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Una pentola a pressione. L’atmosfera ricordava una vendita di beneficenza. Gerhard Dietz si allentò il nodo della cravatta. La grande sala della corte d’assise del tribunale di Vienna era stracolma. Le prime file erano riservate a una novantina di giornalisti e cronisti giudiziari, dietro sedevano i curiosi. Alcuni non avevano trovato posto a sedere, perciò erano rimasti in piedi accanto alle uscite o persino accovacciati fuori sulle scale in pietra, nella speranza di dare una sbirciata a Thomas Wander. Era luglio e quello era il processo dell’anno! Nonostante le alte colonne di marmo neoclassiche nella stanza si sentiva un caldo afoso. Le panche di legno e il parquet scricchiolavano, i fogli frusciavano e un mormorio interminabile riempiva l’aria.

Con il quarto giorno di dibattimento, il processo sarebbe giunto al termine. In mattinata erano state presentate le ultime perizie, ormai mancavano solo le arringhe finali. Il pubblico ministero Kehrer e il difensore Wonnegut erano già ai loro posti.

La presidentessa della corte e i suoi due assistenti entrarono nella sala con cinque minuti di ritardo.

La giudice si sedette senza dire una parola, limitandosi a chiedere il silenzio con un gesto. Poi si rivolse al pubblico ministero: «Prego, pronunci pure la sua arringa finale».

Intanto, le dita della segretaria che redigeva il verbale volavano sulla tastiera. Nonostante il silenzio di tomba, Dietz faticava a seguire il discorso. Le frasi riecheggiavano a lungo tra le lisce pareti di marmo dell’aula, creando un’acustica poco favorevole. Ma il pubblico ministero approfittò proprio di quell’atmosfera angosciante, che induceva i cinque giudici popolari a propendere per la colpevolezza dell’imputato.

Si aprì la giacca dell’abito confezionato su misura e si fece avanti. Era un uomo alto, sui quarantacinque anni, con un portamento eretto, tratti del volto spigolosi e uno sguardo affilato come un coltello, che dava un’impressione di rigore logico e competenza tecnica. Quello che diceva, doveva essere vero.

Si tolse gli occhiali e indicò l’imputato. «Thomas Wander possiede un’azienda di floricoltura grande e ben avviata a sud di Vienna. In realtà, potrebbe suscitare compassione, un cinquantenne taciturno e introverso, che se ne sta lì seduto da solo, mani e schiena piegate dal duro lavoro. Un giardiniere che per tutta la vita ha coltivato piante, preparato mazzi di fiori per il giorno di San Valentino e intrecciato corone per i funerali. Eppure il pubblico ministero ha dimostrato che quest’uomo ha ucciso in maniera spietata Benjamin, un orfano di sette anni. Ma non è tutto...»

Kehrer proiettò su uno schermo un’immagine che Dietz già conosceva. Una foto che mostrava i circa trenta bambini sulla scalinata dell’orfanotrofio Luce del sole. Un bambino, però, era stato depennato con una croce rossa. Un lieve mormorio si diffuse per la sala.

«Qui vedete Benjamin in una delle ultime fotografie all’orfanotrofio, vicino al personale e in mezzo ai suoi amici. Bambini e bambine sorridenti che in quell’istituto hanno trovato una nuova casa. Talvolta i piccoli si arrampicavano sulla staccionata ed entravano nella proprietà del vicino. Il vivaio di Thomas Wander era perfetto per giocare a nascondino tra le serre. Quindi quel 17 maggio, in cui è accaduto quanto segue...»

Kehrer fece una pausa, mentre la foto dei bambini era sempre proiettata alla parete. Che raffinatezza, pensò Dietz. Quella croce rossa avrebbe dato per tutto il tempo l’impressione velata che mancasse una parte, che il piccolo mondo innocente di quei bambini fosse stato disintegrato.

«Thomas Wander ha attirato il piccolo Benjamin in casa sua. Il giardiniere era già stato più volte sospettato di abusare sessualmente di bambini e adolescenti che abitavano nel vicino istituto. Ma finora nessuno era riuscito mai a dimostrarlo. A un tratto l’imputato diventa invadente e il piccolo Benjamin tenta di fuggire. Ma Thomas Wander vuole trattenerlo a ogni costo: il piccolo non deve raccontare a nessuno delle sue avance sessuali. Circolano già troppe dicerie su Thomas Wander e stavolta qualcuno avrebbe di sicuro approfondito l’argomento, rovinando la reputazione della sua azienda. C’è una colluttazione, il ragazzino oppone resistenza e alla fine Wander lo colpisce alla testa con un oggetto contundente.»

