I sensi dell’Avvoltoio potevano anche non funzionare al meglio, ma era ancora capacissimo di sentire l’odore di un ratto, se gli passava sotto il naso. Quel bastardo pagano di Jahan stava architettando qualcosa, ne era sicuro, ma cosa? E cosa diavolo c’entrava con i suoi piani un ometto insignificante che lavorava la pelle?

Prima che la domanda potesse trovare risposta, bussarono alla porta e Jahan disse: «Avanti!»

E chi entrò nella stanza, simile a un enorme budino di gelatina che tremava di paura, se non il console di sua maestà a Zanzibar in persona?

L’Avvoltoio aspettò mentre il compatriota britannico si inchinava, prostrandosi davanti al principe, poi disse, con voce gracchiante: «Buongiorno, signor Grey. Non mi aspettavo di rivedervi».

Cominciava ad abituarsi alle espressioni sconvolte, disgustate e nauseate, a stento celate (o addirittura esplicite, in alcuni casi estremi), che il suo aspetto suscitava. Lo sconcerto di Grey si dimostrò uno dei più profondi in assoluto. La sua bocca si aprì e si richiuse senza proferire parola, mentre lui cercava invano qualcosa di seppur lontanamente appropriato da dire, prima di replicare con un filo di voce: «Ma... ma... tutti vi credevano morto».

L’Avvoltoio tese quanto restava delle labbra in qualcosa di simile a un sorriso. «Evidentemente non lo sono. A quanto pare l’Onnipotente ha ancora dei piani per me in questo mondo piuttosto che nell’altro.»

«Allah è onnisciente e misericordioso, non c’è dubbio», replicò Grey, scoccando una rapida occhiata a Jahan per vedere se la sua professione di fede era stata apprezzata.

A quel punto fu Jahan a parlare. «Ora che voi signori vi siete ritrovati, lasciatemi spiegare lo scopo di questa udienza. Comincerò con il dire che vi ritengo personalmente responsabili dell’intollerabile perdita di vite umane e dei danni causati alle nostre navi mercantili da quel lurido infedele di Henry Courteney. È fervido desiderio del sottoscritto e del Gran Mogol in persona vendicarsi una volta per tutte di Courteney e dei suoi uomini. Ci ritroviamo, tuttavia, di fronte a un dilemma.

«Mio fratello sta concludendo in questi giorni un accordo con la Compagnia delle Indie Orientali in merito agli scambi commerciali fra le nostre terre e il regno d’Inghilterra. È convinto che un tale accordo procurerà enormi vantaggi e com’è ovvio non vuole mettere a repentaglio la prospettiva di ingenti ricchezze conducendo una pubblica campagna contro uno dei sudditi di sua maestà il re d’Inghilterra, soprattutto se proviene da una famiglia illustre.»

I Courteney, illustri?, si chiese l’Avvoltoio. Sarà un vero trauma per tutti i Lord e le nobildonne che non li hanno mai sentiti nominare!

«Di conseguenza, dobbiamo vendicarci in maniera discreta e sottile, utilizzando procuratori che possano fungere da prestanome. E chi potrebbe essere più adatto a quel ruolo di due uomini come voi? Avete entrambi ottimi motivi per odiare Courteney. Sapete qualcosa di lui e del suo modo di pensare, e sono sicuro che siete ansiosi di fare ammenda per i vostri recenti fallimenti, a causa dei quali molti sovrani meno clementi di me vi avrebbero fatto giustiziare senza tante remore.»

«Vostra maestà desidera forse che uccidiamo personalmente Courteney?» chiese Grey, con un tono di malcelato allarme.

«Be’, forse non con le vostre spade, no», lo rassicurò Jahan. «Temo che voi, console, non vi dimostrereste un degno avversario per quell’uomo; quanto al qui presente conte, non è riuscito a sconfiggerlo con due mani, quindi dubito che abbia molte possibilità di farlo con una sola. Ma sono sicuro che sarete in grado di architettare una maniera per ucciderlo. Potete trovarlo e intrappolarlo, anche se dovranno intervenire altri per finirlo. E a quel punto potete assumervi la responsabilità della sua esecuzione, perché chi non converrebbe che avevate motivo di togliergli la vita, dopo l’inganno in cui ha fatto cadere voi, console Grey, o l’orrendo djinn in cui ha trasformato voi, povero il nostro conte di Cumbrae?»

