13

Dopo il modulo «Tecniche di ricerca concentrata su un sospetto», Sabine aveva un’ora e mezzo di pausa pranzo. Rinunciò a mangiare alla mensa e andò al Sankt Josefs-Hospital. Doveva vedere di nuovo Erik, anche se era in coma. Altrimenti sarebbe impazzita.

Mostrò il permesso di visita all’infermiere del reparto, che le consentì solo una breve occhiata nella stanza dalla porta socchiusa. Le bastò però per capire che Erik non era più in coma, ma era semplicemente steso a letto con gli occhi chiusi, a dormire. Sentì un tuffo al cuore. Quindi stava meglio!

«È uscito dal coma?» sussurrò.

L’infermiere alzò le spalle. «Vedo se riesco a trovare il medico.» Sparì e Sabine si sedette su una sedia di plastica davanti alla camera.

Di fronte a lei di nuovo i due agenti del BKA, a difesa di Erik. Uno si mise a scrutare la targhetta a nome Nemez, l’altro fece tintinnare le monete nella tasca dei pantaloni. «Vado a prendere il caffè», mormorò prima di allontanarsi.

Sabine guardò il tizio con i capelli a spazzola, in piedi vicino alla porta a braccia conserte. «Sa se Erik si è svegliato da solo?»

«Non sono autorizzato a...»

«Sì, sì, va bene...» lo interruppe.

Tacquero. Dopo un paio di minuti dal corridoio arrivò un medico in camice bianco, che non dava un’impressione molto sobria. Probabilmente beveva durante il turno. A Sabine sembrava di aver già visto quell’uomo scarno dal volto smagrito, con occhiaie bluastre e occhi iniettati di sangue. Forse durante la prima visita a Erik, quando era appena arrivata a Wiesbaden.

In quel momento l’uomo le porse la mano e si presentò come dottor Laurenz Bell. Merda! Proprio lui doveva occuparsi di Erik? Sapeva di collutorio. Di sicuro quella mattina aveva già fatto il pieno.

Il medico le guardò la targhetta con il nome. «Lei è Sabine Nemez, la fidanzata di Erik Dorfer.»

«Sì. Ci siamo sentiti ieri per telefono», rispose lei alzandosi.

«È fortunata ad avermi trovato qui oggi. Di solito sono in ospedale solo due giorni a settimana.» La sua voce sembrava melmosa, come se avesse in bocca un pezzo di anguria marcia.

«Per il resto lavora come medico legale?» chiese Sabine.

Il dottor Bell annuì. «All’Istituto di medicina legale presso la clinica universitaria di Magonza. È probabile che al BKA le sia capitato di vedere qualche mio referto.»

Sabine annuì. Aveva visto la firma del dottor Laurenz Bell nel rapporto autoptico della ventunenne Katharina, squartata con un coltello a serramanico sul mare dei Wadden. «Strano, che un medico legale lavori anche nel reparto di terapia intensiva.»

«Non ci sono molti specialisti del cervello», rispose lui. «Ho solo pochi minuti. Venga con me.» Il dottore si mise in cammino e Sabine lo seguì.

«È stato lei a risvegliare dal coma Erik?» domandò dopo qualche istante di silenzio.

Bell sbatté le palpebre nervoso. «Una cosa per volta. Il suo fidanzato è stato ricoverato qua la settimana scorsa nella notte fra lunedì e martedì. Non ero in servizio ma sono stato subito avvisato. Già per telefono le ho indicato i motivi per cui lo abbiamo messo in ipotermia. È stato sei giorni in coma farmacologico.»

«Suo padre è stato informato?»

Bell annuì. «Però non è venuto a trovarlo.»

Tipico! Meschino e ottuso. Fin dall’inizio era stato contrario alla relazione tra Erik e Sabine e anche alla loro comune carriera nella polizia. Troppo pericoloso! Se qualcosa va storto i miei nipoti cresceranno orfani. Che idiozia! Eppure, in fin dei conti, aveva avuto ragione.

Raggiunsero la porta della sala fumatori, dietro la quale si vedeva una coltre di fumo denso.

