BURNHAM
Quanto tempo è passato da quando si leggeva e si citava La rivoluzione dei tecnici ovvero The Managerial Revolution… Ormai James Burnham è un vecchio signore prospero che somiglia a Truman e dirige la «National Review», un settimanale politico e di varietà che rappresenta per la destra conservatrice ciò che «The Nation», «The New Republic» e «The New Leader» sono per le diverse correnti socialiste e radicali. La sua preoccupazione principale è di fare dell’anticomunismo risoluto e aperto.
Parla con lo stesso tono di voce di Palazzeschi, anticamente, ma trova che i rapporti fra Stati Uniti e Spagna sono «interessantissimi» perchè dimostrano «come si possano ottenere benefici materiali per le due parti senza compromessi morali o politici», e sostiene: «Come sappiamo bene, sono due le interpretazioni che si possono dare della Russia sovietica.
Una, è che si tratti della continuazione storica dell’impero moscovita, che per parecchi secoli ha sempre mantenuto costanti le sue caratteristiche fondamentali di imperialismo e di espansione a ogni costo, con un potere largamente accentrato e fortemente autoritario. L’altra, considera l’Unione Sovietica come centro non di un impero ma di un movimento rivoluzionario mondiale, costruito sulla elaborazione di princìpi più ideologici che politici, in riferimento a fini e a mezzi non necessariamente in relazione con un particolare territorio. Non sarebbero diversi, per esempio, se la rivoluzione, invece che in Russia, si fosse svolta, come aveva in mente Marx, in Inghilterra o in Germania».
«Ora, è più importante l’aspetto “imperiale” dell’impresa comunista, o quello “rivoluzionario”? George Kennan è per la prima ipotesi, per esempio; mentre gli ex–comunisti sono invece generalmente per la seconda. Un esame degli epifenomeni che possiamo controllare non è molto risolutivo. La questione rimane da decidere.
«Si osserverà che le operazioni dello Stato sovietico procedono come quelle degli altri Stati, oggi: appaiono simili la struttura, l’organizzazione, le funzioni. Ma, attenzione: è solo una facciata. Sotto, l’apparato rivoluzionario opera senza rapporti nè somiglianze con l’organizzazione degli altri Stati democratici.
L’attenzione del nemico viene sistematicamente ingannata dall’apparato tradizionale: si vedono ambasciatori, conferenze di plenipotenziari, normali relazioni diplomatiche. Ma, all’erta! Nelle ambasciate russe si organizzano spionaggi e rivoluzioni: vedete per esempio cosa sta succedendo nell’America latina.
«L’impresa comunista, è noto, si propone come fine la dominazione totale del mondo: e non hanno intenzione di fermarsi finchè non ci arrivano. La loro condotta negli avvenimenti internazionali procede regolare, con continuità, senza far differenze tra la pace e la guerra, tra la verità e la menzogna, i convegni diplomatici e le rivoluzioni. Il nemico ripiega, si ritira, si riposa, è sconfitto? Loro avanzano. Ecco come è impossibile mantenere rapporti veramente normali. Avverto sempre tutti gli amici: tutte le volte che godete del pianista o del violinista russo, o ammirate la ballerina del Bolshoi, significa che state cedendo a una propaganda fatta con scopi precisi.
«Le armi della propaganda, la conferenza del romanziere, il saggio critico che impiega le risorse più fini della dialettica come del resto i viaggi dei presidenti – sono sullo stesso piano e hanno lo stesso valore delle armi della minaccia, missili e bombe. Tendono ugualmente a rompere la resistenza dell’avversario destando volta a volta le nostre simpatie o le nostre paure. Non dovrebbe esser lecito tenere un contegno così ambivalente.
