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In confronto all’aeroporto di Francoforte, che assomigliava a una piovra gigantesca i cui tentacoli si allungavano tra passerelle, nastri trasportatori, piste di decollo e atterraggio, quello di Vienna-Schwechat sembrava quasi un luogo piacevole. Anche se il percorso dal gate al ritiro bagagli raggiungeva quasi i due chilometri. In totale erano attivi cinque nastri, sui quali scorrevano con un gran fracasso le valigie provenienti dagli aeroporti di Roma, Parigi, Dubai, Francoforte e Gran Canaria.

Finalmente Sabine individuò il suo trolley e lo trascinò verso l’uscita. Tranne che per l’arma di ordinanza e i caricatori, che si trovavano in una cassetta di sicurezza all’aeroporto di Francoforte, aveva con sé tutto.

Quando la porta automatica si aprì sulla sala degli arrivi, si trovò di fronte una folla di gente che premeva contro le transenne. Decine di persone salutavano con la mano o sventolavano cartelli, i bambini lanciavano urletti e i cani saltavano per la gioia.

Finalmente individuò un signore che reggeva un cartello con il suo nome. Era sulla cinquantina, in abito grigio e cravatta, e non sembrava affatto uno chauffeur. Sotto la giacca Sabine notò una leggera curvatura, dove con tutta probabilità si nascondeva un’arma di servizio. Con sguardo indagatore l’uomo osservava le persone che gli scorrevano davanti a fiumi. Sabine gli si avvicinò e si presentò.

«Buongiorno.» Le diede la mano, poi piegò il cartello e lo fece sparire nella tasca della giacca. «Hauser, polizia federale di Vienna. La mia auto è davanti all’ingresso.»

Impiegarono appena cinque minuti per raggiungerla. Il tempo a Vienna era un po’ meglio rispetto a Wiesbaden e Francoforte. I raggi del sole penetravano la coltre di nuvole e Hauser frugò nel portaoggetti in cerca degli occhiali da sole. Si diresse verso l’autostrada est, ma non imboccò il raccordo autostradale per Vienna, procedendo invece nella direzione opposta.

Le lanciò un’occhiata da sopra il bordo degli occhiali. «La porto direttamente dalla procuratrice Dietz. Abita sul lago di Neusiedl, fra venticinque minuti saremo là.»

Entrò nella corsia di sorpasso e accelerò. «Ha preso il giorno libero apposta.»

«Resterà anche lei?» domandò Sabine.

«Un’ora sì, almeno... Dipende dall’utilità delle sue informazioni. In ogni caso, Dietz ha allestito una task force a casa sua per noi.»

«Vuole che iniziamo a parlare del caso?» Sabine si coprì la bocca con la mano e sbadigliò. «Mi scusi...»

«No, conservi le forze per dopo. Sarà una giornata dura. Sembra stanca. Vuole dormire?»

«Sì, grazie. Non ho chiuso occhio.»

«Nessun problema.» Hauser spense la radio.

Sabine arrotolò la giacca per formare un cuscino e appoggiò la testa al finestrino. Un attimo dopo le si chiusero gli occhi.

 

Sabine si svegliò quando Hauser spense il motore dopo aver parcheggiato vicino a un fuoristrada. La casa della procuratrice Dietz si trovava proprio sulla sponda del lago, con una spiaggia privata e un molo sul quale era posata un’attrezzatura da sub. Lì accanto, cullato dalle onde, galleggiava un acquascooter. L’area a est di Vienna era pianeggiante e il sole faceva risplendere le onde. A poche centinaia di metri si vedeva un porticciolo per yacht e barche a vela.

Mentre Sabine e Hauser si incamminavano verso la casa, un golden retriever color senape si precipitò attraverso lo sportello per cani e corse loro incontro. Salutò per primo l’investigatore, che indietreggiò sussultando, poi annusò Sabine.

«Paura dei cani?» domandò lei.

«Una volta sono stato morso.»

«Era in servizio?»

«Avevo cinque anni.»

Venne loro incontro una donna alta dai lunghi capelli castani. Aveva all’incirca quarant’anni e indossava scarpe da ginnastica e una tuta blu scura con cappuccio.