Bell entrò nella sala. «Le dà fastidio?»

«No», mentì di nuovo Sabine. Nel giro di pochi minuti avrebbe avuto addosso la puzza di una birreria del porto, ma forse era l’unica possibilità di parlare con Bell.

Il medico si accese una sigaretta e inalò con forza. Nello stesso istante iniziò a tossire in modo spaventoso. Sembrava che da un momento all’altro potesse vomitare un polmone e gli occhi gli sporgevano ancora di più dalle orbite. Una scena terrificante.

«La buona notizia è...» rantolò Bell mentre si asciugava le lacrime con il dorso della mano, «... che la tumefazione nel cervello di Erik si sta riducendo. Ieri l’altro abbiamo iniziato a risvegliarlo dal coma, ma si tratta di una fase che richiede tempo. Un’ora fa un collega di neurologia ha comunicato con lui.»

Comunicato? Sabine avvertì una spiacevole sensazione allo stomaco. «E la cattiva notizia?»

«Solo ora possiamo valutare l’effettiva entità del danno riportato.» Il medico si toccò la fronte. «Il proiettile è penetrato nella metà sinistra dell’encefalo, il centro del linguaggio. Il suo fidanzato non può parlare.»

A Sabine sembrò che Bell le concedesse qualche secondo per metabolizzare l’informazione. Eppure aveva già intuito che ci sarebbe stato dell’altro.

«Non può più leggere, né scrivere, né contare», proseguì Bell.

Lo spazio intorno a Sabine iniziò a farsi stretto, le pareti si avvicinavano minacciose. Per un istante si appoggiò al tavolo, cercando si rimuovere l’immagine di Erik, steso a letto con la testa bendata. Un attimo dopo si era già ripresa. «Non è una condizione irrimediabile, vero?»

Bell storse la bocca. «Questo disturbo del linguaggio si chiama afasia. Con una buona terapia potrebbe recuperare molte delle sue capacità.»

Potrebbe!

Dalla porta di vetro opalino Sabine diede una sbirciata al corridoio in cui si trovava la stanza di Erik. «Quando potrò...?»

Bell scosse il capo. «I suoi colleghi dell’Anticrimine hanno voluto interrogarlo subito stamattina, ma non appena si è reso conto di non riuscire né a parlare né a scrivere, è rimasto così sconvolto che abbiamo dovuto somministrargli un forte sedativo.»

Sabine lo guardava con aria interrogativa.

«Il lorazepam. Abbiamo dovuto intervenire in fretta prima che si agitasse troppo», aggiunse il medico. Sembrava quasi una giustificazione. «Al momento dorme tranquillo.»

Dopo un altro attacco di tosse, Bell si accorse che la ragazza voleva saperne di più. «Al momento non posso dirle altro.» Spense la sigaretta. «Vuole passare un minuto da lui?»

Sabine annuì e il dottore la condusse alla camera di Erik, scambiò alcune parole con i poliziotti, in piedi in corridoio a bere il caffè, e infine le aprì la porta.

«Un minuto!» le ricordò prima di allontanarsi.

Sabine entrò, chiuse la porta e si sedette vicino al letto di Erik. Respirava tranquillo, ma le palpebre sbattevano nervose, come se fosse tormentato da incubi terribili. Hai visto chi ti ha sparato, non è vero?

Gli prese la mano. Aveva le dita fredde. «Ora ci sono io con te», gli sussurrò. «Quando starai di nuovo bene, ci riproveremo. Potremmo cercarci una casa. Resterò qui per i prossimi due anni. Quando avrò finito l’accademia, saremo colleghi. Tuo padre sarà fuori di sé, ma d’altro canto...» Non è neppure venuto a trovarti, aggiunse fra sé e sé.

Guardò la sua testa bendata e mandò giù il dispiacere. Sperava che Erik tornasse a parlare come prima, a scherzare e scoppiare a ridere del suo ma sì, dai. Non poteva credere che lo avessero trasformato in un invalido.

Forse il tentato omicidio non aveva nulla a che vedere con le sue indagini sui due casi che avevano studiato con Sneijder. E se invece aveva scoperto qualcosa di scottante?

