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Quando Sabine raggiunse la portineria, trovò Falcone seduto dietro il vetro. Di sicuro sapeva già perché era venuta: in quel palazzo le informazioni si diffondevano più rapide di un proiettile. Falcone non sembrava particolarmente dispiaciuto, ma almeno le risparmiò commenti cinici.
Lei posò a fatica la borsa sportiva sul bancone e gli addetti alla sicurezza restarono a guardare mentre Falcone tirava fuori la giacca con il logo del BKA, la Sig Sauer nella fondina di sicurezza, le munizioni perforanti e i caricatori da esercitazione, lo spray al peperoncino, le manette e il manganello telescopico. Sabine gli passò attraverso la feritoia il tesserino di riconoscimento, il badge, la tessera magnetica e il modulo compilato con cui rinunciava a ogni futura rivendicazione. Falcone firmò una ricevuta e, senza commentare, infilò modulo e tesserino in una busta della posta interna.
«Nel frattempo Sneijder è ricomparso?» domandò Sabine.
Falcone scosse il capo.
«E le condizioni di Erik Dorfer?»
«Critiche... per quanto ne so.»
«Grazie.» Voltò le spalle al portiere, alle guardie e alle videocamere di sorveglianza e si diresse verso l’uscita.
Quando uscì all’aperto dalla porta girevole, in portineria squillò il telefono. Quel suono sarebbe stato l’ultimo che avrebbe sentito dal BKA. Nonostante avesse frequentato l’accademia solo per una settimana, le era già tutto così familiare. Ma il dispiacere più grande era veder andare in fumo il suo sogno nel cassetto di superare l’addestramento. I casi erano ancora irrisolti e non era riuscita ad avvicinarsi all’attentatore di Erik. Se fosse subito tornata a vivere a Monaco, si sarebbe allontanata a tal punto dalle indagini da non poter più ottenere niente. Infine aveva ormai rinunciato alla speranza che Erik tornasse a essere come prima. Era tutto uno schifo. Che prospettive potevano esserci per la sua vita?
Scese un gradino, si fermò sotto la pioggia e si chiuse la cerniera lampo della giacca. Il mattino era ancora nuvoloso, il tempo brutto quasi quanto alcuni giorni prima, quando era arrivata a Wiesbaden. Per un attimo fissò l’accademia all’altro lato della strada. Anche se non aveva molto senso, decise di fare un’altra visita in ospedale a Erik, prima di tornare da sua sorella a Monaco. L’unica consolazione era rivedere le nipotine... Dopodiché avrebbe dovuto revocare la disdetta dell’affitto. E poi? Cercarsi un lavoro?
«Nemez!» Sabine sentì la voce cupa di Falcone attraverso la porta e si voltò.
Le fece segno di entrare. «Deve andare da Dietrich Hess! L’aspetta nel suo ufficio.»
Sabine non avrebbe mai immaginato che Hess fosse già nel suo ufficio a quell’ora del mattino. D’altra parte abitava con sua moglie in una villa all’interno del complesso del BKA, circondata dal bosco e dal percorso di allenamento. Il luogo più sicuro di Wiesbaden, oltretutto vicinissimo al suo posto di lavoro.
In quel momento Sabine era seduta nel suo ufficio e la giacca fradicia sgocciolava sul tappeto.
«Ho appena ricevuto una telefonata dall’Austria», iniziò il direttore senza giri di parole. «Dalla procura di Vienna, a essere precisi.» Ticchettava la penna stilografica sulla superficie del tavolo. «Richiede la nostra collaborazione, in particolare di una nostra ’collaboratrice particolarmente dotata’.» Quelle ultime parole pronunciate da lui sembravano quasi un’offesa.
Solo in quel momento la guardò negli occhi. «Personalmente lo ritengo un errore madornale, ma a quanto pare a Vienna sono convinti che potrebbe contribuire alla risoluzione di un caso di sequestro.»
Mise la penna di lato. «Dato che però da oggi lei non lavora più per il BKA ed è qui come civile, le assegnerò un collega esperto del BKA.»
Che la tenga d’occhio, la tratti come una bambina e alla prima occasione le attribuisca qualche colpa, pensò Sabine completando la frase fra sé e sé.