Il pubblico ministero si diresse verso l’imputato e lo fissò dritto negli occhi, ma Wander resse il suo sguardo senza scomporsi. «Il piccolo Benjamin giace supino e immobile sul tappeto nell’anticamera della casa di Thomas Wander e muore per la ferita alla testa. Thomas Wander non chiama aiuto. Rimane con le mani in mano a guardare morire il piccolo Benjamin. Il medico legale parla di cinque minuti. Ripeto, cinque minuti, signori e signore! Cinque minuti in cui si sarebbero potute prestare le prime cure! Cinque minuti in cui sarebbe potuto intervenire un medico del pronto soccorso. E invece cosa fa Thomas Wander?»

Kehrer si toccò la fronte. «Il suo cervello lavora con la precisione di un orologio. È subdolo, spregiudicato, freddo e calcolatore. Simula con astuzia il suicidio del ragazzino. Perché c’è solo una possibilità per nascondere quell’omicidio... e Thomas Wander sa cosa fare!»

Il pubblico ministero si staccò dal banco degli imputati e camminò per la stanza. «Si infila subito i guanti da lavoro, esce all’aperto, con una pietra spacca la porta a vetri all’altezza degli occhi di un bambino di sette anni, forza il suo armadietto con le armi, estrae la pistola e inserisce un caricatore. Nel frattempo il ragazzino è già morto.» Kehrer fa una pausa. «Persino un medico legale mediocre avrebbe scoperto che quel colpo è entrato nel cranio post mortem, perché sono ancora riconoscibili le tracce del colpo inferto con l’oggetto contundente. E questo Thomas Wander lo sa.»

Dopo quella dichiarazione il pubblico ministero rimase immobile davanti alla giuria popolare. «Perciò prende dalla cucina una brocca di succo di sambuco, lo somministra a Benjamin ormai morto, preme la canna della pistola nella bocca del bambino, avvolge le dita attorno al manico e al grilletto, direziona la canna verso il palato e spara.»

L’immagine sullo schermo alle spalle del pubblico ministero cambiò. Alcuni membri della giuria chiusero gli occhi, altri si voltarono. Dietz conosceva già quelle immagini e sperava che almeno nella sua arringa finale Kehrer ci rinunciasse.

Ma il pubblico ministero voleva ricorrere a ogni mezzo a sua disposizione. Abbassò il tono di voce. «L’osso del cranio esplode per il colpo in bocca. La pressione spacca l’intero occipite. Il cervello fuoriesce. Tutte le tracce del colpo precedente sono cancellate. Ma non basta. Thomas Wander è di gran lunga più raffinato. Fa sparire tutto il suo vestiario, pullover, guanti, pantaloni, persino calzini e scarpe, affinché la Scientifica non riesca a trovare tracce né di sangue, né di polvere da sparo. Per ultimo fa sparire anche l’oggetto contundente con il quale ha colpito alla testa il piccolo Benjamin e si procura un alibi.»

L’immagine cambiò di nuovo e mostrò la fotografia precedente sulle scale dell’istituto.

«Pensate che queste accuse siano tirate per i capelli? Nel corso del dibattimento abbiamo presentato prove sufficienti a dimostrare la colpevolezza di Thomas Wander, nonostante tutti i suoi sforzi. Primo punto: l’ora della morte. La coppia che abita nella casa vicina ha sentito lo sparo alle 15.15 esatte. Sulla base della coagulazione del sangue, tuttavia, il medico legale ha fissato l’ora della morte di Benjamin alle 15.10», dichiarò Kehrer. «Cinque minuti prima dello sparo! I cinque minuti necessari a Thomas Wander per inscenare il suicidio di Benjamin.»

Kehrer lasciò ai giudici popolari il tempo necessario per assimilare quelle informazioni. Dietz era impressionato dall’insistenza con cui il pubblico ministero ripeteva il nome del ragazzino, come se volesse dare l’impressione di conoscerlo di persona.