«Melanie Dietz», si presentò porgendo la mano a Sabine, che smise di accarezzare il cane. Subito Sheila le si premette contro una gamba e le diede un colpetto col muso.

«Sì, bella, ho capito», disse Sabine e le grattò dolcemente il pelo. «È giovane, no?»

«Tre anni», spiegò la procuratrice. «Si chiama Sheila.»

«Come il cibo per gatti?»

«Esatto.»

«È un cane da pet therapy per i minori che hanno subito abusi», aggiunse Hauser.

La procuratrice lo guardò esterrefatta, e Sabine restò un po’ spiazzata.

«Entriamo in casa», propose Dietz e li precedette.

«In quel capannone ci tiene una barca a vela?» domandò Sabine.

Melanie scosse il capo. «È l’officina di mio marito. Arriverà più tardi.»

«Un cronista giudiziario con un’officina?» chiese Sabine.

Melanie rise. «Gerhard è poliedrico. Recupera rottami dal lago e li salda producendo opere d’arte» spiegò virgolettandolo con le dita le ultime parole. «Al momento sta lavorando a una struttura terrificante, che assomiglia a una Vergine di Norimberga. Per fortuna sono in contatto con alcuni galleristi, spero di trovare in fretta qualcuno che finalmente se la porti via.»

 

Melanie Dietz era una donna schietta e Sabine la trovò subito simpatica. Mentre Sheila si acciambellava vicino al camino, Sabine sistemò i faldoni degli omicidi in ordine cronologico su un lungo e grosso tavolo da salotto su cui erano già pronti per loro una caffettiera e una brocca di succo di arancia.

Hauser si immerse subito nelle carte, ma Melanie Dietz all’inizio le ignorò. Si sedette a gambe incrociate sul divano, si posò un cuscino in grembo e osservò Sabine. «Il processo contro Thomas Wander sembra essere la chiave della nostra serie di omicidi, iniziata quattro anni fa, giusto?»

Sabine annuì.

«Mentre lei era in aereo, ho dato un’occhiata agli atti giudiziari presenti online.»

«Lei cosa ne pensa?» domandò Sabine. «È stato Wander a uccidere il ragazzo?»

Melanie storse la bocca. «Le prove contro Wander erano schiaccianti. In verità tutti i giudici popolari avrebbero dovuto dichiararlo colpevole, ma d’altra parte...» Scosse la testa. «Wonnegut era uno dei difensori migliori, contro di lui era difficile vincere.»

«Dev’essere stato un vero spettacolo.»

Melanie annuì. «All’inizio della mia carriera una volta mi ha smontata in aula. Ho imparato molto da lui. Nel nostro ramo, Wonnegut è famoso per aver vinto anche i casi più disperati. Ma cinque anni fa si è tolto la vita: una mattina, all’alba, si è buttato sotto un treno merci da un ponte nel quartiere di Meidling.»

«Terribile... Mi dispiace. Quindi lui non può avere niente a che fare con l’attuale serie di omicidi», dedusse Sabine.

«E neppure l’allora pubblico ministero», aggiunse Melanie. «È morto sette anni fa di cancro.»

Sabine lanciò un’occhiata a Hauser, che stava studiando l’elenco dei giudici popolari, ma prestava anche ascolto al loro colloquio.

«Da noi ormai è molto tempo che non ci sono più processi con giudici popolari», disse Sabine. «In che modo vengono selezionate le giurie in Austria?»

«È piuttosto semplice.» Melanie si spostò i lunghi capelli dietro l’orecchio. «I giudici popolari sono persone normalissime, che costituiscono uno spaccato rappresentativo della popolazione e non hanno alcuna esperienza legale. Seguono il processo e decidono sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato. Non serve l’unanimità, basta una semplice maggioranza.» Scrutò Sabine in modo insistente, quasi volesse intuire le sue motivazioni. «Perché si interessa a questi casi di omicidio?»

«Voglio scoprire la verità.»

«Ah, certo», disse Melanie agitando un braccio. «Ma ci sono tantissimi di casi di omicidio irrisolti.» Si avvicinò. «Perché proprio questi casi?»

Sabine raccontò di Erik Dorfer, di Maarten Sneijder, della loro operazione a Norimberga e infine dell’espulsione dall’accademia e della sparizione di Sneijder.

