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Sneijder aveva trascorso l’ultima mezz’ora del volo al telefono con Hauser, con la procuratrice Dietz e con l’Austro Control, per ottenere il permesso di atterraggio. In quel momento, all’una di notte, l’elicottero si stava posando sulla pista del General Aviation Center, tre chilometri a ovest dell’edificio principale dell’aeroporto di Vienna. Il pilota si fermò davanti all’hangar destinato ai velivoli privati e sbrigò le scartoffie allo sportello degli arrivi e intanto Sneijder raggiunse a passo deciso il terminal.
La notte era mite e i segnali luminosi rossi indicavano il tragitto. L’edificio era illuminato da una fredda luce al neon, sopra la quale campeggiava il cielo notturno rischiarato dalle stelle. Davanti all’ingresso erano parcheggiati un pullman e due limousine; gli autisti fumavano vicini a un posacenere. A parte loro, era un mortorio.
Sneijder entrò nel terminal e vide una sola persona: un uomo in piedi vicino ai distributori automatici, che ammazzava il tempo giocherellando con un bicchiere di caffè. Fino ad allora era filato tutto liscio, ma se quello era Hauser il risultato del loro incontro sarebbe stato peggiore del previsto. Quell’uomo sembrava esperto e con il pelo sullo stomaco, ma anche molto snervato.
Sneijder gli si avvicinò. «Presumo sia Hauser», disse mostrandogli il tesserino. «Mi chiamo Maarten S. Sneijder e sono un analista e psicologo forense. Il tempo stringe. Dove sono i suoi uomini?»
«I miei uomini?» ripeté Hauser. «Stiamo scherzando? Se si aspettava un comitato d’accoglienza sarebbe dovuto atterrare sulla pista del ministero degli Interni.»
«Non le hanno spiegato che abbiamo poco tempo?»
Hauser rimase compassato. «Mettiamo in chiaro una cosa: sono qui per espresso desiderio della procuratrice Dietz, perché lei aveva bisogno di un passaggio. Non sono neppure in servizio. Non abbiamo ancora a che fare con un omicidio e...»
«Ha detto bene! Non ancora! Ma la situazione potrebbe cambiare in fretta.»
Hauser osservò lo smoking di Sneijder e notò la fondina ascellare. «A vederla, lo credo bene. Perché ha con sé una pistola? Vuole sparare a Lazlo?»
Sneijder si abbottonò la giacca. «Preferisco tornare indietro vivo in business class che nella stiva di un aeroplano. E ora mi porti a casa di Lazlo.»
La villa di Lazlo era all’ombra degli alberi. Dietro rischiarava la luna. Hauser e Sneijder si trovavano davanti all’ingresso principale e il profiler premette più del necessario il campanello. Hauser guardò l’orologio quasi in segno di protesta. Erano le due meno venti di notte e in casa non si mosse una mosca.
Sneijder suonò di nuovo il campanello. Non si accese alcuna luce. Osservò l’annaffiatoio pieno di schiuma poliuretanica. Poi vagò con lo sguardo lungo il muro della casa, fino al punto in cui era stata rimossa la scatola dell’allarme, e diede un calcetto all’annaffiatoio. «Dentro c’è l’allarme?»
«Sì, lo abbiamo staccato durante la perquisizione.»
«Davvero professionale!»
«È una serratura di sicurezza: non basta un grimaldello per aprirla», disse Hauser.
«Allora dobbiamo farla saltare in aria.»
«Dobbiamo? Non so come operiate in Germania, ma noi qui richiediamo un mandato di perquisizione del giudice.»
In situazioni simili Sneijder non aveva la minima comprensione per le questioni burocratiche. «Ma in caso di pericolo imminente, anche un procuratore, come la signora Dietz, può ordinare una perquisizione. E ora ci troviamo in una di quelle rare occasioni.» Estrasse la pistola.
«È uno scherzo, vero?»
«Ora vedrà se sto scherzando.» Sneijder mirò alla serratura.