I nostri concittadini, nella grandissima maggioranza, non potrebbero mai farlo: quando Eisenhower è contento, si vede benissimo; quando è seccato, si capisce bene lo stesso; e così anche gli altri. Sarebbe inconcepibile tenere un altro contegno, invitante e minaccioso, nello stesso tempo. E intollerabile, sconveniente, indecente. E in quanto poi alla storia della brinkmanship, sarebbe giusto, e nient’altro che giusto, far notare una volta per tutte che sono loro che vanno avanti nelle provocazioni fino all’orlo dell’abisso, fino al rischio di scatenare una guerra; non siamo noi. Guardate Formosa; guardate Berlino; cosa ne dite, eh?».
«E va bene, nel mondo oramai siamo rassegnati a questa divisione tra la zona della pace e la zona della guerra. Secondo quelli là, nella loro zona della pace sono tutti contenti, la pace è soprattutto sociale, i capitalisti non esistono, non esistono tensioni di nessuna specie, il socialismo va bene. Qui da noi, sempre secondo loro, invece si ha lo sfruttamento, si hanno le tensioni, le esasperazioni, le provocazioni, capitalismo, guerra.
Le repressioni, i campi di lavoro forzato in casa loro, quelle sono illusioni borghesi. E i loro successi diplomatici procedono sempre dal punto di partenza che la Russia difende una situazione provocata da lei stessa, ledendo diritti e interessi altrui; così, se le due parti fanno ciascuna un po’ di concessioni per arrivare a un compromesso, loro ci guadagnano sempre qualche cosa. Guardate Berlino, tutto il questionare indecente sulla legittimità dei diritti sacrosanti degli occidentali: è sconveniente, vergognoso, insopportabile.
«Poi c’è l’altro grosso problema di oggi, quello delle rivoluzioni di belle speranze. Tutte le terre sottosviluppate oggi fanno prove di forza, rivolte sociali, si aspettano la manna dal cielo.
Ma tutta questa gente dimentica un po’ troppo facilmente che una ascesa è possibile solo se molto lenta; e veramente si direbbe invece che la politica attuale dei leaders sottosviluppati faccia apposta e faccia di tutto per ostacolarla o bloccarla, questa ascesa.
«Apparentemente si direbbe che abbiano bisogno di aiuto; e invece no, il paradosso è che pare che facciano di tutto per farselo rifiutare da chi sarebbe in grado di darlo».
«Lasciamo da parte le questioni morali, per un momento.
Sappiamo tutti benissimo che per alzare lo standard di vita fra le grandi masse ci vuole del gran tempo. Prendiamo pure la civiltà occidentale, nel suo complesso: ma ci sono voluti sei secoli, in fondo, è nel quattordicesimo che si è cominciata a sentire questa preoccupazione, e a fare degli sforzi in questa direzione; e solo la generazione scorsa ha cominciato ad arrivarci, a toccare qualche cosa, attraverso tutta una serie di conquiste, di scoperte, non tanto tecniche o scientifiche, ma anche e special mente intellettuali, concetti giuridici, istituzioni politiche, che sovente sono stati difficili da elaborare e duri da mandar giù.
«E ridicolo, assurdo, che adesso i sottosviluppati arrivino qui e pretendano di mettersi in linea, e di avere in pochi anni tutto quello che gli altri hanno impiegato secoli per conquistare.
Sarebbe troppo comodo! Facciano anche loro un po’ di fatica, per piacere».
«Cosa dobbiamo fare, noi, d’altra parte? Qui, per progredire, si vede bene che quelli adoperano due sistemi: uno è quello del furto, del ricatto, dell’estorsione, come hanno fatto i russi nell’Europa orientale, dove hanno portato via tutto, e i cinesi pressapoco in casa propria. Ma non dura, non può durare, e bene non può andare a finire di certo. L’altro è il modo serio: si migliora aumentando la produttività del lavoro, proporzionalmente all’aumento della popolazione. Gli economisti le sanno bene, queste cose. Ma non esistono altre vie, non ci sono!
