41

Alle dieci di mattina Sabine era nella sua macchina e lasciava Wiesbaden diretta a est. Presto si ritrovò in campagna. Le sfilavano davanti campi, vigne e trattorie.

Il sole stava sbucando dalla cresta di una montagna. Sabine si mise gli occhiali scuri e imboccò la curva successiva. Sneijder abitava da qualche parte in quella zona. Dopo alcuni chilometri il navigatore le indicò di lasciare la strada principale e proseguire per un sentiero di campagna lungo un ruscello, finché non arrivò in una radura circondata da colline coperte di boschi. Le venne incontro un’ambulanza e subito dopo averla incrociata si rese conto che la strada terminava davanti a un vecchio mulino in disuso.

Prese dal sedile del passeggero la busta rigida che quella mattina aveva ricevuto dal direttore Hess in persona e scese dall’auto. Il mulino le ricordava le fattorie bavaresi: tetto a scandole rosse con finestre a timpano, comignolo con gallo segnavento in rame, persiane, fioriere e un’edera che risaliva la parete aggrappata al graticcio. Vicino all’ingresso del terreno vide una grande botte di legno con appeso un cartello:

MAARTEN S. SNEIJDEROSPITI SGRADITI

Tipico!

Il ruscello lungo il quale era passata con l’auto scorreva attraverso l’edificio, dentro il quale senza dubbio fino a qualche decennio prima veniva macinato il grano. Ora invece ci abitava il peggior misantropo che Sabine avesse mai incontrato.

Sneijder era stato dimesso dall’ospedale quella mattina e l’ambulanza lo aveva portato là da Norimberga. Ora era seduto su una sedia di vimini sulla terrazza di pietra coperta dalla sporgenza del tetto. Indossava il suo abito scuro e una camicia pulita, sotto la quale Sabine intravide il petto fasciato, e si godeva il sole mattutino. Dall’angolo della bocca gli spuntava un mozzicone e tutt’intorno aleggiava un odore sospetto di erba. Di sicuro lo avevano imbottito di antidolorifici. Ma, nonostante le ferite, era più in forma che mai. La certezza di aver catturato un assassino per lui era pura energia. Ma la sua gratificazione non era destinata a durare a lungo.

«Buongiorno», lo salutò Sabine.

«Vuole di nuovo costringermi a parlare con lei?» mormorò senza voltarsi.

Sabine ignorò il commento e proseguì. «Non sapevo che abitasse così lontano da Wiesbaden», disse. «Mi domando come faccia ad arrivare in ufficio senz’auto.»

Sneijder accennò all’angolo della casa. «Con un mezzo di servizio.»

Sul fianco del mulino c’era una piccola serra su cui si riflettevano i raggi del sole. Là dentro Sneijder coltivava tutta la roba che fumava. Una bici era appoggiata alla cisterna dell’acqua piovana.

«Immagino la usi solo fino alla strada principale.»

«Sì, poi là mi vengono a prendere. Dato che non sono tutti i giorni nel mio ufficio o all’accademia, è fattibile. Di solito lavoro qui.» Sneijder spense lo spinello e osservò Sabine. «Perché non è a lezione? Se continua a saltare i corsi Hess le imporrà di sostenere degli esami.»

«Non sarà più necessario.»

Per quel sabato mattina era in programma «Crimini informatici», ma per lei non aveva più alcuna importanza. Senza commentare gli diede la busta.

«Verdomme, quindi alla fine l’ha fatto sul serio», imprecò Sneijder senza neppure aprirla. «La mediocrità di Hess è pari solo alla sua totale mancanza di carattere. Non posso credere che quello zuccone le abbia davvero revocato il posto all’accademia.»

Annuì, anche se «revoca» non era proprio la parola adatta. Il suo rapporto di lavoro era stato annullato con effetto immediato.

«Ho tempo fino a lunedì mattina per rimettere in ordine la mia stanza. Poi mi faranno avere una settimana di stipendio.»

Sneijder ci pensò su per un po’ poi disse: «Quando Hess finalmente riconoscerà di essere un incapace avrà il suo primo e unico lampo di genio. Si sieda».

«Grazie, ma sono solo venuta per salutarla.»

«Si sieda!» ripeté lui. «Le prometto che farò il possibile per permetterle di restare all’accademia.»

Lei rimase in piedi. «Non ha alcun senso. Hess aspetterà la prossima occasione per sbattermi fuori e nel frattempo mi renderà la vita un inferno.»

In quel momento un cane lungo e grassottello sfrecciò sulle sue zampe tozze verso il vecchio mulino, con le orecchie al vento. Sabine non riconobbe di quale razza fosse. Notò solo che era a chiazze bianche e senape.

