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Mentre percorreva le strade del paese diretta al lago, Melanie avvertiva un profondo malessere. Non riusciva a togliersi dalla mente le immagini della ragazzina mutilata. Un conto era vedere le foto della polizia giudiziaria e presentarle in aula, un altro era trovarsi a due metri di distanza, sentire l’odore del corpo e il rumore delle articolazioni che scricchiolavano.
Pensa a qualcos’altro!
Aprì il finestrino e lasciò entrare nell’abitacolo una ventata d’aria che sapeva di lago. Erano già le dieci di mattina e alcuni surfisti stavano trascinando le tavole fuori dall’acqua. Da lontano vedeva già casa sua. In realtà, la tenuta apparteneva a lei e Gerhard. Avevano cercato per molto tempo, e infine avevano trovato quella villa sul lago di Neusiedl, quarantacinque chilometri a sud-est di Vienna. La zona era perfetta per entrambi e si conciliava bene con le loro professioni. Gerhard era cronista giudiziario e aveva – proprio come lei – un ufficio tutto suo in casa. Inoltre entrambi amavano la quiete e l’isolamento mentre lavoravano.
Avevano ristrutturato l’edificio, aggiunto una soffitta e creato un giardino d’inverno con una veranda spaziosa. La proprietà era grande abbastanza per l’hobby di Gerhard: lui e Melanie si immergevano spesso nel lago e talvolta lui si imbatteva in parti di rottami metallici, che portava a fatica a riva e poi saldava nella sua officina per creare opere d’arte... O almeno lui sosteneva che fossero tali. Per fortuna, Melanie aveva buoni contatti con alcuni galleristi, che si portavano via quei pezzi dall’aspetto tanto indefinibile quanto apocalittico. Certi in realtà non erano poi così malvagi e c’era perfino chi li usava come lampade o tavoli.
Melanie parcheggiò il suo fuoristrada vicino all’officina di Gerhard e lasciò uscire Sheila dal portellone. Il golden retriever corse subito in riva al lago e saltò tra le canne. La nebbia si addensava sull’acqua, ma il sole del mattino presto l’avrebbe dissolta.
Melanie vide delle scintille dalla finestra dell’officina. Gerhard aveva un giorno libero... vale a dire che non scriveva reportage, ma si dedicava alla sua nuova opera. Preferì non disturbarlo. La sera prima gli aveva inviato un sms per dirgli che avrebbe trascorso la notte in ospedale da Clara. Bussò al vetro sporco e gli lanciò un bacio con la mano. Lui si toccò gli occhiali da saldatore in segno di saluto e tornò a chinarsi sul suo telaio, i cui spuntoni d’acciaio piegati verso l’esterno creavano una struttura simile a una vergine di Norimberga medievale. Mostruosa!
Melanie aveva bisogno di zucchero per recuperare le forze. In cucina si scaldò un bricco di cioccolata, preparò pane e marmellata, prese dal cassetto una mela e una barretta Snickers e andò con il vassoio nel suo studio. Non aveva appuntamenti in tribunale: l’attendeva un giorno di lavoro a casa. Entrò nel suo ufficio e si mise alla scrivania, davanti alla grande finestra panoramica. Ogni tanto distoglieva lo sguardo dal pc e osservava Sheila che saltava sul prato, si rotolava come impazzita nell’erba bagnata e tentava di azzannare la rugiada sui fili d’erba. Il cane si scatenò ancora per un po’, poi scomparve dal campo visivo di Melanie. Poco dopo sentì il rumore della porta basculante e il trotterellare delle zampe sul parquet. Sheila aprì con il muso la porta dell’ufficio, entrò, si rotolò sulla schiena sotto la scrivania e allargò le zampe.
«Non è un comportamento da vera signora», la rimproverò Melanie.
A Sheila non importava, voleva solo una grattatina alla pancia.
Dopo aver lavorato per un’ora agli altri casi e aver accarezzato a lungo con il piede la pancia di Sheila, Melanie ricevette una telefonata dal medico di Clara. L’uomo andò subito al punto.
