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Alle otto in punto, Tina e Sabine erano sedute in aula insieme a Gomez, Meixner e Schönfeld. Dopo la strigliata che Sneijder aveva dato il giorno prima a Meixner, nessuno aveva osato arrivare in ritardo. Nel frattempo erano già le otto e dieci, il sole del mattino penetrava dalle lamine della veneziana... ma di Sneijder neppure l’ombra.
Meixner si voltò verso Sabine e Tina. «Secondo voi siamo nell’aula sbagliata?»
Tina scosse il capo. «Ho controllato il programma.»
«’Chi arriva in ritardo, sarà buttato fuori!’» Gomez imitò l’accento olandese di Sneijder.
In quel momento, la porta si aprì bruscamente e Sneijder entrò nell’aula. Non andò come al solito alla cattedra ma si fermò davanti alla prima fila. Aveva il fiatone e non si curò di salutare o di scusarsi per il ritardo.
«C’è un cambiamento di programma. Devo interrompere per alcuni giorni questa serie di seminari», disse andando subito al sodo.
«Oooh», commentò Gomez con sarcasmo.
Sneijder lo ignorò. «Da domani mi sostituirà il collega Wessely, oggi invece...» Fu interrotto dal cellulare.
A Sabine parve di riconoscere l’inno nazionale olandese come suoneria.
Sneijder rifiutò la chiamata e riprese il discorso. «... indagherete su un caso di omicidio con un altro collega nell’aula 5.1, dove si simulano le scene del crimine. Delimitazione dell’area, messa in sicurezza delle prove...»
«Ah, ma è noios...»
«Schönfeld!» Sneijder lo apostrofò in malo modo. «Fa parte del modulo. Ma posso tranquillizzarla: non si tratta di un normale esercizio di analisi della scena del crimine.»
Sabine aveva già visto le aule dotate di appartamenti completamente arredati usati anche per le simulazioni di intervento. Ciascuna aveva una tribuna, su cui sedevano i docenti e i professionisti del gruppo di analisi di scene dei delitti.
«I miei colleghi inseriranno fattori di disturbo», proseguì Sneijder. «Dovrete lavorare sotto stress e avrete a che fare con vicini e intrusi che tenteranno di far sparire elementi probatori.»
«Niente di nuovo», mugugnò Tina.
Il cellulare suonò di nuovo, ma anche stavolta Sneijder ignorò la chiamata. «La vostra performance sarà filmata e dopo seguirà l’analisi dei video... Perciò non fatemi fare brutta figura. Nei prossimi giorni non sarò raggiungibile per nessuno. Ci rivedremo con ogni probabilità all’inizio della prossima settimana.»
Stava già per voltarsi quando Meixner chiese: «Ci può dire dove andrà?»
Sneijder si fermò. Esitò un istante, ma poi decise di soddisfare la curiosità dei suoi studenti. «Un caso di attualità.»
Gli suonò di nuovo il cellulare. Stavolta se lo portò all’orecchio e disse nervoso: «Mi faccio vivo quando sono per strada!» Dopodiché lo spense e si rivolse di nuovo alla classe. «Lo sapete bene tutti: se un omicidio non viene risolto nell’arco di ventiquattro ore, le possibilità di scoprire la verità si riducono al lumicino. La polizia bavarese ha chiesto il nostro aiuto, devo andare a Norimberga. Di più non posso dirvi.»
«Elaborerà il profilo di un assassino?» domandò Tina dando una leggera gomitata a Sabine. «Sarebbe...»
«No, non sarebbe un bel niente! Ci vediamo la settimana prossima», la interruppe Sneijder. Non appena uscì dalla porta si scatenò un’animata discussione su quale potesse essere il caso di cui doveva occuparsi. I notiziari del mattino non avevano citato alcun omicidio.
«Sapete perché il Buddha, cioè l’illuminato, si chiama così?» domandò Gomez fornendo subito la risposta: «Perché il nome Maarten S. Sneijder era già stato assegnato.»
