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«Katharina ha ventun anni ed è una ragazza intelligente. Inoltre, è una bellissima studentessa di psicologia», spiegò Sneijder. «Il suo sogno? Diventare psicoterapeuta.»
Attraversò l’aula, facendo roteare il telecomando come fosse la bacchetta di una batteria.
Le otto di mattina erano trascorse da un minuto esatto. La sera precedente Tina e Sabine si erano completamente spompate al centro fitness e nella piscina coperta, dopodiché erano andate in un pub irlandese, dove per due ore Sabine aveva parlato di Erik. E dopo quella chiacchierata era finalmente riuscita a dormire in modo decente... Più tardi, durante la pausa pranzo, sarebbe di nuovo andata a trovare Erik.
Tina era seduta al proprio posto sveglissima, interessata e come rinata. Più beveva, più si attivava, pensò Sabine. Il netbook blu di Tina era aperto e le sue dita volavano sulla tastiera per annotare i dati più importanti. Di sicuro era consentito, altrimenti Sneijder si sarebbe avvicinato e l’avrebbe lanciato nel cestino dei rifiuti.
Sneijder spense le luci e fece partire un video. Il sonoro usciva da un impianto Dolby Surround. Nel filmato si vedeva una ragazza che conduceva uno spettacolo di beneficenza davanti a un pubblico numeroso. La registrazione era accurata, con montaggio video doppio, carrellate e accompagnamento di un’ampollosa musica orchestrale. Sabina rimase affascinata dalla giovane presentatrice, esile e incantevole, con il naso all’insù, le lentiggini, lo sguardo solare e il sorriso raggiante. Ma la inquietava non sapere perché Sneijder la chiamasse in causa.
Quando terminò il video, Schönfeld si chinò verso Meixner e le sussurrò all’orecchio una frase che Sabine riuscì a sentire pur trovandosi nella fila dietro. «Quella sarebbe stata di sicuro la quinta iscritta al nostro corso...»
«Schönfeld!» lo richiamò Sneijder. «Faccia sentire a tutti i suoi commenti.»
«Quale specializzazione ha scelto Katharina?» domandò prontamente Schönfeld.
«Psicoterapia integrativa», rispose Sneijder. «Katharina è austriaca. Vive ai margini della Selva viennese e studia all’università. Durante le ferie estive lavora come ragazza alla pari a Sankt Peter-Ording, una popolare località balneare sul mare del Nord e nei ritagli di tempo svolge lavoretti occasionali come cameriera nella mensa di una clinica psichiatrica... più per interesse psicologico che per soldi.»
«Perché è stato girato un video su una studentessa qualunque?» domandò Meixner.
«Non è una studentessa qualunque, ma la nipote di un diplomatico austriaco e, quando vengono organizzati spettacoli di beneficenza, si trova a contatto con il pubblico. Lasciamo perdere ulteriori dettagli sulla sua famiglia, di cui non posso parlarvi.»
«Uno schianto di donna», commentò Gomez.
Sneijder ignorò il commento. «Ora vi mostrerò come l’hanno ridotta.» Premette sul telecomando.
Sullo schermo apparve un’immagine. Sabine si voltò all’istante. Persino Tina chiuse gli occhi. Dopo aver respirato a fondo, Sabine si costrinse a girarsi verso lo schermo. Di Katharina era rimasto ben poco. Parti del corpo e brandelli di carne erano appesi a un palo di legno, il resto giaceva sulla sabbia, cibo per vermi e granchi.
Stavolta Sneijder non li esortò a ricostruire quanto accaduto; raccontò lui stesso cos’era successo, mentre distribuiva il referto del medico legale.
«Poco meno di tre anni fa, un venerdì, il 24 settembre, qualcuno ha narcotizzato Katharina con il cloroformio, l’ha portata verso il mare lungo una passerella di legno senza dare nell’occhio, l’ha legata seduta a un palo, sotterrata fino ai fianchi nel fango, ha atteso che si riprendesse e l’ha mutilata in modo crudele con un coltello a serramanico, di quelli utilizzati per tagliare il lardo. Dopodiché probabilmente ha aspettato l’alta marea per vedere Katharina morire lambita dall’acqua salmastra.»