«Mi tenga lontano quel cagnaccio!» gridò Sneijder, ma l’animale era già corso sul terrazzo e gli era saltato sulle gambe.

Era un bassotto e aveva un collare, ma il pelo era tutto annodato. Mise le zampe anteriori sulle spalle di Sneijder e gli leccò la guancia.

«Giù!» ordinò Sneijder, ma il cane non ubbidì.

«Devo sparargli?» domandò Sabine.

«Davvero lo farebbe per me?» Sneijder tentò di spingerlo giù, ma il bassotto gli si accomodò sulle cosce, acciambellandosi con il sedere penzoloni.

«Non so di chi sia, ma vieni qui già da sette anni.»

«E lei gli dà da mangiare», ipotizzò Sabine.

«Sì, e a volte dorme anche in casa.»

«Mi sa che allora lo tratta meglio delle persone che le girano intorno.»

«Almeno lui mi sta a sentire.»

«Cos’hanno detto i medici?» domandò Sabine.

«Al cane?»

Sabine alzò gli occhi al cielo.

«È solo una ferita superficiale, ricucita con cinque punti di sutura. Non ha perforato il polmone.»

«È stata colpa mia, mi dispiace», mormorò lei.

«Ora le dico una cosa!» esclamò Sneijder guardandola dritto negli occhi. «Solo chi non fa nulla, non commette errori. Non ci pensi più. Le cicatrici si rimarginano. L’importante è che abbiamo tolto di mezzo la coppia del video.» Accennò alla porta d’ingresso. «Potrebbe versare un po’ di croccantini in quella ciotola?»

Sabine gli fece quel favore, ma il bassotto ignorò il cibo e si mise a strofinare il muso contro la camicia di Sneijder come se non lo vedesse da settimane.

Sneijder gli posò la mano sulla testa.

«Mentre mi portavano qui in ambulanza ho parlato al telefono con Hess e ho tentato di tenerla fuori dalla faccenda di ieri.»

«Inutile... La polizia di Norimberga ha controllato la mia pistola e ha messo a verbale la mia dichiarazione.»

«Si poteva far sparire la sua testimonianza, così non sarebbe mai risultato ufficialmente che lei era lì durante la sparatoria. Mi sarei assunto io tutta la responsabilità, ma Hess sapeva già che lei era a Norimberga. Quel bastardo non vedeva l’ora di fregarmi.»

Sabine sapeva che nessuno avrebbe preso in considerazione il fatto che lei aveva catturato due assassini. La verità era che le sue indagini notturne le erano sfuggite di mano, un inquirente del BKA era rimasto ferito e una studentessa aveva sparato a un sospettato che in quel momento si trovava in terapia intensiva.

«Hess aspettava da anni questo momento. E di sicuro avrebbe preferito togliere di mezzo anche me. Ma non si preoccupi. Per prima cosa penserò a farla riammettere, così potrà concludere l’addestramento.»

«Grazie.» Non era abituata a vedere Sneijder così comprensivo e premuroso. Tanto più che era lei l’unica responsabile della propria espulsione. Ma c’era qualcosa che non le era chiaro. «Cosa intende con ’per prima cosa’?»

«Ah, niente», rispose lui grattando dietro l’orecchio il cane, che emise un guaito di piacere.

«Su, sputi il rospo!» tornò alla carica Sabine.

«Ah...» Sneijder alzò le spalle e sul viso gli comparve un’espressione dolorante. «Hess tenterà di avviare un processo disciplinare contro di me, perché le ho permesso di immischiarsi in un’indagine.»

«Mi dispiace.»

«Non è il caso! Non è la prima volta che Hess cerca di mettermi sotto pressione.»

«E se riuscirà a darle il colpo definitivo?»

«Allora me ne tornerò a casa», sospirò. «All’Europol.»

«Non rimpiangerà il BKA

«Il BKA è come un posacenere: più la roba si accumula dentro, più si sporca.»

«Cos’è successo tra lei e Hess?»

«Non sono affari suoi, scoiattolo.»

«Ma allora perché non lotta per conservare il suo di posto di lavoro?»

Sneijder guardò il sole. «Certo, mi potrei opporre, ma preferisco lasciare che Hess scateni la sua furia omicida contro di me.»

«Sembra quasi un saggio consiglio di Akiko.»

«Probabilmente lo è.»

Sabine posò sul tavolo la chiave dell’archivio di Sneijder e il suo tesserino del BKA. Infine tirò fuori dalla borsa la SIM del suo vecchio cellulare. «Nella vecchia segreteria c’è un messaggio lasciato da Erik Dorfer poco prima che gli sparassero.»

Sneijder la guardò con gli occhi sbarrati. «Cosa dice?»