«Secondo punto: l’alibi», disse Kehrer. «L’imputato ha sostenuto che all’ora del delitto si trovava da suo fratello, un disoccupato ai margini della società, di dieci anni più giovane di Wander. Ricordate certamente, signore e signori, che durante l’interrogatorio è andato in tilt e si è contraddetto più volte. Dunque a buon diritto possiamo dubitare di questo alibi costruito a tavolino.»

Kehrer fece un’altra pausa retorica.

«Terzo punto: la perizia psichiatrica. Thomas Wander dispone di una mente precisa e perspicace e ha la capacità di reagire in maniera fulminea. Di conseguenza non ha mai perso la testa, mentre inscenava il suicidio del ragazzino. In ogni istante ha avuto sotto controllo la situazione. Ma il dato cruciale è che potrebbe uccidere ancora.»

Kehrer attese alcuni secondi. «Infine, l’ultimo punto dell’argomentazione, il più importante: la TAC sul cadavere. Desidero ricordarvi la spiegazione del medico legale. La tomografia assiale computerizzata viene usata solo da poco tempo per l’analisi dei cadaveri e consente al medico legale di non lasciarsi sfuggire alcun dettaglio. Perché non appena si incide il corpo con il bisturi, fuoriescono gas che modificano la disposizione originaria.»

Kehrer spalancò le braccia, era perfettamente a proprio agio e sembrava certo di avere la vittoria in pugno, non appena avesse presentato nell’aula le prove scientifiche inconfutabili. «Signore e signori! Con la TAC si possono visualizzare frammenti ossei e schegge di proiettili senza aprire il corpo. Ma torniamo alla salma del piccolo Benjamin.»

Sullo schermo comparve la fotografia di un polmone, che Dietz aveva già visto il giorno precedente.

«In questa inquadratura vedete tre piccoli punti bianchi nel polmone di Benjamin. Dopo che l’assassino gli ha fracassato la testa, il bambino ha inspirato minuscole schegge provenienti dal suo stesso cranio, che si erano staccate a causa del colpo alla nuca. Quindi subito dopo il colpo alla testa Benjamin era ancora vivo e la ferita da arma da fuoco gli è stata inferta post mortem.»

Kehrer abbassò le braccia. «Signore e signori, mi accingo a concludere. Thomas Wander è già stato sospettato più volte di abuso su minori. Finora i sospetti su di lui non sono mai stati provati, ma ora le sue pulsioni sessuali hanno avuto come conseguenza un terribile omicidio, lucido e calcolato.»

Con un gesto teatrale camminò lungo la fila dei giudici popolari. «Potrebbe accadere di nuovo. Allo stesso modo, o magari in maniera più spaventosa. Io chiedo che l’imputato sia condannato per omicidio e pretendo il massimo della pena: detenzione a vita e ricovero in un istituto psichiatrico giudiziario. Grazie.»

L’immagine alla parete andò in dissolvenza, lo schermo tornò bianco. Un silenzio imbarazzato dominava la sala della corte d’assise. Poi le prime sedie cominciarono a spostarsi strusciando a terra e si sollevò un mormorio. La maggior parte degli sguardi era rivolta al viso stoico di Thomas Wander.

Dietz non riusciva a giudicare cosa passasse in quel momento per la testa del giardiniere. Era davvero un assassino? In caso contrario, come si sentiva? Le prove sembravano schiaccianti. Dietz sapeva che il difensore di Wander non era affatto un novellino, ma cercare di toglierlo dai guai sembrava un’impresa ai limiti dell’impossibile.

«Silenzio», ordinò la giudice. «La parola al difensore.»

«Grazie.» Wonnegut si alzò. Doveva avere poco più di sessant’anni, aveva ricci e folti baffi grigi e a differenza del pubblico ministero indossava un paio di pantaloni di lino e un gilet marrone. Il suo sguardo diceva tutto: era in ballo la colpevolezza o l’innocenza del suo assistito, e lui era pronto a lottare.