«E se non accettiamo di dargli la caccia per conto vostro?» domandò l’Avvoltoio.

Jahan scoppiò a ridere. «Suvvia, certo che accetterete! In primo luogo vi sto offrendo tutte le risorse, quanto a uomini ed equipaggiamento, necessarie per la vendetta che desiderate sopra ogni altra cosa. In secondo luogo, sia voi che il console Grey morirete oggi stesso, in questo edificio, se non accettate le mie condizioni. Sono un uomo misericordioso, ma non intendo subire un secondo torto e lasciare impunito quell’oltraggio.»

Grey si gettò a terra prostrandosi in un saluto. «Vostra altezza è troppo buona e misericordiosa con uno sciagurato come me. Sono onorato e grato oltre ogni dire di avere l’opportunità di servirvi in tal modo.»

«Sì, sì, console, grazie, ma vi prego, state in piedi come un uomo», replicò Jahan. Poi guardò l’Avvoltoio. «E voi?»

«Sì, accetto. E vi dirò dov’è sicuramente diretto quel bastardo infido, perché c’è soltanto un posto in cui vorrà andare.»

«Ogni cosa a suo tempo», ribatté Jahan. «Ma prima, Cumbrae, osservandovi nelle ultime settimane mi sono reso conto che la vostra pelle deve essere diventata particolarmente sensibile. Dubito che sarete in grado di sopravvivere al sole cocente o ai venti e alla schiuma marina che vi sferzerebbero, se mai doveste salire su una nave. Ho quindi commissionato una sorta di copricapo che vi proteggerà.»

Batté le mani e Ahmed, il pellettiere, aprì la scatola che aveva portato, estraendo quello che all’Avvoltoio parve una sorta di berretto di pelle o un cappuccio. Vi era impresso un disegno, ma, visto il modo in cui Ahmed lo stava tenendo, non riuscì a vedere esattamente cosa fosse.

Ahmed gli si avvicinò, lo sguardo rivolto a terra mentre camminava, come se avesse troppa paura per lanciare anche solo un’occhiata al viso del mostro che aveva di fronte. Quando lo raggiunse, si presentò un nuovo problema: lui era di almeno una testa più basso dello scozzese. Guardò con aria implorante Jahan, che annuì e disse: «Abbiate la compiacenza di chinarvi, Cumbrae».

«Non piego la testa davanti a nessuno!» esclamò l’Avvoltoio con voce stridula.

«Allora la perderete.» Jahan fece una pausa, poi riprese a parlare in tono conciliante. «Vi prego, non forzatemi la mano. Chinatevi e permettete a questo artigiano di fare il suo lavoro e io vi ricompenserò con tutto quello che vi serve per ottenere la vendetta che tanto bramate. Rifiutate di obbedirmi e morirete. Allora, cosa scegliete?»

L’Avvoltoio chinò il capo. Un attimo dopo fece una smorfia, poi gridò suo malgrado di dolore quando il cappuccio di pelle venne calcato e sistemato sulla sua pelle scorticata. Si ritrovò a guardare il mondo attraverso un unico foro per l’occhio, intagliato nel pellame molto aderente, che sembrava plasmato sul suo viso. Poteva respirare attraverso due aperture sotto le narici ma aveva volto e testa coperti, eccettuata la bocca. Un attimo dopo persino quell’apertura venne limitata, perché Ahmed tirò fuori un altro lembo di pelle, che andava a formare una sorta di coppetta sul mento. Fra questo e il resto della maschera c’era lo spazio necessario per muovere leggermente la bocca. Lui sentì tirare un lato del viso quando il lembo venne stretto, poi udì uno scatto molto simile a quello di un lucchetto che si chiude. Sì, adesso ne percepiva il peso.

Provò un improvviso empito di terrore. Sollevò la testa di scatto e il suo unico braccio integro colpì Ahmed, scaraventandolo a terra. Prima che potesse fare un’altra mossa i soldati lo raggiunsero. Uno di loro gli afferrò il braccio destro e glielo bloccò dietro la schiena, costringendolo a piegarsi.