Hauser lo prese per un braccio. «Metta via quella pistola!»
Sneijder si massaggiò le radici del naso. «Prima di atterrare, nutrivo il vago sospetto che il novanta per cento dei poliziotti viennesi fossero passacarte pigri e attaccati alle regole. Da quando la conosco, ne ho la certezza.»
«Risparmi le sue critiche per qualcun altro.» Hauser s’infilò una mano in tasca e tirò fuori una chiave. «Apro io.»
Sneijder strabuzzò gli occhi. «Durante la perquisizione ha preso una copia delle chiavi? Chapeau!»
«Non si sa mai cosa può capitare», ammise Hauser.
«E perché non me l’ha detto subito?»
«Speravo di convincerla a non entrare illegalmente.»
«Deve imparare una cosa: io non mi lascio mai convincere!»
Hauser condusse Sneijder al Picasso alla parete e gli mostrò la porta segreta, aperta con la fiamma ossidrica, che dava accesso alla cantina. A Sneijder, per il momento, le altre zone non interessavano. Mentre Hauser perquisiva la villa in cerca di Lazlo, Sneijder scese le scale e si rese conto che la cantina non si trovava proprio sotto la casa, bensì di lato.
Si piazzò al centro della stanza e osservò le pareti spoglie alla luce abbagliante del neon. Il pavimento di mattonelle nere creava un contrasto talmente forte da far sembrare la stanza una sorta di scacchiera deforme.
Hauser lo raggiunse. «Lazlo non è in casa.»
«Se è stato rilasciato su cauzione, mi domando perché non sia tornato direttamente a casa. Dove potrebbe essersi cacciato?»
Non sapendo cosa rispondere, Hauser alzò le spalle.
«E durante la perquisizione non avete trovato indizi nel pc?»
«Niente», confermò Hauser. «Due fissi, due portatili, un iPad e tre smartphone, e tutti contenevano esclusivamente documenti dell’ordine degli avvocati.»
Le cornici erano state rimosse. Al loro posto si trovavano solo rettangoli di un colore leggermente diverso dal resto della parete. Non dovevano essere state appese lì a lungo. Forse due anni. In quel lasso di tempo la luce al neon aveva sbiadito il colore alla parete. Secondo il rapporto le cornici cromate con i brandelli di pelle tatuata si trovavano già nel laboratorio della Scientifica.
«La domanda a cui non sappiamo ancora rispondere è la seguente: come ha fatto Lazlo a entrare in contatto con Clara?» disse Hauser.
Sneijder chiuse gli occhi e ripensò a quelle immagini terribili. Con la mente ricollocò i brandelli incorniciati ai punti spogli della parete in modo da avere una visione d’insieme.
All’improvviso di sopra una chiave tintinnò nella serratura. La porta d’ingresso si aprì, per richiudersi subito dopo. Poi qualcuno scese le scale e posò una borsa portadocumenti su una sedia. A braccia conserte il dottor Michael Lazlo si fermò vicino a Sneijder. Indossava un abito griffato e profumava di dopobarba costoso. Osservarono insieme le immagini alla parete.
«Fantastico, vero?»
«Certo, ma non era triste quando ha dovuto spellare i corpi?»
«Ovvio, ma a quel punto stavo già lavorando al dipinto successivo.»
«E ogni volta era una festa, giusto?»
«Ovvio. Cose del genere non capitano tutti i giorni.»
«In totale otto volte.»
«Sette! C’è ancora un’opera d’arte che non ho completato.»
«La vuole ancora?»
«Ma mi sta ascoltando?»
Sneijder aprì gli occhi. «Non so come vadano le cose alla polizia di Vienna, ma noi del BKA siamo in grado di ascoltare anche se guardiamo in un’altra direzione.»
«Cosa ne pensa?»
Sneijder si guardò intorno. «Penso che da qualche parte in questa casa deve esserci un pc con cui Lazlo ha risposto alle email false di Clara, perché in fondo l’indirizzo IP porta a questa villa.»