Iniziò l’arringa finale con una citazione. «Come sapete, siamo tutti uguali davanti alla legge... ma non davanti ai dispensatori di giustizia! Siete qua per decidere il destino di un uomo. La sua vita è nelle vostre mani. Spero che le prove suggestive e sommarie esposte dal pubblico ministero non vi abbiano privato del vostro prezioso spirito critico. Dunque...» Wonnegut si tolse gli occhiali e li pulì con un fazzoletto. «Concedetemi di rettificare alcuni punti.»

Camminò per la stanza. «Vi ho già fornito le prove che dimostrano come negli ultimi tre anni nell’orfanotrofio Luce del sole si siano verificati diversi casi di violenza e abusi sessuali su minori. Ogni volta i sospetti sono ricaduti solo su...» Wonnegut alzò la mano. «... Infermiere e assistenti. Tre di loro sono stati licenziati, tuttavia non hanno subito conseguenze giuridiche. È uno dei capitoli più oscuri dell’assistenza pubblica ai minori di Vienna. Dunque gli orfani non erano affatto felici come desidera farci credere l’accusa. Ma ora il tragico suicidio di un bambino impone al pubblico ministero di consegnarci un capro espiatorio. Abbiamo solo un sospettato e una testimonianza traballante, eppure si presenta già un individuo all’opinione pubblica rappresentandolo come un mostro. Il caso viene trattato in fretta e furia. Stendiamo subito un velo su quanto accaduto. Ormai sono trent’anni che lavoro come difensore e ve lo posso assicurare: è il classico modo in cui si procede quando si vuole dissimulare il fallimento delle autorità.»

Wonnegut si rimise gli occhiali. «Voglio ricordarvi in breve i fatti fino al momento della morte: la coppia di anziani è stato interrogata solo due giorni dopo l’incidente. Lei ha settantaquattro anni, lui ottantuno. Voi, signore e signori, siete nettamente più giovani. Sareste davvero in grado di stabilire se due giorni fa avete sentito uno sparo alle 15.11 o alle 15.16? Io no. Abbiamo dimostrato che all’ora del delitto la coppia si trovava in camera da letto, dove non c’era né una radio né una sveglia a fornire una possibile ora esatta... Ve l’abbiamo dimostrato. Inoltre lo studio della coagulazione del sangue non consente di stabilire i minuti esatti in cui è avvenuta la morte del soggetto. Dunque affermare che esiste una discrepanza fra il momento della morte e lo sparo è oltremodo dubbio.»

Dietz avvertì un brivido lungo la schiena. Quell’uomo era in gamba! Wonnegut andò dai giudici popolari e si puntellò sulla balaustra di legno con un fare paterno ma umile. «Veniamo ora all’alibi dell’imputato. Il pubblico ministero ha tentato di screditare l’unico teste. Il fratello minore di Thomas Wander non è disoccupato. Spesso aiuta suo fratello nel vivaio, ma non può avere un lavoro regolare perché soffre di Parkinson. Ma durante l’interrogatorio né la polizia giudiziaria, né il pubblico ministero hanno tenuto conto della sua malattia, mettendolo sotto pressione per far vacillare l’alibi dell’imputato. Ancora una volta, dunque, notiamo nel pubblico ministero la disperata volontà di montare un’accusa.»

Wonnegut arretrò di un passo ma restò davanti ai giudici popolari. «Terzo punto: la perizia psichiatrica. ’Potrebbe uccidere ancora!’ Signore e signori... Provate a pronunciare questa frase per assaporarla meglio, vi prego. ’Potrebbe uccidere an-co-ra!’ Non è neppure stato dimostrato se in vita sua abbia davvero già ucciso, e la psichiatra sostiene che potrebbe farlo di nuovo. E a oggi ci deve ancora mostrare le prove in base alle quali è giunta a questa conclusione. E desidero richiamare alle vostre menti un’altra contraddizione non trascurabile: se davvero Thomas Wander ha agito con precisione e con una mente lucida, avendo sempre la situazione sotto controllo, come sostiene la psichiatra, allora, vi domando io, perché avrebbe reagito in modo così irrazionale alla presunta fuga del ragazzo?»