Sentì ancora una volta su di sé le dita agili del commerciante mentre un ampio collare di cuoio veniva sistemato intorno alla sua gola e poi chiuso, come la maschera, con un lucchetto. Sentì Jahan che diceva: «Signor Grey, abbiate la bontà, se non vi dispiace, di porgere al vostro compatriota lo specchio posato sul tavolo alla sua destra. Sono sicuro che al conte piacerebbe vedere che aspetto ha adesso».

«D-d-devo...?» balbettò Grey.

«Vi prego», replicò Jahan, con calma e sangue freddo, «non costringetemi a rammentarvi qual è l’alternativa, nel caso rifiutiate.»

L’Avvoltoio sentì i passi strascicati di Grey avvicinarsi, poi il soldato che lo tratteneva gli lasciò andare il braccio e lui riuscì a raddrizzare la schiena. Quando sollevò la testa, i suoi occhi si ritrovarono a livello dello specchio, che distava solo due passi. Vide ciò che avrebbe visto il mondo e stavolta fu lui a gridare di disgusto.

La sua testa era completamente fasciata da un pellame dello stesso colore del tavolato impeciato di una nave. Grossolani punti di filo di pelle tenevano insieme i vari pezzi della maschera, disegnando sopracciglia arcuate, come quelle sopra un paio d’occhi intenti a lanciare uno sguardo furibondo, penetrante. A rendere l’effetto ancora più spaventoso, l’occhio mancante, dipinto con vernice bianca e nera, sembrava aperto e capace di vedere tutto, mentre il foro attraverso il quale l’Avvoltoio godeva adesso della sua visione pateticamente limitata del mondo pareva un buco nero, cieco. Il naso era un becco da predatore, lungo una spanna, che gli spuntava dal viso in una crudele parodia del suo soprannome. Altri punti trasformavano la bocca della maschera in un sogghigno maniacale perenne, reso ancora più orrendo dai frastagliati denti bianchi, inframmezzati da fessure nere come la pece, dipinti intorno all’orifizio attraverso il quale lui avrebbe dovuto parlare, mangiare e bere.

Una volta aveva visto una maschera simile appesa al muro nella casa di un mercante di schiavi portoghese, il quale l’aveva avuta dallo stregone di una tribù insediata nell’entroterra di Musa bin Ba’ik. Adesso quello era il suo viso... Non poteva sopportarlo.

Con un grido di dolore e frustrazione, si artigliò i lucchetti a lato della testa e del collo, come se le poche dita rimaste potessero tranciare il ferro che lo imprigionava, e nel farlo toccò un’ultima umiliazione: un anello metallico fissato al collare, sotto il mento. Capì subito cosa significasse. Se lui avesse scontentato Jahan o tentato di fuggire, avrebbero potuto incatenarlo a un muro oppure trascinarlo per le strade come un infimo animale da soma o un cane preso a frustate.

Cadde in ginocchio, distrutto. Era sopravvissuto al fuoco e al rischio di annegamento. Si era aggrappato alla vita quando l’oceano e il sole avevano fatto di tutto per annientarlo. Aveva sopportato una sofferenza al di là della comprensione di qualunque mortale e le occhiate disgustate di chiunque posasse gli occhi su di lui. Ma quella fu la goccia che fa traboccare il vaso.

Jahan lo raggiunse e gli si accovacciò accanto, sedendosi sui talloni, e gli tese una coppa metallica ornata con squisiti disegni di smalto blu, turchese e bianco. Parlando in tono sommesso, come avrebbe potuto fare con un puledro spaventato e furioso che fosse stato sellato per la prima volta, disse: «Ecco, questo è un sorbetto dolce, fresco. Bevi».

L’Avvoltoio prese la coppa e se la portò alle labbra. Cercò di inclinarla per bere, ma quella cozzò contro il naso adunco in pelle, e il liquido rimase dov’era. Lui girò la testa di lato e tentò di versarsi in bocca il sorbetto, che però gli colò sulla maschera senza che una sola goccia gli finisse in bocca. Mosse a scatti il volto mascherato, facendogli assumere ogni posizione possibile e immaginabile, senza riuscire a bere.