«Perché non ne hai parlato con me?» sussurrò. Magari lo avrebbe fatto, se lei non lo avesse lasciato. Finché non avesse ripreso coscienza, nessuno avrebbe mai saputo la verità. L’unica cosa certa era che qualcuno di notte si era introdotto nel Dipartimento investigativo federale per vendicarsi di Erik o metterlo a tacere.

Gli strinse la mano. «Ti giuro che lo troverò.»

 

Quando parcheggiò nell’area del campus le restava ancora mezz’ora prima dell’inizio del modulo successivo. Non avrebbe avuto accesso all’appartamento di Erik, né tanto meno al suo ufficio, che era la scena del crimine. Inoltre, Sneijder si sarebbe guardato bene dal rivelarle i nomi dei colleghi con cui Erik aveva avuto gli ultimi contatti. In quanto studente Sabine era priva di ogni diritto e non aveva spazi di manovra. Si sentiva impotente, eppure non riusciva a starsene con le mani in mano. Quella situazione la straziava.

Dal lettore cd risuonava ancora l’audiolibro con la voce di Matthias Schweighöfer, ma lei non lo ascoltava. Stava formulando un piano, che le si aggrappava al cervello con minuscoli uncini. Voleva verificare se ci fosse un collegamento tra il caso Centipede e l’omicidio sul mare dei Wadden. Forse dietro le due vicende si nascondeva lo stesso killer, che copiava un certo modus operandi per scaricare la colpa su un’altra persona. Era solo un piccolo indizio: doveva trovare altri casi irrisolti che si adattassero a quello stesso schema. Perché forse l’assassino aveva colpito già in passato. Tuttavia come studentessa non aveva accesso agli archivi online del BKA, dove erano disponibili tutti i fascicoli. C’era da impazzire! Come commissario a Monaco aveva avuto più diritti.

Però esistevano altre strade: non appena le indagini su un caso si concludevano, la documentazione veniva stampata e spedita in tribunale... E una copia di ciascun faldone veniva conservata nell’archivio.

Quando lasciò il parcheggio del campus e si incamminò lungo Thaerstraße, tre veicoli della squadra mobile stavano uscendo dal garage sotterraneo. Sabine aspettò il passaggio del convoglio e subito dopo salì di corsa le scale dell’edificio principale del BKA. Mostrò dal vetro il tesserino al portiere, superò spedita gli uomini del servizio di sicurezza e raggiunse gli ascensori. Mentre ne aspettava uno, studiò il tabellone elettronico. L’archivio si trovava al piano interrato più basso, allo stesso livello del garage sotterraneo.

Un minuto dopo era scesa. I corridoi erano illuminati da tubi al neon e la porta dell’archivio era aperta. Fu investita dal tipico odore della carta ingiallita delle biblioteche. Una donna con i capelli grigi era seduta davanti al pc. Alle sue spalle, gli armadi per ufficio color arancione alti fino al soffitto creavano un labirinto con decine di corridoi. Sabine si guardò intorno stupita. Cosa ti aspettavi? Due, tre casi in una vetrinetta? Con 320.000 crimini all’anno era inevitabile che ci fosse una quantità incredibile di documenti da conservare.

«Sì?» gridò la donna.

«Scusi?» Sabine osservò la collega, che in quell’istante aveva sollevato lo sguardo dal pc e si era tolta gli occhiali, lasciandoli penzolare sul petto legati al cordoncino.

«Come posso aiutarla?»

«Vorrei vedere i fascicoli di tutti i casi di omicidio finiti in tribunale negli ultimi cinque anni.»

«Qualcos’altro? Magari un cappuccino?»

«Io... ehm.»

«Signorina», mormorò la donna. «Pensa di essere all’ufficio informazioni? Nel caso abbia le necessarie autorizzazioni, compili la domanda online e le invieremo i PDF

«Mi piacerebbe...» fece per rispondere Sabine.

«Anche a me piacerebbe andare in pensione anticipata», la interruppe l’altra, poi abbassò lo sguardo, inforcò gli occhiali e riprese a digitare sulla tastiera.

