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Sabine sentì lo scricchiolio delle gomme sulla ghiaia e sbirciò fuori dalla tenda. Davanti alla casa di Sneijder si fermò un furgone bianco da cui scese un giovane in borghese con i capelli biondi a spazzola. Si infilò sottobraccio un mucchio di fascicoli e si avviò rapido all’ingresso del vecchio mulino, come se nel pomeriggio lo attendessero ancora una fitta serie di appuntamenti.
Sabine aprì la porta e uscì in terrazza. Il tempo sembrava impazzito: a tratti pioveva, a tratti il cielo si schiariva. In quel momento, i raggi del sole illuminavano il pavimento in terracotta.
«Sabine Nemez?» domandò il corriere.
«Sì», confermò lei allungando la mano per ricevere i fascicoli.
L’uomo però non pareva essere d’accordo. Lanciò un’occhiata in casa e agitò uno scanner per codici a barre che aveva nell’altra mano. «Sulla ricevuta ci deve essere la firma di Maarten Sneijder.»
«Maarten S. Sneijder», lo corresse.
«Sì, certo. Sono di fretta!»
«In questo momento è...» Con le dita fece il segno di uno spinello e alzò gli occhi al cielo. «... Indisposto.»
«Santo Dio, come al solito!» E abbassando il tono di voce aggiunse: «È sempre strafatto. Quell’uomo è una farmacia ambulante».
In quel momento, Vincent uscì di casa con passo stanco e scrutò il visitatore.
«Vincent, vecchio mio!» esclamò il corriere cambiando all’improvviso il tono della voce. Si inginocchiò, posò a terra i fascicoli e grattò il bassotto dietro l’orecchio. Poi tirò fuori un biscotto per cani dal taschino della polo e lo tenne davanti al muso di Vincent. Dapprima il bassotto gli strofinò il muso contro la mano, poi azzannò la leccornia. A quanto pareva era il loro rituale.
Sabine tirò fuori dalla tasca il tesserino che Sneijder aveva messo nel cassetto nell’anticamera. Il ragazzo registrò i dati e allungò lo scanner a Sabine. «Firmi qui! Io devo andare.»
Sabine firmò sul display... Un’altra croce sulla sua futura carriera. Quando il corriere se ne andò, portò i fascicoli in casa. Vincent la seguì come se sapesse che ora li attendeva un lavoro duro.
Nella dispensa di Sneijder Sabine trovò una scatoletta di tonno, una bottiglia di spremuta e dei panini, che si preparò in cucina e divorò con lo stomaco che borbottava. Dopodiché si sedette su un cuscino di fronte ai fascicoli sparpagliati sul parquet del soggiorno e si sforzò di individuare qualche collegamento fra le vittime.
Nel frattempo, Vincent ronfava sul divano su una coperta a quadretti, che probabilmente era riservata a lui ed era il suo posto preferito. Ogni tanto apriva un occhio e dava una sbirciata a Sabine.
«Sei davvero un cane da guardia affidabile.» Vincent lo prese come un complimento perché non replicò. Era sorprendente. Il BKA sapeva praticamente tutto su quelle persone. Sabine dubitava che quei dati avessero un’origine legale. Un giudice avrebbe avuto molto da ridire... D’altra parte, si trattava di persone defunte e quella montagna di dati forse poteva aiutare a far luce sulle circostanze della loro morte.
Tuttavia, anche dopo una ricerca durata ore, Sabine non ottenne alcun risultato. Le persone uccise nei quattro casi erano completamente diverse, quanto a età, condizione sociale, provenienza, interessi, acquisti, viaggi e vacanze. Sabine sprecò la maggior parte del tempo ad analizzare le spese che avevano effettuato negli ultimi anni con carta di credito. Il fatto che quelle persone fossero state uccise in un arco di tempo di cinque anni non le rendeva più facile il lavoro. Era quasi strabiliante quanto fossero diverse.
Il collegamento – nel caso esistesse davvero, cosa di cui nel frattempo Sabine aveva iniziato a dubitare – doveva risalire a un lontano passato. Nutriva un unico, vago sospetto, che valeva la pena approfondire. Tutte le vittime avevano un legame con l’Austria: la studentessa di psicologia uccisa sul mare dei Wadden e il politico frustato a morte a Norimberga erano cittadini austriaci. Dai verbali degli interrogatori della sorella della donna uccisa a Berlino nel caso Centipede e dello zio del conduttore televisivo ammazzato sull’Eifel emergeva che entrambi vivevano a Vienna.