«Ho tentato di accedere alla cartella clinica di Ingrid Breinschmidt, ma è impossibile.»
Melanie sospirò. Niente era impossibile se ci si provava con ostinazione. «In che modo ci ha provato?» domandò, stanca di quei continui pretesti.
«Ho parlato con il viceprimario.»
Oh, Signore! Melanie si portò una mano alla fronte.
«Per ottenere il permesso di accedere ai dati dell’ospedale ci servirebbe l’autorizzazione del tribunale.»
Ovvio! Ma Melanie sapeva benissimo che in quella situazione non avrebbe ottenuto nessuna delibera del tribunale, dato che la morte di Ingrid non aveva nulla a che vedere con la scomparsa della figlia. «Sa chi era il medico di famiglia?»
«Sì, ma si risparmi pure il tentativo di parlare con lui. Si appellerà al segreto professionale. Inoltre per trasmettere i fascicoli di Ingrid Breinschmidt avrebbe bisogno dell’autorizzazione del marito. Lei ce l’ha?»
«No, non ce l’ho. Grazie.» Riattaccò e lasciò cadere il cellulare sulla scrivania. Maledetti burocrati!
In quel momento entrò Gerhard. Sheila balzò in piedi e corse alla porta a salutarlo frenetica e lui le grattò il pelo. Aveva sette anni più di Melanie e quell’anno avrebbe festeggiato i cinquanta. Era alto quanto lei e sulle tempie si iniziava a vedere la prima spruzzata di grigio... Un dettaglio che, agli occhi di Melanie, lo rendeva alquanto sexy.
Si spinse gli occhiali sul naso e la baciò. «Ehi, siamo di pessimo umore, o sbaglio?»
Sapeva di metallo, ma le mani profumavano di sapone. Era felice che si fosse staccato per qualche minuto dalla sua nuova opera per venire da lei. «Stringimi», sospirò.
«È così grave?» Si chinò su di lei e la strinse forte.
«Stamattina sono stata nella Selva viennese. Hanno ritrovato il cadavere di una ragazzina. È stato spaventoso...» disse con voce sommessa.
«Tesoro.» Sembrava quasi un rimprovero. «Lascia che ci pensino la Scientifica e il medico legale.» Si mise dietro la sedia girevole, le spostò da un lato la treccia e le massaggiò il collo. «Com’è andata la notte da Clara in ospedale?»
«Ha parlato e ha fornito il primo indizio utile. La polizia se ne sta già occupando. Cerchiamo un uomo con una maschera rossa.»
«Fantastico.»
«Sì, ma il medico di Clara non collabora. Un burocrate che forse ha paura del suo lavoro. E poi mi hanno di nuovo affibbiato il gruppo di Hauser. Un tipo insensibile... non mi ha neppure offerto il caffè.»
«Tanto tu non lo bevi.»
La moglie si girò con la sedia. «E che differenza fa?»
«Logica femminile.» Gerhard corrugò la fronte. «Hauser?»
«Sì, lo conosci di sicuro, è in polizia da parecchi anni, non è più molto motivato e ormai fa sciopero bianco.»
«Ah.» Si rischiarò in volto. «E non sopporta di collaborare con una giovane procuratrice energica e ipermotivata, che non sempre rispetta i regolamenti.»
«Giovane? Oh, che complimento», replicò lei ironica.
«Non c’è di che. Ma non sarà mica quel tipo che si tiene in casa un’iguana?»
«Un geco», precisò Melanie. «E in più non ci sa fare con i ragazzini.»
Gerhard rise. «In effetti, non è quello il suo compito. Lui deve trovare l’uomo che ha ridotto Clara in quello stato.»
«Hai ragione.» Appoggiò la testa al corpo di Gerhard, che le massaggiò di nuovo il collo. Da anni discuteva con il marito sui suoi casi, anche se in realtà sarebbe stato meglio non farlo, dato che lui si occupava di vicende giudiziarie. Ma da quel punto di vista se ne infischiava del segreto istruttorio, perché suo marito non avrebbe mai approfittato di quelle informazioni e sapeva mantenere un segreto. E poi Gerhard era al corrente di molti fatti e talvolta discutere con lui le procurava nuove idee.