Perché quella strega era così cattiva? Era colpa del suo tesserino, che la identificava come studentessa?

«Non posso...?»

«No, non può!» rispose la donna senza alzare lo sguardo. «Gli studenti non hanno accesso all’archivio; sarebbe davvero il colmo, anche se appartengono alle reclute particolarmente dotate.»

Alzò un sopracciglio sdegnata.

Ecco il perché!

«Grazie.» Sabine stava già per voltarsi, quando alle spalle sentì una voce cigolante.

«Mi sbaglio, o ho sentito parlare di reclute particolarmente dotate?»

Si girò e si trovò davanti un occhio bendato e un volto segnato da rughe profonde. In corridoio c’era Konrad Wessely. Sabine si spostò per consentirgli di entrare e posare sul tavolo un fascicolo. «Io ho finito, può essere scannerizzato», disse alla signora. Poi si rivolse a Sabine: «E lei cosa ci fa qua? Sempre indaffarata come una formichina?»

«Volevo dare un’occhiata ad alcuni atti giudiziari», rispose. Mentre lo diceva provò un imbarazzo incredibile, rendendosi conto di quanto sembrasse ridicola. Non le era venuta in mente nessun’altra risposta plausibile. Ma Wessely non formulò altre domande. La prese in disparte un attimo e abbassò la voce.

«Si è mai chiesta perché l’archivio si trovi nel piano più basso?»

«Perché qui il rischio d’incendi è minimo?» ipotizzò la recluta.

Il profiler scosse il capo. «Perché qui ci troviamo sopra uno strato doppio di cemento armato. I fascicoli pesano talmente tanto che farebbero crollare gli altri piani dell’edificio.» La squadrò in modo insistente. «Quanto crede... Quanti anni impiegherebbe per dare una scorsa a tutti quei fascicoli?»

La prendeva per scema? «Cerco solo alcuni casi specifici di omicidio.»

«Ma lei sa bene che le indagini per omicidio sono gestite dai singoli Land. Solo in casi particolari si rivolgono a noi.»

A quanto pareva la reputava estremamente stupida. Dopo tutti gli anni trascorsi in polizia non doveva certo spiegarglielo. «Io mi sto interessando ad alcuni casi di competenza del BKA

Dal luccichio nel suo sguardo, Sabine si accorse che dentro di sé Wessely stava ridendo. «Presumo sappia quel che sta facendo.» Il profiler lanciò una breve occhiata all’archivista che, a causa della loro conversazione, si era innervosita, ma a lui non avrebbe osato dire niente.

L’uomo abbassò di nuovo la voce. «Le propongo un accordo. Prenda pure i fascicoli a nome mio, a una condizione però: che mi aiuti ad archiviare i miei di documenti.»

«Quando e per quanto tempo?»

«Dipende da lei.» Rise sotto i baffi. «Stasera, alla fine del suo ultimo corso. Diciamo un paio d’ore.»

«Affare fatto», si limitò a rispondere Sabine.

Wessely strappò un foglio di carta dal suo bloc-notes e con la penna stilografica tirata fuori dal taschino annotò un indirizzo. «Diciamo alle otto.» E le diede il foglietto.

 

Sonnenberg, numero 12 di Kreuzbergstraße.

 

Mentre Sabine si metteva in tasca l’appunto, Wessely si rivolse alla signora dell’archivio. «Conceda un’ora alla giovane collega e le procuri tutti i documenti che desidera.»

La donna si tolse gli occhiali e gli rivolse un sorriso zuccheroso. «D’accordo, signor Wessely. Sa che lo faccio volentieri.»

«Certo che lo so.» Wessely ammiccò in segno d’intesa, poi sparì in corridoio.

Nello stesso istante i tratti della strega si indurirono di nuovo. «Non si faccia subito prendere dalla furia!» La donna schioccò le dita. «Io adesso vado in pausa pranzo.»

«Va bene.» Sabine guardò l’orologio. Il modulo successivo iniziava dopo pochi minuti. «Ripasso nel pomeriggio.»

Poi avrebbe sequestrato la vecchia bisbetica per un’ora.