Sabine fece un ultimo tentativo. Accese il portatile e si collegò a Internet, poi inserì tra virgolette i nomi completi della sorella e dello zio, e di seguito quelli della studentessa di psicologia e del politico austriaco. Il computer sferragliò alcuni secondi, ma senza ottenere alcun risultato interessante.
Merda!
Rimase seduta sul pavimento in silenzio a fissare lo schermo. Tutto tempo sprecato! A Vincent sfuggì un lieve rumore, come se stesse russando. «Sei da invidiare», sussurrò. «Ma purtroppo non puoi aiutarmi...»
O forse sì? La password di Sneijder per l’allarme non era «Vincent», ma «Van Gogh». Avviò in tutta fretta una nuova ricerca tralasciando i nomi di battesimo. E stavolta il portatile segnalò un risultato interessante. Il link portava a un’immagine. Sabine la scaricò e la ingrandì.
Era uno schizzo a matita: cinque persone sedute in fila su due panche. Sembrava la raffigurazione di un’udienza di tribunale disegnata per un giornale. Sotto l’immagine si leggevano cinque cognomi... Quattro li conosceva dai fascicoli.
«Pazzesco!»
Vincent sollevò la testa curioso, mentre Sabine tornava al sito su cui compariva il disegno. Era l’archivio online di un quotidiano austriaco. Diede subito una scorsa all’articolo: dieci anni prima nella corte d’assise del tribunale di Vienna si era svolto il processo per l’omicidio di un orfano di sette anni di nome Benjamin.
Sabine provò un misto di ansia ed eccitazione.
«Sono Dorfer. I collegamenti sono incredibili. Ho individuato lo schema alla base dei casi. In più ora so chi è il padre del...»
Sabine si sentiva la bocca riarsa. Ciascuna delle quattro vittime aveva un parente che aveva fatto parte della giuria popolare di un processo per omicidio tenutosi dieci anni prima in Austria. Era quello l’elemento di raccordo! Ed Erik aveva individuato lo stesso denominatore comune!
Doveva scoprire di più sul processo. Non appena avviò la ricerca sull’omicidio del piccolo Benjamin, si imbatté di continuo in un nome: Gerhard Dietz. Era un cronista giudiziario che aveva seguito il procedimento fin dalla prima udienza. La maggior parte dei resoconti erano firmati da lui, ma su Internet Sabine non riuscì a trovare nemmeno una sua foto, solo un numero di cellulare e l’indirizzo di un’agenzia stampa sulle rive di un lago nei pressi di Vienna.
Senza troppo pensarci, compose il numero. Evidentemente Vincent aveva notato la sua concitazione, perché la osservava uggiolando e annuiva con la testa, come se volesse aiutarla.
Le rispose un uomo dalla voce tranquilla e piacevole. «Gerhard Dietz.»
«Buongiorno, signor Dietz, mi chiamo Sabine Nemez», si presentò. «Chiamo da Wiesbaden.»
«Lei ha un accento bavarese», constatò.
«Ero commissario di polizia a Monaco.»
«Era?»
«Ora sono studentessa all’accademia della polizia federale a Wiesbaden.»
«Il suo nome non mi è nuovo. Si sta occupando di qualcosa in particolare?»
«Sto indagando su un caso.»
«Le dispiace se registro la conversazione?»
«No.»
«Okay, un attimo... Prosegua pure.»
«Ci stiamo occupando di una serie di omicidi irrisolti. Ognuna delle vittime aveva un parente tra i giudici popolari di un processo tenuto dieci anni fa per l’omicidio di Benjamin, un bambino di sette anni.»
«Come ha fatto a scoprire i cognomi dei giudici popolari?» la interruppe.
«Dallo schizzo di un’udienza realizzato da un disegnatore.»
«Santo Dio...» Dietz scoppiò in una risata nervosa. «La didascalia è ancora su Internet? Dev’esserci stato un errore. L’immagine avrebbe dovuto essere cancellata dal server già da anni.»
«Ma è stato un caso fortunato, altrimenti non avrei mai trovato il collegamento.» Fece una pausa.
«Continui. Ho l’impressione che ci sia dell’altro.»