Nessuno rise, ma Gomez non si lasciò dissuadere e proseguì con le sue battute. Sabine però non gli prestava più ascolto. Mentre spegneva il portatile e raccoglieva i documenti, vide Sneijder attraversare la pista di atterraggio, lasciare il cortile del campus e correre all’edificio principale del BKA. Poco dopo raggiunse con gli altri l’aula per le esercitazioni, ma scoprì che i colleghi avevano ancora bisogno di dieci minuti per allestire la scena.
«Nel frattempo vado un attimo in camera mia», sussurrò a Tina.
«Al tuo posto non lo farei. Hess ti tiene d’occhio, stai accumulando assenze.»
«Torno subito, promesso.» Sabine lasciò il campus ed entrò nell’edificio principale. Mostrò dal vetro il proprio tesserino allo sconosciuto seduto in portineria al posto di Falcone e prese l’ascensore per raggiungere il piano più alto, dove si trovava l’ufficio di Sneijder. Era il momento meno appropriato per tormentarlo con le sue ipotesi, ma poi non lo avrebbe visto per quattro giorni. Doveva parlargli ora, anche se c’era il rischio che lui perdesse le staffe.
Bussò alla porta e dall’interno lo sentì ruggire con forza: «Avanti!»
Entrò. Le dava le spalle. Stava infilando in un trolley due borse per portatili, decine di fascette e caricabatterie, alcune camicie prelevate da un armadio a parete e una fondina ascellare con una Glock color argento, con impugnatura nera scanalata. Probabilmente aspettava la visita di un’altra persona, poiché non si girò.
«Pronto?» fece una voce femminile che veniva dal cellulare, posato sulla scrivania.
Il profiler si trovava a pochi metri di distanza dal tavolo. A quanto pareva aveva avviato una chiamata e poi acceso il vivavoce.
«Salve, collega, sono Sneijder, mi trovo a una distanza di duecento metri in linea d’aria.»
Sabine guardò fuori dalla finestra. Il cortile interno era incorniciato da un’altra ala dell’edificio della polizia federale.
«Si tratta del caso Uomo Cavallo», disse Sneijder senza guardare il telefono.
«La sento malissimo», lo interruppe la donna.
«Quando sarà disponibile il rapporto autoptico provvisorio?» urlò Sneijder.
Sabine si chiuse piano la porta alle spalle.
«Entro ventiquattro ore.»
«Al momento cosa sa dirmi?»
«Probabilmente la frusta era imbevuta di ricina. Se così fosse, l’omicidio è avvenuto due giorni fa, perché il veleno sembra aver agito a scoppio ritardato.»
«Verdomme!» imprecò Sneijder. «Allora siamo arrivati troppo tardi. Quando saranno disponibili i risultati tossicologici?»
«Anche quelli non prima di ventiquattro ore.»
«Quando passerà a prendermi la macchina?»
«Fra cinque minuti.»
«Grazie.»
«Altro?»
«Grazie!» urlò Sneijder.
La donna riattaccò e Sneijder chiuse la cerniera del trolley. Si girò. Aveva la fronte imperlata di sudore. Sembrava pallido e teso come una corda di violino. «Lei?» gli sfuggì appena si accorse di Sabine. «Vuole a tutti i costi dirmi qualcosa, vero?»
Le sembrò che impallidisse ancora di più. «Posso parlarle delle mie ricerche?» domandò, tentando di far sembrare la sua voce stentorea.
Il profiler guardò il suo Swatch. «Può parlarmi di quello che preferisce, ma ha solo un minuto!»
«Credo che dietro agli assassini Centipede ci sia qualcosa di più di un banale omicidio ai danni di una famiglia berlinese o dell’opera di un emulatore.»
Sneijder fece un respiro profondo, però non la interruppe.
«Mi coinvolga nelle indagini. Su quale caso stava lavorando Erik? Cosa ha scoperto? Mi lasci dare un’occhiata ai suoi appunti.»
«E chi l’ha detto che ha scoperto qualcosa?»
Lui stesso, pensò Sabine, e risentì mentalmente la voce di Erik al telefono. Ma non poteva certo raccontare a Sneijder di essersi introdotta nel suo archivio privato e di aver sentito la segreteria della sua vecchia SIM.