Wonnegut assunse un atteggiamento informale, si infilò le mani in tasca e dondolò sulle punte. «Veniamo ora alle tracce. Quando qualcuno simula un incidente domestico, crea degli indizi che lui ritiene giusti ma che spesso lo tradiscono. Qui invece non si trova nessuno dei classici errori che si incontrano in una messinscena. Il pubblico ministero è stato addirittura costretto ad affermare che Thomas Wander, un giardiniere con la schiena storta e le dita curve, ha compiuto un lavoro perfetto. Dunque vi chiedo: da dove ha ricavato queste nozioni un giardiniere? Come fa un giardiniere, per di più sotto stress, a produrre nel giro di pochi secondi una scena del crimine così perfetta che neppure la Scientifica riesce a scoprire una singola incongruenza?»

Wonnegut fece un respiro profondo. «Ieri abbiamo saputo che le tracce di polvere da sparo nascono dai residui della carica propellente del caricatore. Si tratta di particelle minuscole, ancora rintracciabili dopo giorni. Eppure non sono state trovate né sui vestiti, né sulla pelle dell’imputato. Sì, non è stato trovato neppure il misterioso oggetto contundente di cui il pubblico ministero parla di continuo. Finora si è trattato di pura finzione. Hanno trovato solo tracce di polvere da sparo sulle dita del ragazzino morto. Se Thomas Wander fosse stato un mago o un perito con solide competenze tecniche, e non si fosse trovato sotto stress e tensione, probabilmente avrebbe anche potuto ottenere un risultato simile... Ma nel suo caso entrambe le condizioni non sono plausibili.»

Wonnegut alzò le spalle, mentre la sua voce assumeva un tono paterno: «Che cosa ha fatto il pubblico ministero? Ha ordinato alla Scientifica di passare al setaccio tutti i bidoni dell’immondizia nell’arco di un chilometro dal luogo del reato. Non è stato trovato alcun capo di vestiario con tracce di polvere da sparo. Tanto meno con tracce di bruciatura. Thomas Wander non ha né nascosto né distrutto i suoi vestiti e i suoi guanti. Ma gli ispettori hanno perquisito il bidone della spazzatura dell’orfanotrofio? Hanno analizzato i vestiti del personale? Hanno cercato tracce di polvere da sparo sul personale dell’orfanotrofio? No. E ora vi svelerò il motivo: quell’orfanotrofio è tabù! Viene finanziato con i fondi del comune di Vienna. È uno dei temi al centro della campagna elettorale. E per di più il direttore dell’orfanotrofio Luce del sole è fratello del ministro degli Interni».

Un lieve mormorio tra il pubblico.

«E se in realtà si fosse trattato di un suicidio oppure magari persino di un raffinato omicidio inscenato a casa di Thomas Wander da uno degli assistenti dell’orfanotrofio?» Wonnegut scosse la testa. «Il fatto che la polizia giudiziaria non abbia indagato in tal senso fa sorgere più di un dubbio.»

La giudice lanciò a Wonnegut un’occhiata impassibile.

«Veniamo infine all’ultimo punto: la perizia del medico legale. Mi ha lasciato davvero deluso. Abbiamo appurato che, per motivi inspiegabili, il dottor Garke viene ancora impiegato come perito legale nonostante i numerosi errori di giudizio che hanno segnato la sua carriera. Non voglio certo accanirmi sull’argomento, perché sappiamo tutti a quale enorme pressione sono sottoposti i medici. Desidero solo richiamare di nuovo l’attenzione sul fatto che la nostra controperizia non è stata ammessa, dunque non abbiamo potuto provare se ancora una volta siamo stati testimoni di una valutazione sbagliata.»

Wonnegut dondolava di nuovo sui piedi. «Concludo la mia arringa affrontando la prova più importante presentata dall’accusa. Tre piccoli punti individuati grazie alla TAC al polmone. A quanto pare schegge dell’osso cranico, che il bambino avrebbe inalato e che dovrebbero dimostrare che è morto in conseguenza del colpo alla testa. Ma durante l’autopsia queste schegge non sono state trovate. Restano fantasmi su una foto in bianco e nero.» Wonnegut roteò per aria la mano.

«Ricordiamo che nel giorno in questione alle 12.30 i bambini hanno pranzato. Il menù prevedeva salsicce di tacchino con spinaci e macedonia di frutta come dessert. Ma quando ho chiesto al medico legale se sulla base della TAC fosse in grado di stabilire se nello stomaco del ragazzo ci fossero resti di una macedonia di mele o pere, non ha saputo rispondere alla mia domanda.»