«Purtroppo niente più di quel che già sapevamo.» Citò a memoria le ultime parole di Erik. «Poi si sente lo sparo. Dovrebbe far analizzare la registrazione da qualche perito informatico.»

«E me lo dice solo ora?»

«È stato lei a proibirmi le iniziative personali», gli ricordò.

«Vero, ma... lei è una... sarebbe diventata una grande detective.»

«Forse, ma la decisione di Hess è giustificata. Nel frattempo deve sapere che grazie al suo tesserino sono riuscita a entrare nella prigione di massima sicurezza di Weiterstadt e a parlare con Belok.»

«Lo sapevo già, il responsabile dell’inchiesta mi ha chiamato. Un perfetto idiota!» Scosse il capo. «Sa come la penso: per risolvere un caso di omicidio, ogni mezzo è lecito. Ha la mia approvazione.»

Sabine pensò di aver capito male. «Così, di punto in bianco? Due giorni fa mi ha messo in guardia contro le iniziative personali e mi ha detto di non ficcare il naso da nessuna parte.»

Sneijder sbuffò rumorosamente.

«Era esattamente questo il suo consiglio, nel caso se lo fosse dimenticato! Dovevo rimanere con i piedi per terra, anziché inseguire ipotesi assurde», aggiunse Sabine. «Perciò non ha senso che adesso approvi la mia intromissione.»

Sneijder abbassò la voce. «Mi odierà per quello che sto per dirle.»

Lei lo guardò sospettosa.

«Le chiedo scusa, ma dovevo farla uscire dal guscio.»

«Doveva cosa?»

Sempre con il cane in braccio, Sneijder si mise a sedere più dritto. «L’ho messa in guardia dal prendere iniziative, perché sapevo che solo così sarei riuscito a darle le motivazioni necessarie per mettere in campo le sue straordinarie doti creative.»

Sabine si sentiva come in una candid camera. «Lei ha...?» Boccheggiava.

«Erik Dorfer aveva scoperto qualcosa di grosso, ma non mi ha messo al corrente, e poi gli hanno sparato. Sapevo che esisteva solo una possibilità di ricostruire quei collegamenti. Ecco perché ho coinvolto lei.»

«Sapeva fin dall’inizio che i casi erano collegati tra loro, per questo ce ne ha parlato a lezione?»

«Lo avevo intuito», precisò lui.

«Porca puttana!» Sabine imprecò talmente forte che il bassotto sollevò la testa spaventato. «Lei mi ha usata!»

«Sì, ammetto di essere una carogna senza cuore.»

«Lei è una carogna senza cuore, un manipolatore privo di scrupoli!» gridò Sabine.

«Sono d’accordo. Chi non ha brutte abitudini probabilmente non ha neppure una personalità.»

«Allora lei dovrebbe esplodere di personalità, ma questo non la autorizza a giocare con me!»

«In fondo si tratta di catturare un assassino e acciuffare il tizio che ha sparato a Erik... Non importa con quale mezzo.»

«E io sono stato uno dei suoi attrezzi.»

«Lei ha quasi trent’anni, è pericolosamente curiosa e caparbia ed è stata fidanzata con Erik... Dovevo solo premere i tasti giusti.»

Sabine non poteva crederci. Era andata lì per scusarsi con Sneijder e salutarlo, ma ora avrebbe preferito strozzarlo. «Perché diavolo ha dovuto ricorrere a questi trucchi? Avrebbe semplicemente potuto concedere a tutta la classe l’accesso all’archivio online.»

«Non era possibile. Anni fa il direttore Hess ha tassativamente vietato di coinvolgere gli studenti nelle indagini in corso. Ma io sapevo che lei avrebbe trovato il modo di aggirare il divieto.»

«Ma perché non ha giocato a carte scoperte?»

«Suvvia!» Sneijder impostò la voce e sussurrò: «Signorina Nemez, sarebbe così gentile da aiutarmi nelle mie ricerche? Ecco i documenti. Riuscirebbe a scovare un collegamento?» Scosse il capo. «La conosco a sufficienza da sapere che non avrebbe mai funzionato. Lei è troppo testarda e cocciuta. Per stimolarla dovevo prima provocarla. E infatti ha dato il meglio di sé, una prestazione che gli altri possono solo sognare!»

«Sì, ma perché proprio io? Per la mia storia con Erik?»

«Di certo quello non guastava.»

Non guastava!

«E allora qual è il vero motivo per cui ha scelto me?» lo aggredì. «Ma, per favore, ’in tre frasi brevi e precise!’» aggiunse sollevando tre dita.

«Me ne bastano due: l’anno scorso, quando abbiamo dato la caccia al killer del caso Porcospino, ho notato che riusciva a immedesimarsi nell’anima dell’assassino come pochissimi altri. Lei ha un dono, un talento.»