«Mutilata in modo crudele» non rendeva affatto l’idea, pensò Sabine. Era più adatto dire che era stata «ridotta a fettine».
«Secondo il medico legale è morta alle 18.50, quando l’alta marea ha raggiunto il culmine. Mezz’ora scarsa dopo il tramonto. Eppure, nessun testimone.»
Mentre gli studenti stavano a capo chino sul referto medico, Sneijder proseguì. «Perché il delitto si è svolto così e non in un altro modo? Katharina non può più raccontarci la sua storia. Spetta a noi ricostruirla. Gomez, tocca a lei. Chi può aver commesso questo omicidio?»
Gomez, fino ad allora disinvolto, drizzò la schiena. «Prima si erano già verificati omicidi simili?»
«Niente di paragonabile.»
«Partiamo dunque dal presupposto che si tratti del primo atto di questo assassino.»
«E come fa a dedurre che si tratti di un lui?» lo interruppe Sneijder.
«L’immagine che l’omicida ci ha lasciato fa dedurre che si tratti di un recidivo. Negli ultimi settant’anni in Germania sono stati registrati all’incirca duecento serial killer che, dal punto di vista statistico, hanno commesso tra i quattro e i cinque omicidi. Solo il cinque per cento degli assassini erano donne.»
«Ha trovato su Google questa perla di saggezza?»
«Sì», rispose Gomez. «E proprio in un articolo scritto da lei.»
Sneijder si mostrò lusingato. «Allora dev’essere la pura verità. Continui.»
«Prima di compiere un gesto simile, l’assassino deve aver impiegato anni per creare un vasto arsenale di fantasie e immaginarsi centinaia di volte quest’atto specifico. Si è, per così dire, autoprogrammato.»
«Gomez!» Sneijder agitò la mano. «Usi entrambi gli emisferi cerebrali! Scenda nei dettagli, forza!»
«Katharina conosceva il suo assassino? Probabilmente no, altrimenti dopo tre anni il caso non sarebbe ancora irrisolto. Con un estraneo, però, non sarebbe andata verso il mare sulla passerella di legno, perciò deve averla narcotizzata con il cloroformio già sulla terraferma. Dopodiché l’ha portata in braccio per i novecento metri fino al mare. A mio avviso, la ragazza pesava sui cinquantacinque chili, dunque presumo che lui sia alto e robusto.»
«Gomez!» Sneijder lo interruppe di nuovo e sollevò tre dita. «Riassuma le sue conclusioni in tre frasi brevi e precise. Crede di potercela fare?»
Gomez si tirò ancora più su e rifletté alcuni secondi.
«Non sono stati utilizzati né un coltello da pescatore né nodi da marinaio, perciò non si tratta né di un pescatore né di un marinaio. L’azione del cloroformio non dura a lungo, perciò deve averla narcotizzata una seconda volta, tuttavia non voleva aspettare troppo a lungo prima che Katharina si riprendesse... Il che lascia supporre competenze mediche. Secondo me, trentenne, celibe, scarse capacità pratiche, compensate però da una grande capacità di pianificazione. Probabilmente misogino.»
Sneijder corrugò la fronte insoddisfatto. «Si è infilato in un vicolo cieco. Impari a distinguere l’essenziale dall’irrilevante!»
«La mancanza di ferite alla vagina, però, potrebbe anche significare che non provava alcun odio verso le donne», si corresse Gomez. «O almeno non vedo alcun segno di violenza sessuale.»
«Meglio.» Sneijder annuì e alzò le tre dita dell’altra mano. «Meixner, tocca a lei.»
«Ha scelto la sua vittima con consapevolezza e di certo deve averla osservata per settimane, il che significa che forse risiedeva nei pressi del luogo del delitto. Tuttavia, in questo caso lo avremmo già trovato da tempo. Perciò, deve potersi spostare e ha la patente... Magari vive...» Si fermò a riflettere. «Dopo si sono verificati omicidi simili?»
«No.»
«Forse non ha più avuto l’occasione», aggiunse Meixner proseguendo con le sue supposizioni. «Lei ha detto però che Katharina lavorava come cameriera nella mensa di una clinica psichiatrica. Dove si trova?»
