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Maarten Sneijder entrò in aula alle nove spaccate. Come sapeva bene Sabine, quell’uomo pensava e agiva con la precisione di un orologio svizzero. Senza neppure degnare di uno sguardo il suo uditorio, si diresse a grandi passi verso la cattedra.

Oltre a Sabine, c’erano solo altri quattro studenti. Lei era seduta in seconda fila, il posto a fianco era vuoto, in quello subito dopo era stravaccata una ragazza dall’aria smaliziata, che masticava una biro. In prima fila, i restanti tre: una donna e due uomini, più o meno della sua stessa età, sui trent’anni. Avevano uno sguardo ipercritico e almeno quattro o cinque anni di esperienza alle spalle. Sabine osservò il comportamento dei colleghi: niente battute di spirito, tutti sembravano prendere il corso molto sul serio.

Sneijder puntellò le lunghe braccia sulla cattedra, si curvò in avanti ed esaminò i presenti. «Mettiamolo in chiaro una volta per tutte: me ne infischio di essere politicamente corretto e distinguere tra studenti e studentesse. Per me siete tutti studenti. Se qualcuno non è d’accordo, vada pure a lamentarsi dal direttore del BKA, Hess. Ma vi avverto: l’elenco dei reclami contro di me è lungo.» E rimase immobile.

Sabine guardava la pista di atterraggio per elicotteri fuori dalla finestra, le siepi che si piegavano al vento.

«Secondo, e questo vale anche per lei, signora Nemez: all’accademia esistono diverse specializzazioni. Voi avete scelto l’analisi operativa dei casi ma badate bene: noi non siamo semplici profiler, siamo veri analisti di intelligence investigativa. Specialisti nei sequestri di persona e psicologi forensi della polizia giudiziaria. Non possiamo limitarci a pensare in maniera analitica, dobbiamo andare a fondo delle cose.» Scrutò i volti dei presenti e un attimo dopo abbozzò il suo tipico sorriso da camera mortuaria. «Ho studiato i vostri fascicoli. Pare che siate tutti dotati di un’intelligenza superiore alla media, eppure ai miei occhi siete solo materia grezza.» Li guardò e sospirò. «Non mi ritengo fortunato ad avervi al mio corso, ma tenterò di ricavarne il meglio.»

Per un momento Sneijder strizzò gli occhi e si massaggiò le tempie. Aveva un pessimo aspetto. Per lui la caccia all’assassino era una sorta di medicina contro le cefalee a grappolo, ovvero gli attacchi di emicrania all’ennesima potenza che tentava di alleviare con l’uso di droghe. Quella mattina non era particolarmente in forma: forse era già un po’ che non ammanettava qualcuno.

«Con me lo studio sarà più che intensivo», disse dopo aver di nuovo chinato il capo. «Non dovrete solo tenere duro come i colleghi degli altri indirizzi; voi sputerete sangue, ve lo garantisco.»

«Si comincia bene», mormorò la ragazza seduta vicino a Sabine.

«Ha detto qualcosa, Martinelli?»

«No», rispose lei.

«Bene.» Sneijder non aveva neppure sollevato lo sguardo.

Sabine diede una sbirciata alla collega: i capelli neri erano raccolti in una lunga treccia, aveva un fisico snello e allenato, un piercing al naso e sopracciglia tatuate. Anche all’attaccatura del collo Sabine notò un tatuaggio, che sembrava il pungiglione di uno scorpione. Una ragazza tosta, fu il suo primo pensiero. Sul badge lesse: TINA MARTINELLI. Dall’elenco degli iscritti Sabine sapeva che aveva ventitré anni e che aveva studiato giurisprudenza.

«Ciao, io sono Tina», bisbigliò la ragazza ancora più piano di prima. Aveva una voce profonda e roca, e un accento italiano.

«Ciao, io mi chiamo Sabine.»

«Per fortuna, la maggior parte di voi ha un po’ di esperienza alle spalle», proseguì Sneijder. «Provenite dai distretti di polizia locali, direttamente da giurisprudenza o dal nucleo di pronto intervento.» Sneijder lanciò una breve occhiata a Sabine che, a quanto pareva, era l’unica ad aver avuto accesso all’accademia dal KDD.

«Fra di voi c’è solo una persona che probabilmente non ha ancora visto un cadavere né sparato con un’arma. Per lei farò una breve introduzione speciale.» E lanciò un’occhiata alla vicina di Sabine. «Al BKA lavorano sedici analisti di intelligence investigativa. Il corso all’accademia durerà quattro semestri e solo i migliori resisteranno. Io sono il vostro istruttore e il mio nome è...»

