GORE VIDAL
La rara felicità di questa trionfale riuscita di Gore Vidal si deve direttamente al geniale equilibrio–intreccio fra una secca trama di commedia slapstick, perentoriamente farsesca (le folli trame californiane del sensazionale travestito), e il background costantemente avvertito di una chiacchiera paradossalmente saggistica, camuffata da finto roman philosophique provvisto della seguente ideologia: i più scalcinati film hollywoodiani «di consumo» degli anni Trenta e Quaranta – attualmente oggetto di risate demenziali da parte degli adolescenti camp che li vedono per la prima volta nei late shows della televisione, nonché di seriose e pretestuose indagini da parte di una Kulturkritik da vaudeville - rappresentano in realtà il culmine dell’intera Cultura Occidentale. Non soltanto riassumendo definitivamente tutti i temi fondamentali di tutte le letterature europee, ma fissando una volta per tutte gli archetipi antropologici e i modelli di comportamento a cui si sarebbe attenuta per sempre l’intera società degli Stati Uniti. Tutto espresso e risolto in un’astuta parodia «highbrowper poveretti» dei radicalismi chic e degli entusiasmi professorali delle pensatrici tipo Susan Sontag.
Gli ambivalenti affetti del culto Camp per il gusto Kitsch di ieri ripescato dai late shows della tv di oggi e rivisitato dai Dorfles che rileggono Dwight MacDonald alla luce di Adorno corretto da Eco sulla base di un Lacan annusato da uno Snoopy che nulla più distingue da un Lévi–Strauss mordono quindi la coda a un Saussure godardiano sorpreso da Propp nell’atto di compiere i più virtuosistici 69 con l’aperta hard–core pornography dell’Olympia Press e della Grove Press in fitta parodia di se stessa per i buoni tramiti di Lolita e di Candy. Il testo originale trotta via brillantissimo attraverso rapide sprezzature fino a un’elaboratissima Scena Madre sado–giornalettistica, un po’ sforbiciata nelle edizioni inglese e italiana. Si suggerisce quindi una lettura scolastica «col testo a fronte», e che sia il testo del paperback americano.
(In seguito, il «leggendario classico underground» Magic and Myth of the Movies di Parker Tyler, 1947, verrà indicato quale fonte di Myra, giacché opera pioniera di una trattazione psicanalitica e buffa e assai camp del cinema passional–commerciale negli anni Quaranta più smandrappati e cheap).
Eppure, anche il Corsaro Nero talvolta piange? Quando Ravello conferì la cittadinanza onoraria a Gore, davanti a parecchi illustri ospiti quali Italo Calvino e Marella Agnelli e Sandro d’Urso, il sindaco nel suo discorsino sottolineò che la cittadina era sempre stata avara di riconoscimenti simili. Però stavolta si sperava in una buona pubblicità per il turismo americano.
Ebbene, sono certo di aver visto almeno una lacrima scendere lungo una gota della «belva» Vidal.