23
Il suono metallico della campana di mezzogiorno di una chiesa riecheggiava al margine della foresta di Neuwaldegg. Melanie attese l’ultimo rintocco. Aveva parcheggiato il fuoristrada in un vicolo e osservato la strada per qualche minuto ma non aveva notato altre macchine. Clara doveva avere già concluso la sua ora di terapia e si trovava con Sheila nella mensa del BKA, mentre il padre adottivo era dietro il bancone del suo negozio di elettronica. Melanie si era assicurata che non chiudesse per la pausa pranzo. Era il momento ideale per entrare in azione.
Scese dal fuoristrada, si infilò i guanti, prese il pc dal baule e si avviò verso la casa dei Breinschmidt. Superò il cancello del giardino, raggiunse l’ingresso e aprì la porta con la chiave. Per precauzione se la chiuse alle spalle, nel caso sbucassero i vicini o i testimoni di Geova. Dopodiché portò il computer in cantina e riuscì a individuare sullo scaffale la sagoma circondata dalla polvere che indicava il punto esatto in cui il pc era rimasto a marcire per un anno.
Si alzò e si stirò la schiena sudata. Che pazzia! In cantina si sentiva odore di olio lubrificante per motori e gomma di pneumatici. Era buio, dall’abbaino penetrava solo pochissima luce, ma gli occhi di Melanie si erano già abituati all’oscurità. Le cadde lo sguardo sull’impugnatura della pistola, che sporgeva sotto la carta vetrata. Stavolta ispezionò meglio l’arma, senza toccarla con i guanti. Una Walther PPK di piccolo calibro. Aveva persino un caricatore. L’annusò, puzzava solo di olio e metallo.
Era già sul punto di voltarsi per tornare di sopra, quando le squillò il cellulare. Oh, Signore, avrebbe almeno potuto disattivare la suoneria. Si sfilò di corsa i guanti e rispose. Era Hauser.
«Cosa c’è?» sussurrò d’istinto, benché fosse sola.
«Non abbiamo ancora il mandato di perquisizione del tribunale, ma c’è già qui un esperto di serrature. Siamo pronti. Nel frattempo i miei uomini tengono d’occhio Breinschmidt. Fino a poco fa era in negozio, adesso però sta tornando a casa.»
A casa? Melanie sentì il cuore in gola. Si precipitò subito su per le scale.
«Dobbiamo fermarlo finché non otteniamo il mandato? Potrebbe tentare di far sparire le prove.»
«No», ansimò lei. «Venga qua e inizi la perquisizione.»
«In che senso ’Venga qua’?»
Accidenti! «Volevo dire, vada a casa di Breinschmidt. Io la raggiungo lì.»
«Senza mandato?»
«Possiamo presentarlo in seguito.»
«E se non ce lo concedono?»
«Lo otterremo, non si preoccupi.» Melanie si trovava in soggiorno, quando sentì la frenata. Corse alla finestra e sbirciò. Era il furgone di Breinschmidt.
Merda!
«Si sbrighi!» gridò e riattaccò.
Aveva chiuso a chiave la porta d’ingresso? Sì. Quali alternative le restavano? Fissò la porta della terrazza in cucina. Il sole brillava attraverso la zanzariera e per un attimo l’accecò. Avrebbe potuto svignarsela da lì, ma prima o poi Breinschmidt si sarebbe accorto che il chiavistello era aperto. Sentiva già la chiave girare nella serratura.
Corse alla porta che dava nello scantinato e scese in punta di piedi le scale.
Porca miseria!
Ancora accecata dalla luce del giorno, mentre si muoveva a tastoni in cerca di un angolo isolato, colpì con la mano un cacciavite che rotolò sul pavimento.
No!
L’attrezzo andò a sbattere con un suono cupo contro un secchio di vernice vuoto. Melanie s’irrigidì. Avrebbe voluto darsi uno schiaffo. Trattenne il fiato e tese l’orecchio.
In cima alle scale si aprì la porta.
«C’è qualcuno là sotto?» urlò Breinschmidt.