«Maarten Sneijder», mormorò Tina.

«Maarten S. Sneijder», la corresse lui, poi aggiunse: «E io e i miei colleghi vi spaccheremo il culo! Fine dell’introduzione. D’ora in poi sarà trattata come gli altri».

Tina Martinelli incassò senza battere ciglio.

Sneijder abbandonò la sua postazione e iniziò a camminare su e giù dietro la cattedra. «Secondo il manuale dovreste offrire il massimo rendimento sportivo, padroneggiare l’uso delle armi ed essere in grado di reagire con prontezza in ogni situazione. Se vi guardo in faccia, però, ho la certezza che quella descrizione non corrisponda a nessuno di voi. Inoltre, sempre secondo il manuale, dovreste dimostrare una condotta eccellente. Ma, con tutto il mancato rispetto, di questo io me ne infischio!»

I due uomini in prima fila trattennero una risata.

Sneijder alzò la voce. «Qui non siamo all’Opera di Vienna; noi indaghiamo su casi estremi di omicidio. Quando si trascorre tutto il giorno a esaminare cadaveri mutilati, non lo si può condividere con nessuno. Non si può tornare a casa la sera e raccontare al proprio partner ’Sai, oggi ho indagato su un interessante omicidio a sfondo sessuale di una bambina di cinque anni. Mi passeresti il sale, tesoro?’ Avrete bisogno di una strategia. Il mio consiglio è: trovatela. Altrimenti non supererete i due anni.»

Sneijder lasciò la cattedra e passò davanti alla prima fila. Si fermò un istante davanti alla donna, che stava scarabocchiando su un bloc-notes, le strappò il foglio e lo appallottolò. «Ora vi spiego cosa si impara qui all’accademia: il mio collega Konrad Wessely insegna ai suoi studenti a fare le cose nel modo giusto. Ma voi dovete anche imparare a fare le cose giuste e pensare fuori dagli schemi. Ed è esattamente questo che vi insegnerò io.» Sneijder lanciò la palla di carta nel cestino dei rifiuti.

«Significa che non dobbiamo prendere appunti?» domandò la donna in prima fila.

«Se non riesce a tenere a mente quello che le racconto nella prima ora, come pretende di addentrarsi nelle complesse strutture mentali di un serial killer?»

Dopo una breve pausa aggiunse: «Non voglio che sprechiate il mio tempo, perciò vi dirò tutto una volta sola e voi dovrete fissarvelo bene in testa».

Sneijder tornò alla cattedra. «Sapete perché siete qui?»

Era una domanda retorica, nessuno rispose.

«Ogni anno vengono ammesse cinquanta persone, ripartite in dieci indirizzi. I candidati vengono selezionati con cura, tuttavia la quota di insuccessi è al settanta per cento.»

Un borbottio attraversò la sala. Perché Sneijder glielo raccontava? Sabine si sentiva a disagio: lei non era passata attraverso l’iter di selezione. Già dal venerdì precedente nutriva il sospetto di aver sottratto il posto a un altro studente davvero meritevole.

«In questa accademia si forgiano menti creative, si analizzano criticamente casi e si sviluppano nuove soluzioni.» Sneijder allargò le braccia. «Dopo alcuni mesi qui di fronte a me ne resteranno seduti solo due o tre, credetemi. Perché? Perché in futuro da voi dipenderanno delle vite umane. E io ho metodi del tutto particolari per scegliere solo candidati davvero adatti a questo lavoro.»

Sabine non ne dubitava affatto. Conosceva già i metodi di Sneijder: da un lato era un genio, dall’altro uno stronzo che disprezzava l’intero genere umano. Unire in sé due qualità positive, come genialità e umanità, era impossibile persino per un luminare come Sneijder. La maggior parte degli studenti non aveva ancora idea di come trattasse la gente. Lei purtroppo sì.

Sneijder si guardò intorno. «Domande?» Nessuno aprì bocca. «Bene allora...»

In quel momento Tina alzò la mano. «Posso chiedere una cosa?»

«L’ha già fatto.»

Tina lo fissò impassibile.

«Sputi il rospo, collega Martinelli, ma si sbrighi!»

«Perché insegna all’accademia, se in fondo ci ritiene tutti idioti?»

I colleghi in prima fila annuirono in segno di approvazione.

«Uno pensa di aver conosciuto già abbastanza saputelli», mormorò Sneijder, «eppure c’è sempre qualche ragazzino saccente che trova il modo di entrare nell’accademia.»