«Adesso, per alzare il tenore di vita, mi domanderete, come si fa? Due maniere, anche qui. Una è migliorare l’organizzazione delle forze del lavoro, curare le federazioni agricole, i sindacati operai, migliorare l’educazione, sviluppare la formazione professionale. L’altra è favorire l’accumulazione del capitale, migliorare le fabbriche, perfezionare le macchine, gli strumenti, i metodi di produzione, l’illuminazione, le condizioni igieniche. I paesi sottosviluppati come devono fare poveretti ad accumulare il capitale? Sono arance senza troppo sugo da spremere; e d’altra parte, o i soldi si prendono all’interno, o si vanno a cercare all’estero. Provino un po’ a chiederli alla Russia!
Per quanto, già Trotzkij diceva che le condizioni industriali in Russia erano ai suoi tempi tra le più progredite… se non altro perchè c’erano delle grosse fabbriche, con un numero enorme di operai a disposizione. Poi, in cinquant’anni, sono andati avanti, si capisce».
«La morale però è che intanto gli aiuti devono venire dalle nazioni avanzate; e appena arrivano, tutti sono pronti a gridare che sono forme di sfruttamento. Questa politica dei leaders sottosviluppati rende proprio impossibile qualunque aiuto. Come si deve fare? Il capitale, non si riesce a produrlo tanto facilmente, cosa credono? E allora, come ottenerlo? Avanti coi ricatti.
Guardate la Bolivia: per qualche generazione, con lo stagno, è andato avanti tutto bene: gran successo, niente da dire.
Poi, movimento rivoluzionario, su base un po’ trotzkista, rivendicazioni esagerate dei sindacati operai. Morale: rovinano tut to, e il pozzo si asciuga. Gli Stati Uniti, proprio per fini soltanto politici, mandano indubbiamente aiuti enormi; ma fino a un certo punto; poi ci si stanca, si dice di no.
«E Castro, non fa lo stesso? A Cuba quello che si distrugge è per prima la fiducia nelle basi stesse dell’economia del paese: con una politica demagogica e una distruzione “tecnica” del sistema economico si possono provocare per un po’ di tempo dei magnifici titoli sulle prime pagine dei giornali; ma di utilità, poca. Il capitale, invece di essere attirato, scappa. Lo stesso càpita con le espropriazioni in Indonesia, che finiscono unicamente per smembrare le strutture produttive di ricchezza».
«Naturale; tutti i paesi che hanno avuto l’indipendenza vogliono essere subito autosufficienti, senza nessun legame economico: naturale. Ma il simbolo dell’indipendenza, per la maggior parte, è “il nostro acciaio lo produciamo da soli”. E tutta questa brava gente dimentica che il mercato dell’acciaio è un mercato internazionale costituzionalmente legato a moltissimi fattori economici, sociali, produttivi, di condizioni tecniche, di abilità operaia, che non si improvvisano e non si cambiano facilmente, e meno che meno nell’ambito di un solo paese. Oppure, il prestigio dell’indipendenza recente si deve provare erigendo palazzi di governo enormi, università tutte “per figura”.
Ci sono enormi masse nel mondo che praticamente non migliorano in nessuna circostanza, ma con la politica sbagliata è anche meno probabile che ci possano riuscire.
«Una spiegazione ci dev’essere. Ce ne sono parecchie, anzi.
Una è che i leaders di questi paesi sono tutti ignoranti di economia; sanno tutto di filosofia, diritto, religione, scienze politiche; di economia, zero. Lo vediamo tutti i giorni. Sono anche malati di demagogia; e tengono soprattutto a destare le emozioni delle masse. Possibile che non riescano a trovare altri indirizzi? E vero che in molti casi quelle emozioni, in parte spontanee, in parte sfruttate a fini di propaganda, arrivano a un certo momento a un grado tale di intensità che i leaders non possono più ritirarsi, se non per essere sostituiti da altri più demagoghi di loro…».
Se si lascia cader lì a questo punto il nome del defunto senatore McCarthy, è facile oramai prevedere quale sarà la risposta di Burnham: è un uomo che ha fatto parecchie sciocchezze, però in fondo era lui che aveva ragione, non i suoi avversari liberali sempre disposti all’ appeasement.