«A Sankt Peter-Ording, vicino al lungomare.»
«Forse l’assassino potrebbe essere uno dei pazienti dell’istituto. Come inquirente mi sarei interessato ai dossier e alle storie cliniche dei malati.»
«Degli ospiti!» la corresse Sneijder, aprendo il cassetto e consegnando a ognuno di loro una cartellina. All’interno si trovavano venticinque pagine con i dati dei soggetti presi in considerazione.
Dopo aver dato una scorsa ai fogli, si accordarono su un paziente: il venticinquenne Simon Kasparek, ex agricoltore nella tenuta di sua madre. Un giorno Simon stava mietendo il granturco, ma quando era scoppiato un violento temporale sua madre era corsa sul campo per riportare a casa il figlio, che a causa delle alte spighe non l’aveva vista e l’aveva investita con la mietitrebbiatrice. Invano aveva tentato di liberare la madre dalle lame rotanti. Da allora Kasparek aveva sofferto di gravi sensi di colpa. Il suo primo tentativo di suicidio aveva avuto luogo due settimane dopo l’incidente, l’ultimo un paio di giorni prima dell’omicidio di Katharina.
«Inoltre Kasparek è affetto da disturbo borderline e sindrome di Asperger», spiegò Sneijder. «Insieme, questi due disturbi della personalità creano una combinazione tanto rara quanto esplosiva.»
Sneijder proiettò sullo schermo un’immagine di Kasparek. Dimostrava all’incirca trent’anni, portava una barba di tre giorni trasandata e aveva un viso scarno, dalle proporzioni sgraziate. «Gomez, cosa sa sul disturbo borderline?»
«I soggetti borderline hanno paura di essere abbandonati. Non feriscono solo se stessi, ma si comportano in maniera offensiva anche nei confronti del loro prossimo. Spesso mostrano improvvisi atteggiamenti paranoidi...»
«Gomez, mi risparmi queste stronzate da manuale», brontolò Sneijder. «Le racconto io qualcosa su Kasparek. Lui si sforza in ogni modo di sentire di non essere vuoto dentro. Inizia un mattino, quando preme più a fondo del necessario il pettine sul cuoio capelluto. Ma continua a sentire quella sensazione di vuoto, e allora si morde, oppure sbatte la testa contro il muro. E poi ci sono i ripetuti tentativi di suicidio.» Il profiler si concesse una pausa. «Schönfeld, cosa sa lei della sindrome di Asperger?»
«Ehm... Niente.»
«Risposta sbagliata. Martinelli?»
«La vita di Kasparek è dominata dalla routine. Per esempio, attraversa la strada sempre nello stesso punto, oppure sull’autobus si siede sempre nel senso di marcia. Non appena qualcosa cambia rispetto al solito, il soggetto va in crisi. Inoltre non è in grado di capire i sentimenti altrui. Potrebbe essere questo il motivo per cui ha portato Katharina al mare, nonostante il pericolo che gli altri lo vedessero: lui è diverso.»
«Ma qual è il suo movente? Perché lo ha fatto?»
«Dunque...» Tina roteò la penna tra le dita, prima di rispondere. «È vero che Kasparek non prova emozioni nei confronti degli altri, ma per i suoi sensi di colpa ne prova, eccome. Non riesce a togliersi dalla testa l’idea terribile che sua madre sia morta per causa sua. Queste continue visioni lo distruggono. La sua unica opportunità per guarire è rimuoverle definitivamente, spostando il ricordo di sua madre su un’altra persona.» Guardò titubante Sneijder, il quale annuì.
«Perciò uccide un’altra persona, con la quale non è in rapporti stretti», prosegue Tina. «Mutila il corpo di Katharina, come se a finire nella mietitrebbiatrice fosse stata lei. L’acqua del mare simboleggia la pioggia di quel giorno.»
«Vede, ci siamo!» Sneijder sembrava soddisfatto.
Sabine accese il cellulare e digitò sul display, mentre il docente proseguiva alzando la voce.
«Noto con piacere che non è qui solo per respirare l’aria pura del Geisberg: si sta guadagnando fino in fondo il suo stipendio da studente. Dunque abbiamo il nostro assassino», concluse riepilogando la situazione. Nessuno lo contraddisse. «Nemez! Le nostre considerazioni l’annoiano?»