Che complimento! Sabine notò le facce indignate dei colleghi. Benvenuti nel mondo di Sneijder!

«Una domanda legittima, che spesso mi pongo anch’io, signora Martinelli», rispose infine Sneijder. «Se una persona, una volta raggiunta una certa età, non si mette a insegnare, dopo la morte non lascerà alcuna memoria. Le è sufficiente come risposta? Ora gliela giro io una domanda: perché lei è qui?»

«Così tra un paio d’anni potrò vantarmi di aver frequentato il suo corso.»

Quella replica suscitò ilarità e Sabine dovette ridere sotto i baffi.

Sneijder piegò la testa. «Bella risposta.» Per un istante Sabine credette di scorgere un sorriso sulle sue labbra, ma subito lui chinò lo sguardo sull’orologio che aveva al polso, uno Swatch con i colori della bandiera olandese. «Be’, pronti! Dedicate il resto dell’ora a documentarvi sugli omicidi Centipede. Portatevi dietro la dichiarazione di riservatezza compilata. Ci rivediamo alle tre in punto. Chi arriva in ritardo o non ha con sé la dichiarazione firmata, verrà buttato fuori.» Si voltò e lasciò l’aula.

Per un po’ calò il silenzio, interrotto solo dai respiri dei presenti. Sabine si appoggiò allo schienale e attese. Mentre gli studenti raccoglievano i loro fogli, piano piano iniziarono a venir fuori i primi commenti: «Peggio del previsto», oppure «Che stronzo arrogante». Sabine, invece, sapeva che era stata soltanto un’innocua presentazione. Sneijder era capace di ben altro, ma quelle reazioni erano più che comprensibili. Da un lato Sneijder era tutto tranne che un bravo anfitrione, dall’altro quelli seduti in aula non erano pantofolai brufolosi alle prime armi, bensì colleghi con una discreta esperienza lavorativa alle spalle. Tina era, sì, molto giovane, ma non aveva certo l’aria di una appena uscita dal nido. E poco prima Sneijder aveva detto che la metà di loro non era altro che spazzatura, che solo lui poteva passare al setaccio.

«Non è poi così male», disse all’improvviso Tina.

«Aspetta e vedrai.» Sabine raccolse la sua cartellina e lasciò per prima l’aula.

Vicino all’ascensore vide Sneijder in compagnia di un uomo alto dai capelli grigi.

«Tra l’altro, la nostra idea di distribuire cellulari prima del previsto finora non ha dato frutti», disse l’uomo dai capelli grigi.

Sabine si avvicinò.

«Per questo ho proposto a Hess di installare telecamere al campus, nel garage sotterraneo e nel percorso a ostacoli nel bosco.»

Le porte dell’ascensore si aprirono, Sneijder entrò nella cabina e sparì.

Sabine voleva scomparire nella tromba delle scale, superando l’uomo dai capelli grigi, ma quello si girò. Per un istante, Sabine rimase interdetta. L’uomo aveva il viso non rasato, la pelle segnata dal sole, rughe profonde e un occhio vigile e acuto; sopra l’altro portava una benda nera, che gli dava un aspetto truce. Approfittò dell’attimo di perplessità della nuova arrivata per guardarle il badge.

«Dunque è lei Sabine Nemez...» disse, dandole la mano. Aveva la pelle screpolata, la stretta vigorosa.

«Buongiorno.» Sabine cercò il suo badge, ma non lo trovò.

«Ho sentito parlare molto di lei. Belle cose, l’anno scorso. Maarten ha accennato qualcosa... e non gli capita spesso. Deve averlo impressionato molto, sa? Eppure lei è più bassa di quanto pensassi.»

Quanto ne sapeva quell’uomo della loro impresa? E poi non era così bassa: un metro e sessantatré.

«Spero non deluda le aspettative.» Le diede una pacca sulla spalla, poi proseguì lungo il corridoio.

Sabine lo seguì con lo sguardo. Aveva un’andatura burbera e un po’ claudicante. Forse una ferita, o magari una gamba rigida.

Tina la raggiunse. «Bene, stringiamo le prime amicizie?»

Sabine scosse il capo. «Non ho idea di chi fosse.»

«Non lo conosci?» Tina rise sotto i baffi. «Ma cosa vi insegnano al KDD? Anche lui è un profiler, l’istruttore dell’altro gruppo. È stato lui a introdurre in Germania l’analisi dei casi e il profiling criminale. È l’ex insegnante e mentore di Sneijder. Konrad Wessely.»