Melanie annuì a più riprese. «Capisco. Non poteva fare altro se non tentare di chiarire l’intera vicenda. Bene, farò del mio meglio per aiutarla.» Si alzò dal divano e prese i documenti, che Hauser aveva già letto. «Cosa ne pensa?»

Hauser si tolse la giacca e si arrotolò le maniche della camicia. «Il caso nel frattempo ha raggiunto una complessità che da soli non riusciamo più ad affrontare. Dovremmo collaborare ufficialmente con il BKA di Wiesbaden.»

«Se potessimo agire in fretta e senza burocrazia, sarei d’accordo con lei», disse Melanie. «Ma purtroppo non abbiamo tempo di aspettare le decisioni delle autorità. Un investigatore è stato ferito, un secondo è sparito, alcuni assassini sono ancora a piede libero e non sappiamo neppure il movente del regista occulto che si nasconde dietro tutto questo.»

Nelle due ore successive si immersero nei documenti. Melanie scriveva sul portatile, mentre Hauser continuava a verificare informazioni con il suo notebook sul database internazionale. A un certo punto Sabine sentì arrivare un’auto e un attimo dopo in casa si sentì odore di lasagne.

Proprio quando il suo stomaco cominciava a brontolare in maniera insopportabile, in soggiorno entrò un uomo con gli occhiali e lo sguardo intelligente. «Si mangia!»

Aveva al massimo una cinquantina d’anni, ma già le tempie brizzolate. Sabine riconobbe la sua voce dalla telefonata. Gerhard Dietz si fece largo tra faldoni e diede la mano a Sabine. «Immagino che lei sia l’investigatrice tedesca.»

«E lei il giornalista», constatò Sabine.

«Esatto. Come procede qui?»

«Più complicato del previsto», rispose Melanie.

 

Nel tardo pomeriggio, mentre gli altri mangiavano lasagne, Hauser passeggiava lungo la sponda del lago impegnato in una telefonata al cellulare. Quando ebbero finito, Gerhard Dietz uscì di casa con Sheila, Melanie e Sabine riempirono la lavastoviglie e Hauser le raggiunse in cucina.

Melanie lanciò lo straccio nel lavello. «Davvero non ha fame?»

«No, grazie.» Hauser si sedette e posò il cellulare sul tavolo. «Ho appena avuto un interessante colloquio con la psicologa della polizia. Oggi, durante la terapia, per la prima volta Clara ha parlato di un’altra ragazzina.»

Melanie si alzò all’improvviso. «E?»

«Purtroppo non sappiamo altro. La psicologa è convinta che sia meglio procedere con cautela», disse Hauser sospirando. «Al momento abbiamo solo due piste da seguire. La prima è quella di Thomas Wander: dove si è cacciato e cosa c’entra con la serie di omicidi. La seconda è Lazlo: chi lo ha manipolato.»

Melanie si sedette vicino al lui. «Concordo. Cosa ha scoperto su Wander?»

«Dopo l’assoluzione di dieci anni fa è andato in Germania e si è stabilito a Francoforte, dove ha aperto un vivaio. Là ha ucciso altri tre bambini, seppellendo i corpi nella serra.»

A Sabine si contorse lo stomaco. Dunque Wander era colpevole.

«Dopo aver ucciso a Vienna il piccolo Benjamin», proseguì Hauser, «probabilmente ci ha preso gusto.»

«Dobbiamo scoprire dove si trovi adesso», mormorò Sabine. «Lui conosce le risposte.»

«È stato arrestato cinque anni fa.»

«Cinque anni fa?» ripeté Sabine. «Non ha detto che cinque anni fa Wonnegut, il suo difensore, si è tolto la vita?»

Hauser annuì. «Probabilmente Wonnegut è venuto a conoscenza degli altri omicidi commessi dal suo ex cliente e si è suicidato per quello. E da cinque anni Thomas Wander si trova dietro le sbarre nel blocco di massima sicurezza del penitenziario di Weiterstadt.»

«La stessa prigione in cui si trova Belok.»

«Esatto», confermò Hauser, che nel frattempo si era documentato su tutti gli altri casi. «Da lì di sicuro non può uscire. Ed è improbabile che ci sia lui dietro questa serie di omicidi. Arriviamo così alla domanda successiva: qual è il collegamento fra Wander, i giudici popolari e le persone uccise?»