Sabine sollevò un attimo lo sguardo dal cellulare, poi continuò a digitare.
«Cosa c’è di così maledettamente importante?» gridò Sneijder. «Vervloekt! Metta via quel telefono!»
«Ho appena controllato su Google il meteo di quel 24 settembre di tre anni fa.»
Sneijder la osservava incuriosito. «E a cosa ci servirebbe saperlo?»
«Prima ha detto che l’assassino ha portato la vittima verso il mare ’senza dare nell’occhio’. Inoltre, lei sostiene che Kasparek non sia in grado di capire i sentimenti di possibili testimoni, e perciò non temesse di essere osservato. Solo qualcuno con un quadro clinico del genere può correre il rischio di portare su una passerella una donna narcotizzata.»
«Ha solo ripetuto quello che già sappiamo.»
«Ma non era affatto necessario!» ribatté Sabine. «Non ha dovuto né sforzarsi di non dare nell’occhio, né temere che qualcuno lo osservasse. Quel giorno alle 18.00 pioveva a dirotto. I rovesci infuriavano dalla costa fino al mare aperto. Nuvole scure si addensavano all’orizzonte. I ristoranti erano chiusi. Sulla passerella di legno non c’era nessuno, garantito.»
«Bene... si cali nella psiche dell’assassino!» la esortò Sneijder.
«Solleva la donna...» Sabine si interruppe un attimo e chiuse gli occhi. «Il vento lo colpisce in faccia. Con la donna in spalla cammina a fatica sul molo. Katharina si sveglia. Ma a lui non serve usare di nuovo il cloroformio, perché la tempesta lancia i suoi gemiti su tutto il mare dei Wadden, le acque che coprono il fondo sabbioso lungo la costa bassa del mare del Nord. La donna inizia a muoversi, lui si affretta e prosegue fino alla fine della passerella, dove all’orizzonte scuro finalmente vede lo scintillio delle onde. Sprofonda nel fango ma continua a guardare. Portare la donna in quel punto è una catarsi personale...»
Sabine aprì gli occhi.
«E cosa ne desume?» domandò Sneijder.
«Potrebbe essere stato chiunque.»
Schönfeld e Meixner sorrisero divertiti e scossero il capo.
«Giusto», confermò Sneijder dopo un po’. «Kasparek non è stato condannato.»
Schönfeld si girò di scatto. «E perché no?»
Perché altrimenti il caso sarebbe stato risolto da tempo, genio, pensò Sabine.
«Per tre motivi.» Sneijder alzò la mano. «Sul luogo del delitto non furono trovate tracce di DNA. La confessione di Kasparek era stata estorta dagli inquirenti, la perquisizione della sua stanza avvenne senza mandato, perciò le prove non furono ammesse in tribunale.»
«Perché non hanno ordinato un nuovo processo?»
Sneijder si sedette con disinvoltura sul tavolo vicino alla cattedra. «Mai sentito parlare del paradosso Kennedy?»
Tutti scossero il capo, Sabine compresa.
«Dovreste conoscerlo dai telegiornali. Una personalità famosa viene uccisa, come per esempio Kennedy, e subito le indagini sono gestite da dirigenti di polizia di massimo livello, che non hanno la minima idea del lavoro sul campo e commettono errori da dilettanti.» Sneijder sospirò. «Qui è capitato proprio questo. Katharina era la nipote di un diplomatico austriaco e il caso è stato dichiarato una questione di competenza dei vertici.»
«Chi ha condotto le indagini?» domandò Tina.
«Provi a immaginare», replicò Sneijder.
«Il direttore Hess in persona?»
Sneijder sorvolò. «Come sempre, in questi casi, il vero colpevole non è mai stato catturato.»
«Perché è convinto che non sia stato Kasparek?» domandò Tina.
Sneijder rimase seduto sul tavolo e si appoggiò con il gomito alla cattedra. «Finisce sempre così... Quando tutto sembra perfetto, salta sempre fuori qualcosa che non quadra. Filava tutto troppo liscio. Il vero assassino si è organizzato per settimane o mesi prima di compiere quel gesto, procurandosi, proprio come noi, i dossier di tutti gli ospiti della clinica psichiatrica. Forse, come noi, si è imbattuto nella figura di Kasparek, nei suoi sensi di colpa per la morte della madre, nei verbali delle sue sedute di terapia, nei resoconti dei suoi incubi e nelle foto dell’incidente di sua madre.»
