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A Sabine faceva male la fronte. Le sarebbe venuto un bel bernoccolo. L’impatto era stato molto doloroso. Socchiuse gli occhi per vedere se Auersberg aveva lasciato la stanza e riprese a respirare avidamente, poi si tirò su.
«Scoiattolo!» esclamò Sneijder.
Sabine gli premette la mano sulla bocca. «Non ha sentito cosa ha detto Auersberg?» gli sibilò all’orecchio. «Deve chiudere il becco.»
Il profiler le fissava incredulo la pancia in cerca di una ferita. Sabine raccolse da terra la pinza e tagliò la fascetta. Non sembrava più impacciata come prima. «Nel caricatore c’erano cartucce a salve. Munizioni per l’addestramento usate per le operazioni simulate all’accademia», sussurrò. «Speravo che Auersberg cogliesse l’occasione per sottrarmi la pistola.» Si ripulì il sangue dal labbro, più gonfio del solito.
«Lei è pazza!» esclamò ansimando Sneijder.
«L’ho imparato da lei.» Sabine tagliò anche la seconda fascetta.
Sneijder si strofinò i polsi. «Ma perché questa farsa?»
Sabine tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. «Ho registrato tutto. Abbiamo la confessione di Auersberg.»
«Sul serio ha analizzato la calligrafia di Auersberg?»
«Certo che no.»
Per un attimo, Sabine notò una traccia di stima nello sguardo di Sneijder.
«Davvero un piano raffinato, ma valeva la pena correre un rischio simile?»
«’Quando si è sulle tracce di un assassino ogni mezzo è lecito’», ripeté lei.
«Giusto.» Sneijder si alzò dalla cassa e si massaggiò le gambe. Un attimo dopo, stava per accasciarsi di nuovo e Sabine dovette sostenerlo.
«In effetti ero sorpreso che si fosse lasciata sfilare di mano la pistola con tanta leggerezza.»
«E io, invece, mi domandavo quando finalmente si sarebbe decisa a sparare. Era disperata, doveva farlo per forza.»
Sneijder annuì. «E se le avesse sparato senza prima discutere?»
«A quel punto l’avremmo accusata di tentato omicidio.»
«Che astuzia, scoiattolo!»
Sabine guardò le scale. Dall’alto si sentiva il fruscio di una pellicola di plastica. «Cos’ha in mente?»
«Provi un po’ a indovinare! Deve tentare di sbarazzarsi del suo cadavere.»
Non poté fare a meno di pensare a Erik. Piegò le spalle abbattuta. «Erik è morto. Stasera.»
Sneijder digrignò i denti, ma non disse nulla. Un attimo dopo, si sentirono da fuori le sirene della polizia, seguite dal rumore dei tacchi di Auersberg che si precipitava giù per le scale.
Sneijder barcollò per la stanza, si appoggiò a uno scaffale e si piegò per afferrare l’attizzatoio.
«Maarten, abbiamo visite. Purtroppo devo...»
Auersberg si bloccò, come fulminata e fissò incredula Sabine.
«Scusami, cara», disse Sneijder,
Auersberg girò la testa e Sneijder la colpì alla tempia con l’attizzatoio.
Mezz’ora dopo, Sabine era sul viottolo di ghiaia davanti alla villa di Auersberg con una coperta e un K-way giallo a bere qualcosa di caldo. Il tè la scaldava, ma il sapore era tremendo, come se nell’acqua bollente avessero immerso una balla di fieno. La pioggia scivolava giù dalla plastica, il freddo le saliva lungo le gambe come una lucertola.
Davanti alla casa erano parcheggiate tre volanti con i lampeggianti accesi. L’intera area era transennata e illuminata a giorno con i riflettori.
Sabine era appoggiata allo sportello aperto dell’ambulanza e Sneijder era seduto sul retro su una barella. Di nuovo! Un medico gli stava misurando la pressione e con una pila accesa gli esaminava le pupille. Stavolta Sneijder sopportò senza commentare.
«Ha un antidolorifico?» brontolò, mentre si massaggiava i punti di pressione sul dorso della mano.
«Non si muova», lo esortò il medico.
In quel momento Dietrich Hess uscì dalla villa accompagnato da Lohmann, che si infilò un berretto di lana mentre il direttore apriva un ombrello.
Due agenti condussero fuori la giudice Auersberg ammanettata. Aveva la testa fasciata. Quando passò davanti all’ambulanza, si fermò un istante e lanciò loro un’occhiata.
«Dunque tra noi è finita», disse Sneijder, con autentico rammarico nella voce.
La donna sollevò il mento e lo squadrò stoica. «Ti denuncerò per lesioni personali.»
Sneijder la osservò impassibile. «L’elenco delle accuse contro di me è interminabile. Preparati a una lunga attesa.»
Poi, con un sorriso sarcastico, Auersberg si rivolse a Sabine. «Lei non ha niente contro di me.»
Senza dire una parola, Sabine tirò fuori dalla tasca il cellulare e glielo mise di fronte. «Sneijder può confermare la registrazione.»
Il sorriso sulla labbra della giudice si gelò. «Certo...» disse, e solo allora sembrò comprendere il motivo della recita di Sabine. «Ha inscenato tutto per provocarmi. Ma senza il geniale metodo di Wessely non ci sarebbe mai riuscita.»
Sabine rise sotto i baffi. «Sostenere sempre il contrario di quello che davvero si vuole dire, per cavare di bocca la verità all’altro.»
Gli agenti spinsero Auersberg verso una volante.
«Abbiamo fatto un passo avanti», disse Sneijder sospirando. «Ma abbiamo ancora molto da scoprire su tutti i retroscena.»
Sabine pensò alla procuratrice Melanie Dietz, alla ragazzina tatuata di Vienna e al suo commento sull’altra ragazzina. Forse era tutto diverso da come avevano immaginato fino a quel momento.