«Vedi, non è così male come sembrava, è solo che sei in quei giorni.»
Melanie si girò e lo fissò con gli occhi spalancati.
Il marito si mise sulla difensiva. «Ehi... era solo una battuta.»
«No, mi hai dato la soluzione!» gridò lei. «Sei un genio.» Balzò in piedi e gli schioccò un bacio sulla guancia.
«Lo so», replicò Gerhard sbigottito. «Se hai di nuovo bisogno di aiuto, non hai che da chiederlo.» E con un fischio ordinò a Sheila di uscire con lui dallo studio.
Melanie prese il cellulare e selezionò il numero del suo ginecologo. Rimase in attesa per un minuto, ascoltando Conquest of Paradise, prima che l’assistente la mettesse in contatto con il dottor Hehnreich.
«Cosa posso fare per lei?»
«Dottor Hehnreich, ho bisogno del suo aiuto.»
«Sa bene, bambina mia, che per lei ci sono sempre, ammesso che sia nelle mie facoltà.»
Hehnreich era l’unico da cui tollerava di sentirsi chiamare «bambina mia», anzi, lo considerava addirittura un complimento. Il medico era una roccia dai capelli grigi e dalla voce paterna ed era stato anche il ginecologo di sua madre. Oltre a gestire il suo studio privato, già da decenni prestava servizio aggiuntivo in ospedale qualche ora la settimana.
«Ingrid...» Melanie si interruppe bruscamente, poiché stava per usare il cognome del primo marito di Ingrid. «Ingrid Breinschmidt», si corresse, «era la mia migliore amica ed è stata anche sua paziente.»
«Lo so, bambina mia. Ingrid e io abbiamo parlato spesso di lei e della sua brillante carriera da procuratrice, ma anche di suo marito. Ogni tanto leggo la sua rubrica giudiziaria, molto divertente. Fate sempre le immersioni nel lago? E lui salda ancora quegli strani aggeggi metallici? Ne ho uno qui nel mio ambulatorio.»
Melanie conosceva la scultura, che sembrava una mucca gravida sui trampoli. «Sì, non demorde.» Poi cambiò argomento. «Ingrid è morta un anno fa.»
«Sì, una storia molto triste, che mi colpì davvero. Una creatura così graziosa con una figlia così piccola.»
«Dicono che soffrisse di aritmia cardiaca. Ma lei è sempre stata sana come un pesce, e in più era fissata con i cibi biologici. Mangiava solo müsli, andava regolarmente a correre e non toccava né sigarette né alcol.»
La voce di Hehnreich si fece seria. «Sento che ha qualcosa di urgente da domandarmi. Di cosa si tratta?»
Quel vecchio signore non era certo uno sprovveduto, perciò Melanie si risparmiò le chiacchiere e andò al sodo. «Vorrei dare un’occhiata alla cartella clinica di Ingrid.»
«Senza delibera del tribunale?» borbottò il medico.
«So che quello che le chiedo è illegale, ma...»
«Bambina mia», la interruppe. «Sono certo che stia facendo la cosa giusta. Se lei è convinta che i suoi sospetti siano fondati, per me è sufficiente.»
Lo sentì sfogliare l’agenda.
«Oggi pomeriggio sono all’Ospedale generale e prima del giro di visite, ho un po’ di tempo. Farò in modo di scovare il fascicolo di Ingrid.»
«Grazie, è lei il migliore. Però non dica niente al viceprimario.»
«Al viceprimario?» le fece eco Hehnreich. «Ma per chi mi ha preso? Ora però devo lasciarla, c’è una paziente che mi aspetta.» E così chiuse la conversazione.
Melanie abbassò lentamente il cellulare. Sperava davvero che fosse la cosa giusta.