Melanie lo sentì premere un interruttore, poi si accesero le lampade da soffitto. Sempre in punta di piedi scivolò in fretta lungo il corridoio fino al locale caldaia, in cui si trovavano lo scaldabagno a gas e i tubi di scarico. All’interno vide anche una sauna completata a metà. Due pareti laterali erano pronte, come pure le panche e la stufa.
Sentì Breinschmidt scendere le scale. Probabilmente per prima cosa si sarebbe diretto verso gli scaffali per prendere la pistola. Melanie si guardò attorno in preda al panico. Dove poteva nascondersi? Sotto la panca della sauna? O dietro la caldaia. Decise per la seconda, salì sopra alcuni fusti e s’infilò tra i tubi e la parete. L’intonaco le si sgretolava sulla schiena. Piano piano si piegò sulle ginocchia fino a sedersi sul pavimento, incassando la testa nelle spalle. Ansimava così forte che di lì a poco lui l’avrebbe sentita.
Ma come le era venuta in mente un’idea simile? Se Breinschmidt l’avesse trovata in casa sua, nascosta nel locale caldaia, e l’avesse colta in flagrante mentre spiava sarebbe stata una situazione davvero imbarazzante. Proprio lei, una procuratrice! Anche se fosse stato colpevole qualsiasi giudice l’avrebbe prosciolto, perché l’intero quadro probatorio sarebbe stato messo in dubbio. Ma non solo. Melanie avrebbe perso il lavoro e non ne avrebbe più trovato uno, neppure come dattilografa da un notaio.
Sentì Breinschmidt entrare nel locale caldaia e accendere le luci. Piegò ancora di più la testa fra le gambe. Non avrebbe resistito a lungo in quella posizione.
Il cellulare! Non lo aveva ancora silenziato. E se Hauser avesse chiamato di nuovo?
Sentì il patrigno di Clara aggirarsi per il locale.
«C’è qualcuno?»
Che domanda stupida. Melanie trattenne il fiato. Il sudore le colava lungo il corpo. Per poco non lanciò un urlo, quando in alto si sentì il campanello della porta.
«Vaffanculo!» imprecò l’uomo, allontanandosi.
Subito dopo si udì un rumore metallico: probabilmente aveva posato l’arma sul davanzale.
Sollevata, Melanie si alzò e respirò a pieni polmoni con le spalle appoggiate al muro. Le faceva male la schiena. Tirò subito fuori il cellulare e tolse la suoneria. Poi si arrampicò per uscire da dietro la caldaia.
Suonarono di nuovo e Breinschmidt aprì la porta d’ingresso. Incuriosita, Melanie lasciò il locale caldaia e si diresse verso le scale per origliare.
«Buongiorno, polizia federale di Vienna.»
La voce di Hauser! Melanie tirò un sospiro di sollievo.
«Vorremmo dare un’occhiata in casa.»
«Come mai?» domandò Breinschmidt. «Avete un mandato?»
«Glielo invieremo.»
«Ha ancora bisogno di me?» domandò un’altra voce. Probabilmente si trattava dell’esperto di serrature.
«Resti qui per ogni evenienza», rispose Hauser.
«Aspetti un momento, non potete entrare in casa mia senza un’autorizzazione», protestò Breinschmidt.
«Le ho già detto che le consegneremo il mandato in un secondo momento.» La voce di Hauser sembrava un po’ tesa.
In quell’istante, il cellulare di Melanie vibrò. Lo tirò fuori dalla tasca. Era un sms dal giudice Hirschmann.
«Un attimo!» disse Hauser.
Melanie immaginò che Hauser avesse ricevuto lo stesso messaggio.
Mentre scorreva il testo, iniziò a ruotarle tutto intorno.
Richiesta per il mandato di perquisizione respinta!
Ma che stronzata era? Perché aveva deciso di no? Il computer con i dati delle email di Clara era a pochi metri da lei. Avrebbe voluto trascinare Hauser giù per le scale e metterglielo sotto il naso.
«Devo scusarmi della visita», disse imbarazzato Hauser. «Di nuovo, buona giornata. Signori, ce ne andiamo.»