«E lei ne ha abusato! Ecco perché quattro giorni dopo il tentato omicidio di Erik ha deciso di farmi entrare all’accademia saltando le selezioni!» lo aggredì di nuovo.

«Sbagliato. L’ho deciso la notte stessa.»

Se non avesse avuto in braccio quell’innocente bassotto addormentato e se non fosse stato ferito Sabine gli avrebbe mollato uno schiaffone.

«Magnifico», sbottò alzando le braccia per aria. «Ecco il vero motivo per cui mi ha mandato a chiamare. Non perché ho talento o perché sognavo di entrare finalmente nel BKA. No! Solo perché voleva usarmi.»

«No, perché avevo bisogno di lei.»

«Ora capisco anche perché vuole impegnarsi così tanto per farmi restare all’accademia. Si sente in colpa!»

Anche Sneijder alzò la voce. «Sa che non lo ammetterei mai, ma nel suo caso è proprio così. Sì, ho avuto bisogno di lei... E sì, mi dispiace! Perché lei è una delle migliori che conosca. Dio mio, cosa avrei dovuto fare? Hanno sparato a un agente federale, che era mio collega e suo fidanzato. Di cosa mi sta accusando, di aver cercato in ogni modo di risolvere il caso?»

Gli puntò il dito contro. «No, la accuso di non avermi messo al corrente delle sue intenzioni.»

«Non avrebbe funzionato, lo sa benissimo anche lei. Se dico ai miei studenti ’l’accesso è severamente vietato’, lei è la prima e l’unica a entrare subito.»

Che presuntuoso! Ma nonostante tutto il rancore che le ribolliva dentro doveva dargli ragione.

Tacquero un istante. Infine Sneijder prese dalla tasca della camicia uno spinello. «Disturba se fumo?»

«Spero si bruci!»

Lo accese.

«Non mi menta mai più!»

«Promesso.»

Sabine si abbandonò sulla sedia. «Continuerà almeno a occuparsi del caso per capire chi ha sparato a Erik?»

«Io?» domandò Sneijder. «E lei? Molla tutto?»

«Cos’altro dovrei fare? Devo lasciare l’accademia», rispose lei sconcertata.

«Lunedì mattina, ha detto. Oggi è sabato: abbiamo ancora due giorni.»

Aveva detto «abbiamo».

«Cosa propone?» domandò.

«Cosa propone lei?» replicò Sneijder. «È stata a Weiterstadt. Ne è valsa la pena? Cos’ha scoperto in quel carcere?»

Le ci volle ancora un minuto per tornare a galla dal suo abisso emotivo, poi gli raccontò di Belok. «Sostiene di non aver mai intrattenuto una corrispondenza con nessuno. Eppure ci sono due lettere inviate a Belok dal principale sospettato di allora, il dottor Jahn.»

«Conosco quelle lettere», disse Sneijder.

«Allora sa anche che devono esserci state più di due lettere. E poi c’è la questione delle risposte inviate al dottor Jahn. Se non le ha scritte Belok, chi è stato?»

«Ma Jahn non era l’assassino», obiettò Sneijder. «Lo hanno prosciolto per mancanza di prove.»

«Qualcuno però voleva che lo credessimo. Dove sono le altre lettere?»

Sneijder rifletté un istante. «All’epoca fu la giudice Auersberg a presiedere l’udienza contro Jahn. Abita a Wiesbaden. Se c’è qualcuno che può saperlo, è lei.» Posò a terra il bassotto e si alzò.

Il cane guardò in su con uno sguardo ingenuo e vide Sneijder mettersi la SIM nella tasca dei pantaloni, per poi infilare in un cassetto nell’anticamera la chiave dell’archivio e il tesserino.

«E adesso cosa facciamo?» domandò Sabine.

Sneijder chiuse a chiave la porta d’ingresso. «Andiamo a trovarla nella sua villa.»

«Semplicemente così?»

«Non ho molti amici a Wiesbaden, ma Auersberg è una di quelli.»

«Non l’aveva mai detto.»

«Non volevo farmi troppa pubblicità.» Sneijder prese il cellulare e selezionò un numero. «La avviso che stiamo per arrivare.»

«Ora?» sussurrò Sabine.

«Se non ora, quando? Mi accompagni! Immagino che nessuno all’accademia sentirà la sua mancanza.»

«Che charmeur!»

Mentre aspettava che Auersberg rispondesse alla chiamata, Sneijder fece sparire la chiave di casa nel fondo incavato di una lampada a petrolio appesa vicino all’ingresso. Notò che Sabine lo guardava e con le dita picchiettò sulla fondina della pistola.

«Se spiffera in giro questo segreto», sussurrò, «sarò costretto a ucciderla.»