In quell’istante bussarono alla porta. Hess borbottò un «Avanti!» in tono scontroso e la sua segretaria gli mise sul tavolo senza commentare una busta marrone. Per poco non rovesciò la foto accanto al telefono, in cui era ritratta un’attraente signora biondo platino.
Sabine riconobbe l’intestazione della busta. All’interno si trovavano il suo tesserino di riconoscimento, il badge e il modulo compilato. A quanto pareva, non vedeva l’ora di mettere agli atti la fine della sua permanenza all’accademia.
«D’accordo?» borbottò Hess.
«No», rispose Sabine. In fondo cosa aveva da perdere?
Hess sembrò un tantino sorpreso. «Si oppone?»
Sabine si sporse in avanti. «In quanto civile, da stamattina non sono più una sua sottoposta. Se vado a Vienna, ci vado da sola. Ci sono già stata l’anno scorso, conosco la città e non ho bisogno di avere al mio fianco un cane da guardia. Se dovrò collaborare con la procura di Vienna, lo farò da agente del BKA riassunto.» Indicò la busta marrone. «È tutto nelle sue mani.»
«Mi vuole ricattare e pensa di poter riottenere in questo modo un posto all’accademia?»
Sabine sostenne il suo sguardo. «Non si tratta di questo. Andare a Vienna è la mia unica chance per risolvere un caso molto complesso, per il quale ho pochissimo tempo. Ed è anche la mia unica possibilità di scoprire dove si sia cacciato Sneijder, di trovare chi ha tentato di uccidere Erik Dorfer e di riscattare la mia reputazione.»
Sapeva che l’ultimo punto in particolare non sarebbe affatto piaciuto a Hess.
«Intende dire che è tutto collegato?» Per una frazione di secondo parve quasi che Hess avesse perso la sua arroganza e la considerasse una collega. Ma subito dopo rispuntò il solito sorriso supponente.
«Dopo l’incontro a Vienna per lo meno ne saprò di più», rispose lei.
Hess annuì e lanciò un’occhiata al monitor. Sabine vide che aveva appena ricevuto una nuova email ma non riusciva a leggerne l’oggetto.
«I metodi che adopera non le faciliteranno la vita nelle forze di polizia tedesche.» Svuotò il contenuto della busta sulla scrivania. Infine le diede tesserino di riconoscimento e il badge. «Il suo licenziamento è temporaneamente sospeso. Riceverà l’arma d’ordinanza all’ingresso.»
Si girò verso il pc e aprì l’email. Poco dopo la stampante laser ronzò, sputando un foglio. Hess lo indicò con un cenno. «La sua carta d’imbarco. Da Vienna le hanno appena fatto il check-in online.»
In quel momento il cellulare di Sabine squillò. «Mi scusi.» Vide il numero della procuratrice Dietz e rispose.
«Ho parlato con il suo superiore. Dovrebbe venire il più in fretta possibile», disse Dietz. «Ha ricevuto il biglietto?»
Sabine diede una sbirciata alla carta d’imbarco. «Sì.»
«Qualcuno la verrà a prendere all’aeroporto.»
«Grazie.»
«Buon viaggio.»
Sabine mise via il cellulare, prese la carta d’imbarco e guardò l’ora del volo. Per fortuna i bagagli, con il portatile e tutta la documentazione sui casi, erano già in macchina. Se voleva raggiungere l’aeroporto di Francoforte in tempo, doveva sbrigarsi. Piegò il biglietto e lo infilò in tasca. Tornava tutto. A quanto pareva, Hess aveva inviato a Vienna, su richiesta della procura, i suoi dati personali. «Ora devo andare.»
Hess annuì. «Il suo giochetto ha funzionato, ma le do un consiglio: se a Vienna avrà successo, con questa cooperazione l’accademia si metterà in buona luce. Ma se fallirà, avrò un motivo in più per buttarla fuori... E a quel punto nella migliore delle ipotesi si troverà a dirigere il traffico sotto la pioggia battente in qualche paesino bavarese.» La fissò con uno sguardo pungente. «Ha capito?»
«Sì.» Sabine si alzò. «Ma invece di dispensare consigli, farebbe meglio a trovare al più presto Maarten Sneijder, perché si sta occupando della mia stessa indagine e se lei non lo aiuta rischia di fare la stessa fine di Erik Dorfer... E allora sarà lei che non riuscirà più a mettersi in luce.»