«Giusto. Peccato però che non l’abbiamo trovato.»
«Questo non significa che non esista. Inoltre Lazlo deve aver portato da qualche parte i cadaveri delle altre quattro ragazzine.»
«Appena avremo più uomini a disposizione perlustreremo il bosco dietro casa con i cani molecolari.»
L’intuito di Sneijder gli diceva che forse si sarebbero potuti risparmiare quel lavoro, rovistando invece nella villa di Lazlo. Tirò fuori la pistola e iniziò ad auscultare la parete dando colpetti con la canna.
«Se sta cercando un’altra stanza, se lo scordi pure. Abbiamo già tentato senza risultato.»
«Uno come Lazlo è senza dubbio posseduto dall’idea di un limbo», spiegò Sneijder, mentre picchiettava la parete in modo sistematico. «Questa stanza, con tutti i meravigliosi pezzi da esposizione ai quali ha lavorato anni, per lui simboleggia il Limbo. Probabilmente dietro si trova il vero Inferno.»
Sneijder guardò il soffitto: nessun rilevatore di fumo. Si accese una sigaretta e continuò.
«Santo Dio! Ma che merda fuma?» imprecò Hauser.
«Potrebbe chiudere il becco per un attimo?» farfugliò Sneijder con la sigaretta all’angolo della bocca.
Quella stanza era il Limbo di Dante. Non aveva dubbi. Dietro doveva trovarsi l’Inferno.
Oppure sotto!
Sneijder si inginocchiò e si mosse pian piano sul pavimento dando piccoli colpetti alle mattonelle.
«Non crederà sul serio che sotto ci sia un’altra cantina?»
D’un tratto, il centro del pavimento suonò a vuoto. Sneijder picchiettò di nuovo la piastrella.
Don ... don ... din!
«Guardi!» gridò, indicando due punti. «Sembra che qui e qui siano state applicate delle ventose. Non vedo fughe, ma ci serve uno scalpello.»
Anche Hauser si inginocchiò e tastò le piastrelle nere. «In garage abbiamo trovato una grossa ventosa. Potremmo usare quella.»
Non appena Hauser tornò dal garage, attaccarono la ventosa alle piastrelle e insieme sollevarono una lastra dal pavimento.
«Roba da matti!» Hauser fissava la cavità larga un metro per un metro.
I margini erano allineati al millimetro, in modo che l’apertura si lasciasse chiudere senza fughe. Una scala a pioli verticali conduceva in un pozzo. La luce al soffitto penetrava in profondità per circa due metri, fino a riflettersi su un pavimento rosso sangue.
Sneijder scese la scala, stringendo i denti a ogni piolo per il dolore pungente alle costole. Quando arrivò in fondo, il rilevatore di movimento accese in automatico una lampada. Una luce rossa ancora più tetra illuminava le pareti. Pareva di essere in un sottomarino in fiamme.
Benvenuti all’Inferno!
L’aria era viziata. Con il suo lavoro di avvocato, Lazlo guadagnava di sicuro abbastanza da permettersi un antro segreto sotto il giardino di casa. Il bunker era grande circa otto metri quadri ma conteneva solo alcuni armadi con cassetti che ricordavano quelli di un ospedale, una scrivania in acciaio inox e una sedia girevole cromata.
Sulla scrivania un servizio da tè. Sneijder annusò. Tè verde, già freddo. Sulla tazza vide un alone secco. L’infuso si trovava lì da almeno ventiquattro ore. Molto più interessanti, tuttavia erano il portatile e l’enorme schermo piatto.
Mentre Hauser scendeva, Sneijder accese il computer.
«Almeno qui potrebbe spegnere la sigaretta? Altrimenti darà alla testa anche a me», lo pregò Hauser.
Come se avesse sentito le parole del poliziotto, il climatizzatore al soffitto si attivò aspirando subito il fumo denso dello spinello di Sneijder e riscaldando l’ambiente. Sneijder buttò la cicca nella tazza da tè, dove si spense con un sibilo.