Wonnegut inclinò la testa. «Signore e signori, questo nuovo metodo che un giorno sostituirà l’autopsia, tanto elogiato dal pubblico ministero, non permette nemmeno di distinguere se una persona abbia ingerito una mela o una pera. A maggior ragione risulta difficile affermare con certezza che quei puntini bianchi sulla TAC fossero minuscole schegge del cranio della vittima, inalate mentre lottava tra la vita e la morte. Fintanto che non ci potremo fidare al cento per cento delle immagini di un computer, spero che in futuro si continuino a eseguire le classiche autopsie.»

La giudice guardò l’ora e Wonnegut con un cenno del capo le diede a intendere che aveva capito.

«Signore e signori, vi invito a non correre il rischio di condannare un uomo la cui colpevolezza non è stata dimostrata in maniera univoca. Ho concluso. Grazie.» Wonnegut tornò al suo posto.

La giudice si rivolse all’imputato. «A lei l’ultima parola. Desidera aggiungere altro, o condivide le parole del suo difensore?»

Thomas Wander si alzò e si voltò verso i giurati con uno sguardo che sembrava quello di un uomo costretto a vendere nel proprio negozio un mazzo di fiori per il funerale del suo stesso figlio. «Sono un giardiniere, coltivo fiori e voglio rendere felice la gente. Non farei mai del male a nessuno, figuriamoci a un bambino.»

Si sedette e poco dopo i giudici popolari si ritirarono per deliberare.

Dietz non si lasciò distrarre dal mormorio e dallo strascichio delle sedie attorno a lui e continuò a scrivere sul suo bloc-notes. L’articolo si componeva quasi da solo e le pagine del taccuino si riempirono rapidamente.

«Lei è un giornalista?» domandò all’improvviso una signora sulla settantina curata e affascinante, che fino a quel momento era rimasta seduta vicino a lui in silenzio.

Dietz sollevò lo sguardo. Difficile che fosse una collega. Piuttosto forse una curiosa, che aveva rimediato un posto in terza fila.

«Cosa ne pensa? È stato lui?»

Dietz dondolò la testa perplesso. «L’importante non è se è stato lui o no, ma se i giudici popolari credono che sia colpevole o innocente.»

«Lei cosa pensa? Non ci sarà alcuna sentenza?»

«Difficile a dirsi.» Dietz mise da parte la matita. «Secondo alcuni studi i giudici popolari stabiliscono già molto presto, spesso addirittura durante l’arringa di apertura, se qualcuno è colpevole o meno. Registrano puntualmente le prove che confermano le loro prime impressioni e respingono le argomentazioni contrarie.»

In segreto Dietz pensava che il difensore avesse tratto vantaggio proprio da quello. Wonnegut non era certo un brillante giurista ma di sicuro era un ottimo psicologo, che sapeva giocare con le emozioni dei giurati.

«Perché le interessa il caso?» le domandò.

«Sono la madre di Thomas Wander.»

Dietz la fissò a lungo e vide un’ombra di ansia nei suoi occhi, che passavano nervosi dal suo volto al quaderno di appunti. All’improvviso fu investito dai sensi di colpa, perché lui stava scrivendo un resoconto scandalistico, mentre la donna vicino a lui temeva per la libertà del figlio.

«Lei cosa pensa?» domandò Dietz. «Suo figlio è un assassino?»

Ci mise un po’ prima di rispondere. «Spero di no.»

D’un tratto si aprì la porta e nell’aula calò il silenzio. Dietz sollevò lo sguardo. I cinque giudici entrarono e presero posto sul podio. Per la prima volta in tutta la giornata la presidentessa della corte sbatté il martello sul banco.

«Dopo quindici minuti soltanto di deliberazione i giudici popolari hanno raggiunto un verdetto unanime.»

Una decisione insolitamente rapida! Tutti nella sala rimasero immobili. Dietz ebbe l’impressione che l’intera platea nella grande sala della corte d’assise stesse trattenendo il fiato.

La giudice lanciò una breve occhiata al pubblico ministero e al difensore. «Dopo una breve ma intensa deliberazione i giudici popolari dichiarano l’imputato...»