Ormai Breinschmidt doveva aver intuito che qualcosa contro di lui stava bollendo in pentola. Se fosse stato furbo, avrebbe riflettuto sul possibile obiettivo di quella visita della polizia e avrebbe fatto sparire il computer di Ingrid. In ogni caso, Melanie non sarebbe riuscita a impossessarsi del pc. Lo sentì chiudere la porta d’ingresso. Avrebbe voluto mettersi a gridare per la rabbia... ma all’improvviso le venne un’idea. Era al limite della follia, ma non le restava altra scelta.
Corse di nuovo nel locale caldaia, si infilò i guanti e prese l’arma di Breinschmidt dal davanzale. Sperava che nel caricatore ci fossero davvero i proiettili. Con un gesto rapido tirò indietro il carrello e caricò l’arma. Poi aprì la finestra, si affacciò, rivolse la canna verso il cielo e premette il grilletto. Il bossolo rotolò sul pavimento, ma Melanie non sentì il rumore. Il botto era stato così forte che le fischiavano le orecchie. Lanciò la pistola sul pavimento, spinse i guanti sotto una pila di sacchi di juta e corse alle scale. Nel momento in cui la porta si spalancò, si rannicchiò sotto i gradini. Breinschmidt cominciò a scendere.
Hauser, sbrigati!
Il patrigno di Clara era quasi arrivato in fondo, quando suonarono di nuovo alla porta, che un momento dopo fu spalancata.
Breinschmidt si precipitò di nuovo di sopra e Melanie riprese a respirare.
«Abbiamo sentito uno sparo dalla sua cantina», gridò Hauser.
Dalle voci e dai passi che risuonavano dall’ingresso doveva trattarsi di diversi uomini.
«Cosa diavolo ci fate qua?» gridò Breinschmidt.
«Dov’è la cantina?»
Melanie aveva ancora nelle orecchie il rimbombo dello sparo e quelle frasi le giunsero smorzate, come attraverso degli auricolari.
Alcuni uomini scesero con gran baccano giù per le scale spargendosi subito per la cantina. Melanie si premette contro un armadio alla parete. Dopo qualche secondo sbirciò da dietro le scale e vide Breinschmidt, Hauser e altri agenti entrare nel locale caldaia.
Ne approfittò per avvicinarsi alle scale, ma quando raggiunse il gradino più basso notò con la coda dell’occhio che gli altri erano già tornati nel corridoio. «L’arma è...» stava dicendo Hauser prima di vederla e zittirsi di colpo.
Melanie si girò all’istante fingendo di essere appena scesa dalle scale. Si ripulì in fretta e furia la polvere dalle spalle. «Ero quasi arrivata quando ho ricevuto l’sms di Hirschmann e poco dopo ho sentito uno sparo», spiegò. «Mentre parcheggiavo vi ho visti correre in casa.»
«Ma cos’è questa storia?» gridò Breinschmidt.
«Stia calmo.» Hauser gli diede un colpetto sul torace. «Ci mostri il porto d’armi per la Walther.»
Breinschmidt rimase immobile.
«L’arma ha sparato un colpo poco fa», mormorò uno degli uomini di Hauser.
Un altro agente aggiunse: «Un bel po’ di ciarpame qua sotto».
«Abbiamo un sospettato», decise Melanie. «Portiamo via qualunque oggetto che assomigli a un pc, a un cellulare o a una console.»
Con un’espressione di panico sul volto Breinschmidt si girò di scatto e fissò la montagna di rifiuti di materiale elettrico, tra i quali si trovava il computer di Ingrid. Quando si rese conto della propria reazione, chinò subito il capo.
Ti ho beccato!
«Qua ci sono soltanto vecchi sacchi di cemento e scarti del mio negozio», si giustificò.
«Può darsi.» Melanie indicò gli oggetti nella stanza. «Portiamo via per primo questo mucchio di roba.»
Breinschmidt si avvicinò a Melanie, notò le tracce di calcina sulla giacca e le disse a denti stretti: «Tu, lurida carogna, stai cercando di rifilarmi la colpa».
«Tento solo di scoprire la verità», rispose lei in tono altrettanto freddo, poi salì le scale senza prestare più ascolto a quel che le sbraitava dietro Breinschmidt. Prima di uscire e trovarsi all’aperto, appese alla mensola la chiave d’ingresso.