«Non doveva analizzarlo la Scientifica?»
«Cosa pensa sia più interessante? La tazza o il pc?»
Intanto il computer si era avviato e sul monitor comparve uno sfondo rosso fuoco con una ventina di icone.
«Neppure una password», constatò Sneijder sorpreso. «Lazlo non aveva messo in conto che qualcuno scoprisse il suo bunker. Probabilmente qui troveremo tutti gli indizi necessari.»
Sneijder aprì il browser e nelle cronologie trovò tonnellate di video e foto.
Nel frattempo Hauser aprì gli armadi. «Ci siamo», constatò sollevato, come se fosse giunto alla fine di un lungo viaggio.
Sneijder guardò un attimo verso di lui. Sui ripiani si trovavano un macchinario per tatuaggi, diverse cartucce di colore, garze, antibiotici e liquidi per disinfettare. In un altro cassetto c’era una serie di bisturi: il più grosso al centro mancava... Brutto segno!
«Ben attrezzato, il nostro dottor Lazlo», commentò Sneijder.
«Meglio non toccare più niente e chiamare la Scientifica», consigliò Hauser.
«Non ancora. In qualche modo Lazlo è riuscito ad allacciarsi persino da qua sotto a una rete wi-fi. Voglio dare un’occhiata alla casella email.»
Sneijder trovò il programma mentre Hauser incuriosito gli sbirciava da sopra la spalla. Cliccò con il mouse tutti gli indirizzari ma non trovò niente. Per ultimo aprì anche il cestino. Niente anche lì.
«Vervloekt! Anche se ha scritto a Clara, lo scambio di email è stato cancellato.»
Fissavano il monitor perplessi. In quell’istante nella posta in arrivo spuntò un nuovo messaggio. La riga dell’oggetto sfavillò in neretto.
Ti prenderanno.
Il messaggio proveniva da Clara ed era stato spedito pochi secondi prima, all’una e cinquantanove.
«Merda!» imprecò Hauser. «Il pc della madre di Clara è stato smontato qualche giorno fa nel Laboratori di tecnica criminale», disse con voce strozzata.
«Allora questo messaggio è stato inviato da un altro computer tramite Webmail.»
«Lo apra!» disse Hauser.
«È quel che sto facendo.»
L’email era costituita solo da poche righe.
Cara Michelle,
eccomi di nuovo... da quando so chi sei davvero, non trovo pace... un anno è lungo e io ho memorizzato talmente tante cose che posso riconoscerti da molti dettagli,
Non provare neppure a farmi cambiare idea: sto per raccontare tutto e voglio solo vederti bruciare all’Inferno... non solo per me, ma anche per tutte le altre,
tua clara
«Da dove proviene in realtà questo messaggio?» rifletteva Hauser ad alta voce.
«Probabilmente dal mio collega Konrad Wessely a Wiesbaden. Un’ultima mossa da manipolatore.»
L’espressione di Hauser si irrigidì: «Vuole sfruttare Lazlo per togliere di mezzo l’ultima traccia... Clara. Se prima ha inviato già un messaggio, sappiamo dove è diretto l’avvocato.»
«Mandi subito una volante da Clara», ordinò Sneijder. «Ma senza sirena e lampeggiante; se davvero si fa vivo, è meglio non spaventarlo.»
«Andrà tutto liscio.» Hauser prese dalla tasca il cellulare. «Nessun comitato d’accoglienza», disse salendo la scala a pioli.
Un attimo dopo, Sneijder era solo e si abbandonò sulla sedia girevole. Che notte pazzesca. Il suo sguardo penetrò la tetra luce rossa. Finché esistevano mostri come Lazlo, che mutilavano e uccidevano ragazzine per dare libero sfogo alle proprie fantasie malate, doveva continuare a formare all’accademia i migliori elementi possibili, all’altezza di fronteggiare quella feccia. Sabine era la sua maggiore speranza.