«E anche se fosse», proseguì Sneijder, «non posso metterla al corrente. Hanno colpito un agente con una pistola. Si tratta di un caso troppo pericoloso per una agente del BKA non ancora addestrata. Inoltre l’ho già messa in guardia dalle iniziative personali.»
«Io ho...»
Il profiler alzò la mano. «Mi risparmi la lista delle sue capacità e delle sue esperienze lavorative.»
Affabile come al solito! Non le restava che giocare a carte scoperte. «Erik aveva trovato uno schema. Parlava di un padre e di un figlio. A chi si riferiva?»
Sneijder la fissò con uno sguardo da falco. «È stato Erik a raccontarglielo?»
«Sì», mentì lei. E a quanto pareva lo aveva raccontato anche a Sneijder già prima della sua ultima chiamata.
«Cos’altro le ha rivelato?»
«Niente», rispose lei, e in effetti era così. «Ma a chi o a cosa si riferiva?»
«Non lo so neppure io... Lo ha solo accennato una volta e poi si è portato la soluzione con sé nel coma.» Era concentrato. Sabine non aveva idea di quali pensieri gli passassero per la mente, ma una cosa era piuttosto chiara: Sneijder aveva notato che lei gli aveva mentito.
«Erik era una testa calda», riprese. «E se lei è convinta che i tre casi siano collegati, corre dietro a un’idea delirante.»
Nessuna idea delirante, pensò Sabine amareggiata. Esistevano denominatori comuni: il dottor Bell era stato il medico legale in tutti e tre i casi, si occupava della ferita alla testa di Erik e faceva in modo che Erik restasse sedato. Inoltre Konrad Wessely sembrava molto interessato ai casi che Sneijder trattava con i suoi studenti e in uno di quei casi era stato proprio lui a stilare il profilo di uno dei sospettati.
«Ma forse...»
«No... Per anticipare la risposta alla sua prossima domanda», la interruppe Sneijder, «l’omicidio appena accaduto non rientra in questo schema.»
Lei rimase impassibile, anche perché non le era neppure venuto in mente di sostenere una cosa del genere. Tuttavia trovò interessante che Sneijder lo negasse in maniera così esplicita.
«Si tenga alla larga.» Il profiler prese la giacca dall’attaccapanni e infilò nella tasca portafoglio, cellulare e mazzo di chiavi.
Sabine pensò al proiettile nella testa di Erik. «La maggior parte dei colleghi oltre all’arma di servizio ha anche una Walther in una fondina alla caviglia. Anche lei e Konrad Wessely?»
«A quale scopo, scoiattolo? Non stiamo mica partendo per la guerra.» Afferrò la maniglia del trolley e si avviò alla porta.
Con la coda dell’occhio Sabine notò che aveva dimenticato la sua tessera del BKA sul tavolo. Quando si scostò di lato per lasciarlo passare, prese la tessera dal tavolo.
«Ha...»
«E nemmeno lei deve partire per la guerra, altrimenti si ritroverà a dirigere il traffico... Come prima.»
Ottimo! Fece sparire la tessera nella tasca dei pantaloni.
«E ora fuori di qui!» ordinò Sneijder.
Lasciarono insieme l’ufficio e lui chiuse la porta a chiave. Dopodiché Sabine lo guardò percorrere il corridoio con il trolley fino all’ascensore. Quando le porte della cabina si chiusero, Sabine tirò fuori la tessera con il chip integrato, che le avrebbe dato pieno accesso all’archivio del BKA.
Stavolta non avrebbe dovuto ricorrere all’aiuto interessato di Wessely. Tuttavia una cosa la insospettiva: com’era possibile che Sneijder fosse stato così sbadato da dimenticarsi il tesserino?
Lo aveva spinto da una parte proprio nel momento in cui lei aveva accennato alla Walther. Il proiettile nella testa di Erik proveniva da quel tipo d’arma. E Sneijder ovviamente lo sapeva. Aveva lasciato di proposito il tesserino in modo che lei potesse rubarlo?