«Gli omicidi su cui indaghiamo sembrerebbero quindi avere qualcosa a che fare con quel processo. Ho bisogno di saperne di più e di ricevere tutta la documentazione al riguardo.»
«Si rivolga al tribunale di Vienna», le propose. «Se lei collabora con il BKA le metteranno di sicuro a disposizione tutti i fascicoli.»
Ora fu Sabine a lasciarsi sfuggire una risata nervosa. «È che...» Sono stato buttata fuori dall’accademia, il direttore del BKA preferirebbe spedirmi sulla luna, il mio fidanzato si trova in terapia intensiva con una pallottola in testa e il mio istruttore è sparito nel nulla. Ovviamente non disse nulla di tutto ciò, altrimenti Dietz avrebbe riattaccato subito. «... Il tempo stringe e probabilmente ci sono vite umane in pericolo.»
«Capisco.» Dietz parve riflettere. «Potrei metterle a disposizione i miei appunti personali, ma avrei bisogno di una referenza a prova di bomba per avere la certezza che lei è davvero la persona che sostiene di essere.»
Pessima idea! Non poteva certo citare il direttore Hess, Konrad Wessely, il dottor Bell, la giudice Auersberg, il commissario Lohmann o gli agenti del penitenziario di Weiterstadt. Poteva considerarsi felice di non avere più niente a che vedere con loro. L’unico che avrebbe potuto darle una referenza inattaccabile era Maarten Sneijder, ma Dio solo sapeva dove fosse.
«L’anno scorso ho collaborato a un caso con la polizia giudiziaria di Vienna», mormorò.
«Quale caso?»
«Gli omicidi del caso Porcospino.»
«Ah...» La voce di Dietz si rasserenò. «Ecco dove avevo sentito il suo nome. Ho scritto un articolo su quella storia, un’indagine davvero notevole.»
«Grazie.» Sabine gli elencò i nomi dei colleghi viennesi di cui si ricordava. Avrebbe potuto indicare anche il capo della polizia di Vienna, ma a causa delle stravaganti iniziative personali prese da lei e da Sneijder era meglio evitare. A quanto pareva, aveva un talento innato per lo scontro con le alte gerarchie. «Si rivolga a uno di loro», propose.
«Conosco uno di quegli agenti», disse Dietz. «La richiamo io. Resti vicina al cellulare.» E riattaccò.
Sabine aspettò mezz’ora prima che Dietz la richiamasse.
«Ho verificato i suoi dati», disse laconico. «Un poliziotto viennese garantisce per lei.»
«Così semplice?» domandò sorpresa.
La voce di Dietz sembrava un po’ divertita. «Gli ho fatto sentire la registrazione del nostro colloquio e lui ha riconosciuto la voce. Lei e il suo collega, quello Sneijder, all’epoca avete stroncato la polizia di Vienna... Mi sembra un’ottima premessa.»
Che strano complimento! «E ora come procediamo?»
«Facciamo così: mi dia il suo indirizzo email e io le manderò un modulo online da firmare e rimandare indietro. In questo modo dichiarerà che non intende trasmettere i miei materiali alla stampa tedesca, ma vuole utilizzarli solo per finalità interne al BKA. Dopodiché le invierò la mia documentazione sul caso Benjamin, ma l’avverto che ci saranno un mucchio di fascicoli tra cui districarsi.»
«Ottimo.»
«Non ho ancora finito! Nel caso decidesse di comunicare l’esito della sua indagine alla stampa, voglio essere informato anch’io, due ore prima dei giornali tedeschi. D’accordo?»
«D’accordo.»
«Bene, allora le spedisco per email il modulo.»
Mezz’ora dopo sulla sua casella erano comparse una dozzina di email. Inoltre, aveva ricevuto via Cloud un giga di documenti scannerizzati, interviste, video, foto e articoli di giornale.
Dopo aver dato un’occhiata generale al materiale, decise di non soffermarsi più di tanto sul dibattimento, ma di leggere subito il resoconto dell’ultima udienza, durante la quale pubblico ministero e difensori avevano pronunciato le arringhe finali.
Sabine era distesa con il portatile sul divano e Vincent le si era acciambellato accanto alle gambe. Osservò gli schizzi, si immerse nel verbale, facendo un tuffo nel passato di dieci anni. Dietz era seduto in terza fila. Da quel posto la sala doveva sembrare una...