Mentre Melanie armeggiava con la macchinetta per preparare altro caffè e una tazza di cioccolata, Hauser recuperò dall’archivio della polizia di Vienna il fascicolo online su Wander. Poi si spostarono in soggiorno e studiarono i casi dei minori uccisi dal giardiniere in Germania. Davanti a loro si trovavano le testimonianze e le relazioni della Scientifica e del medico legale, tuttavia i nomi delle vittime erano stati anneriti per motivi di sicurezza. Le uniche informazioni che trovarono furono che due vittime provenivano da una famiglia normale; la terza era stata cresciuta da una madre single. Per ulteriori dettagli dovevano contattare le autorità tedesche.

Dopo mezz’ora Sabine si prese la testa fra le mani. Le bruciavano gli occhi. Non aveva alcun senso; di nuovo un vicolo cieco. «Dobbiamo seguire la seconda pista. Raccontatemi qualcosa di più su Lazlo. Chi è?»

«È un avvocato di spicco, quasi un vip ormai.» Melanie si appoggiò allo schienale. «È di casa negli ambienti più esclusivi di Vienna e spesso lo si vede in televisione come opinionista.»

«In questo momento dove si trova?»

«Dopo la perquisizione di ieri, durante la quale nella sua cantina abbiamo rinvenuto diversi brandelli di pelle coperti di tatuaggi, che rimandano ad altri sequestri e omicidi di ragazzine, si trova in stato di fermo temporaneo. Stasera sarà portato davanti al gip, che deciderà sulla custodia cautelare.»

«Quali elementi abbiamo che ci indichino che qualcuno lo ha manipolato inducendolo a rapire Clara?»

Fu Hauser a prendere la parola. «Probabilmente lui non sa neppure di essere stato manipolato. Qualcuno, che si nasconde dietro a un preciso indirizzo IP, è entrato con un trojan nel pc di Clara e ha adescato Lazlo con email fasulle e foto di Clara nuda.»

Sabine si pizzicò il labbro inferiore pensierosa. «Un trojan?» ripeté. «Il BKA tedesco ha sviluppato alcuni programmi del genere. E come faceva chi lo ha manipolato a conoscere le preferenze di Lazlo?»

«Non lo sappiamo.»

«Okay, abbiamo quell’indirizzo IP, giusto? Formidabile», commentò Sabine, constatando però dall’espressione del volto di Hauser che non lo era affatto.

«Quell’indirizzo IP proviene dalla Germania e perciò abbiamo le mani legate», spiegò Melanie.

Anche Sabine era abbattuta. In quel momento capì il motivo per cui Melanie Dietz si era mostrata così disponibile ad aiutarla e aveva smosso mari e monti perché andasse in Austria. Ma il suo contributo era purtroppo limitato. L’unica persona che avrebbe saputo cosa fare era sparita da due giorni.

La suoneria del cellulare di Hauser la strappò dai suoi pensieri. Il colloquio durò solo pochi secondi, poi il poliziotto ripose il cellulare.

«I tecnici hanno finalmente ricostruito il traffico email dell’indirizzo Heiko99@gmx.de. E ora indovini un po’ dove conduce l’ultimo nodo! A una connessione Internet di Wiesbaden!»

Per un attimo Sabine ebbe l’impressione che le si fermasse il cuore. «La persona che ha telefonato per prenotare una camera d’albergo sull’altopiano dell’Eifel nel caso Cannibale era anch’essa collegata a una cella di Wiesbaden», ricordò.

«Bingo!» Melanie le lanciò un’occhiata. «Ora abbiamo bisogno di lei!»

Sabine aveva la bocca secca. «Mi potrebbe fotocopiare il fascicolo di Clara?»

Hauser sembrò un po’ contrariato.

«Certo», rispose Melanie.

«Bene, stasera stessa tornerò a Wiesbaden», decise Sabine. Tutte le piste portavano in Germania, a Vienna non le restava altro da fare. «Nel frattempo voi potreste individuare l’esatta posizione dell’indirizzo IP

«I colleghi stanno già provvedendo», disse Melanie. «La terrò aggiornata.»