pioggerella per raggiungere la macchina raccontò che Rudolf Breinschmidt dieci anni prima era stato giudice popolare in un processo per omicidio a Vienna. Elencò i nomi degli altri giurati e raccontò che a ritmo di uno all’anno si era verificato un omicidio nel nucleo famigliare di quattro di loro. A quanto pareva gli omicidi erano commessi da criminali istigati da qualcuno.

«E secondo lei chi potrebbe essere il responsabile?» domandò Dietz.

Sabine chiuse a chiave il trolley nel bagagliaio della macchina, si rimise in spalla il borsone sportivo e attraversando la strada si avviò verso l’edificio principale del BKA.

«Non lo so», ammise. «Ma deve avere qualcosa a che fare con Thomas Wander... Tuttavia mi sembra improbabile che voglia vendicarsi proprio sulle persone che lo hanno prosciolto. Forse sapevano qualcosa e dovevano essere messi a tacere?» ipotizzò. «Oppure si tratta di qualcuno che vuole vendicare la morte di Benjamin?»

Ovvio che si trattava del bambino! Ed Erik lo aveva già scoperto. «In più che ora so chi è il padre del...» Ma Benjamin era un orfano. Che ruolo poteva avere suo padre, e chi era?

«Dopo tutti questi anni?» rifletté Melanie. «Come posso aiutarla?»

«Le mie indagini mi hanno portata in un vicolo cieco, ho bisogno di parlare con lei.»

«Bene, ma prima devo verificare alcuni suoi dati e discutere con un collega», disse Dietz. «Ci vorranno alcuni minuti, ma posso già dirle che la sua telefonata è arrivata al momento opportuno, perché...» Indugiò. «... Anche noi ipotizziamo che dietro al rapimento di Clara si nasconda una terza persona, una sorta di burattinaio.»

Forse Sabine avrebbe trovato in Melanie Dietz un’alleata, che non considerava assurde le sue ipotesi.

«Posso contattarla anche ufficialmente tramite il BKA di Wiesbaden?» domandò Melanie.

Sabine salì le scale per raggiungere l’ingresso principale ed entrò per la porta girevole. «Non più. Stamattina sono stata licenziata. Ma può trovarmi in qualsiasi momento a questo numero.»

«Licenziare una come lei?» Per la prima volta la voce della procuratrice sembrò davvero stupita. «È possibile per lei venire a Vienna?»

«A Vienna?» Aveva speso gli ultimi soldi per pagare il viaggio in macchina a Sankt Peter-Ording e, salvo un’ultima misera retribuzione per la settimana trascorsa in accademia, non avrebbe ricevuto altro.

«Potrebbe nel frattempo anticipare i soldi del biglietto aereo?» domandò Dietz. «Poi la procura di Vienna le rimborserà la somma.»

«Io...» Sabine era senza parole. «Sarà difficile.»

«Okay, me ne occupo io. Mi rifaccio viva.»