Mentre Sneijder parlava, Sabine sfogliò di nuovo il fascicolo di Kasparek. Sulla copia di un interrogatorio, condotto con lui solo poche settimane prima, riconobbe la firma dell’agente che conduceva l’indagine: Erik Dorfer. Un brivido lungo la schiena, le sembrò di avere il cervello strizzato in una morsa di ghiaccio. Era una semplice coincidenza, oppure c’era dietro un metodo ben preciso, in base al quale Sneijder trattava con loro tutti i casi a cui aveva lavorato Erik?
«... Poi l’assassino ha fatto a pezzi il cadavere di Katharina in modo che assomigliasse a quello della madre di Kasparek.» Sneijder abbassò la voce. «Come se anche lei fosse stata travolta da una mietitrebbiatrice durante una giornata piovosa.»
Sabine fece per dire qualcosa, ma Sneijder la interruppe. «No, non credo che il vero obiettivo dell’assassino fosse Kasparek, che volesse colpirlo... L’obiettivo primario era Katharina e Kasparek doveva semplicemente servire da capro espiatorio.»
«Io volevo dire un’altra cosa», mormorò Sabine. Tuttavia si guardò bene dal citare di nuovo il cognome di Erik durante la lezione.
Sneijder agitò la mano nervoso. «Se proprio deve.»
Sabine era perplessa e nervosa. «Proprio come nel caso Centipede, anche qui l’assassino ha creato una falsa pista per fare in modo che i sospetti ricadessero su un innocente. Là un ginecologo di Berlino, qui un uomo con disturbi della personalità a Sankt Peter-Ording.»
Sneijder si alzò dal tavolo e tentò di fermarla, come se sapesse già dove voleva andare a parare, ma lei non si lasciò dissuadere. «Potrebbe trattarsi dello stesso assassino.»
«Neanche per idea!» esclamò Sneijder. «L’approccio degli assassini è diverso: in un caso, è stato usato il flunitrazepam, nell’altro cloroformio; nel primo un bisturi, nel secondo un coltello a serramanico. Inoltre, sulla base delle ferite da taglio riportate, il medico legale ha ipotizzato una costituzione corporea completamente diversa degli assassini.»
«Ma...»
«Ma cosa?» gridò Sneijder, avvicinandosi a Sabine. «Crede sul serio che io e Wessely, insieme a un’altra decina di specialisti del BKA, non abbiamo confrontato a lungo questi casi? Si tratta di due diversi modi di operare! Non esiste alcuna affinità!»
«Eppure», replicò Sabine. «Il fatto di lasciarsi alle spalle una falsa pista.»
«Oh santo Dio. Finora ha proposto idee efficaci, come mai adesso se ne viene fuori con questa teoria tirata per i capelli? Ci rifletta su!» disse Sneijder. «Sta accusando il medico legale di essersi sbagliato.»
«Forse...»
«Forse è lei a non essere all’altezza; forse il caso è al di sopra delle sue di capacità», la interruppe. «Anziché correre dietro a tesi assurde, dovrebbe restare con i piedi per terra.»
Sabine ammutolì. Si rese conto di aver serrato i pugni sotto il banco. Di sicuro gli altri si stavano godendo quel momento. Solo il giorno prima, Sneijder aveva esortato i suoi studenti a sviluppare nuove teorie e a essere aperti a tutto... e ora stroncava sul nascere ogni approccio creativo. Sembrava cambiato. Non era abituata a un comportamento così incoerente da parte sua. Gli stava succedendo qualcosa che lei, con il suo cervello di gallina, non afferrava?
«Ci rivediamo domattina alle otto», disse Sneijder chiudendo lo spettacolo.
Sabine non gli prestava già più ascolto. Si era concentrata sul referto medico in cerca della firma del medico legale. All’improvviso ebbe un déjà-vu: l’uomo si chiamava dottor Laurenz Bell.