Ma in quel momento non era ancora riuscita ad arrestare Wessely perché, a quanto pareva, pochi minuti prima lui aveva avuto ancora la possibilità di inviare quella email. Come aveva fatto Wessely a procurarsi tutte le informazioni necessarie per influenzare in quel modo Lazlo?
Quando per un istante il climatizzatore si zittì, sentì un rumore, come se qualcuno stesse grattando. D’istinto guardò il monitor, ma vide soltanto librarsi sullo schermo la smorfia di un diavolo come screen saver. Quel rumore non proveniva dal pc.
Sneijder si alzò e tese le orecchie ma il climatizzatore ripartì e non si sentiva altro che un ronzare ovattato. Poco prima invece gli era sembrato di sentire un gatto raspare una porta con gli artigli. E il rumore proveniva da un angolo. Vicino all’armadio Sneijder scoprì la cavità di una serratura nella parete. Una porta nascosta!
Di norma l’avrebbe sfondata con una spallata, ma in quel momento non era nelle condizioni per farlo. Frugò nei cassetti della scrivania e trovò la chiave giusta.
Sneijder aprì la porta e la spalancò verso l’interno. La stanza dietro era vuota. Solo un piccolo bagno con piastrelle rosse, toilette, cabina doccia e una brandina da ospedale richiudibile. Nessuno specchio. Sul poggiatesta si trovava una maschera rosso fuoco di lattice. Probabilmente Clara era stata chiusa là dentro per un anno... poi in un modo o nell’altro era riuscita a fuggire.
In fondo si trovava un’altra porta in ferro massiccio. In quel caso la chiave non andava bene. Sneijder posò l’orecchio contro il metallo e sentì chiaramente grattare.
Estrasse la pistola. «Via dalla porta!» urlò.
Attese qualche secondo finché il rumore non cessò, poi sparò tre colpi alla serratura. I bossoli volarono sulle piastrelle e il rumore gli rimbombò nelle orecchie. Mentre tossiva si fece largo con le mani tra il fumo denso. Poi assestò diversi calci alla porta, avvertendo ogni volta un dolore alle costole. Al quarto tentativo la porta cedette verso l’interno.
«Sneijder!» gridò dall’alto Hauser, in preda al panico.
«È tutto a posto», rispose lui rantolando.
La luce rossa del bagno penetrò nella stanza attigua illuminandola in parte. La parete posteriore non era visibile, ma nell’ombra si mosse qualcosa.
Sneijder entrò e fu travolto dal puzzo di escrementi. Con una scarpa sbatté contro una scatola di roba da mangiare che scricchiolò. Una volta inginocchiatosi e abituatosi al buio, vide una figura mezza nuda rannicchiata su un angolo di un materasso.
Alle spalle sentì Hauser scendere la scala a pioli e precipitarsi in bagno.
«Torni subito di sopra», mormorò. «Chiami un’ambulanza... e una psicologa. Mi raccomando: una donna! Poi porti subito una coperta e qualcosa da bere.»
«Cosa...?»
«Forza! Si sbrighi!»
Hauser obbedì e Sneijder avanzò di un altro passo nella stanza, inginocchiandosi di nuovo.
«Io sono Martin S. Sneijder», disse con voce delicata, mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca per illuminarsi il viso con la luce del display. «Non ti succederà più niente di male. Ora sei al sicuro», disse con un tono ancora più empatico. «Siamo qui per aiutarti; presto arriverà un medico e ti porteremo via da qui.»
«Zostaw mnie!», strillò la ragazzina. Dall’accento sembrava polacca.
«Nie skrzywdze cie», rispose Sneijder, attingendo a quel poco di polacco che conosceva. No, non le avrebbe fatto del male... anzi. Nello stesso momento sentì avvicinarsi un fruscio. C’era qualcun altro.
Una seconda ragazzina, in condizioni pietose, con lunghi capelli arruffati... e c’era da scommettere che entrambe avessero sulla schiena una terribile sfilza di tatuaggi.