Di fronte a quell’esibizione, gli astanti ne rimasero prima ammaliati e poi divertiti. Grey non riuscì a trattenersi: eruppe in un risolino effeminato che fece scoppiare a ridere le guardie e poi anche Jahan. Ben presto la stanza echeggiò del suono delle loro risate, che sovrastò quasi completamente le grida di rabbia impotente dell’Avvoltoio. Alla fine lui scagliò via la coppa, e il frastuono che quest’ultima produsse rotolando sul pavimento di marmo zittì chiunque.

Jahan parlò di nuovo: «Sappi questo, tu che un tempo eri un nobile e il comandante di una nave: hai cessato di essere un uomo. Alzati e ti mostrerò come ti verrà dato da bere».

Batté le mani e un domestico di colore entrò nella stanza, reggendo un recipiente di rame con un lungo beccuccio, di quelli usati per annaffiare le piante. Si avvicinò all’Avvoltoio con gli occhi sgranati per l’orrore e, tenendo il contenitore il più lontano possibile da sé, lo sollevò e infilò il beccuccio nel foro della maschera corrispondente alla bocca. L’Avvoltoio vi serrò intorno le labbra e bevve l’acqua fresca con una foga e gratitudine patetiche, finché Jahan non batté di nuovo le mani e lo schiavo ritrasse il beccuccio.

«Verrai nutrito e abbeverato da schiavi, che adempieranno all’incombenza come punizione. Quando camminerai per la strada, le donne gireranno la testa dall’altra parte, spaventate dalla tua vista. Diventerai lo spauracchio dei bambini disobbedienti. I giovani desiderosi di dimostrare il proprio coraggio si sfideranno reciprocamente a lanciarti ortaggi, finché uno di loro sarà tanto stupido da farlo e verrà giustiziato dai miei uomini per la sua insolenza. E a quel punto la gente comincerà a temerti e a odiarti davvero.

«Ma, in confronto al tuo, il loro odio sarà un granello di sabbia paragonato a un possente deserto. Perché tutto il tuo essere verrà consumato dall’odio. E visto che tu sei logorato dall’odio, e io solo posso offrirti l’occasione di darvi sfogo, tu mi servirai.

«Quanto a te, Grey...» La voce di Jahan si fece gelida e severa, mentre guardava il console. «Lascerai la mia casa per non rimettervi mai più piede, se non con la testa di Henry Courteney su di un vassoio o con il mezzo per annientarlo. Portami una di queste due cose e la tua precedente posizione verrà ripristinata e potenziata, e tornerai a essere onorato fra il mio popolo. Fino ad allora, tuttavia, sarai considerato un paria. Ora vattene!»

L’Avvoltoio riuscì quasi a fare un sorriso dietro a quello sulla sua maschera mentre guardava Grey uscire dalla stanza, avvilito.

Jahan si rivolse ancora a lui: «Mi sono appena ricordato che sei un eunuco, quindi voglio concederti un dono speciale che non elargirei mai a nessun vero uomo: puoi farmi compagnia mentre ceno con le mie concubine preferite. Sono creature dalla bellezza perfetta, prelevate dall’India, dalla Persia, dalle steppe russe, e una persino da un villaggio di pescatori sulla costa della tua stessa isola. Saranno tutte felicissime di conoscerti. Probabilmente la più coraggiosa vorrà addirittura toccarti, solo per scoprire se sei vero. Com’è ovvio tu non potrai toccarle, né mangiare il mio cibo o sorbire le mie bevande. Ma potrai stare lì e deliziare il tuo unico occhio con i piaceri cui assisterai. Il giorno in cui Henry Courteney morirà ti lascerò scegliere una donna nel mio harem e farne tutto ciò che vuoi. Quindi pensaci, quando stasera ti coccoleranno. Immagina come appagherai i tuoi desideri. E chiediti se una qualsiasi di quelle donne, per quanto incantevoli, potrà mai darti un piacere pari a quello di veder morire Courteney».

 

 

Tre giorni più tardi, l’Avvoltoio ricevette l’ordine di effettuare la sua prima sortita nel mondo esterno. Vestito di una djellaba nera con cappuccio, sarebbe stato condotto alla zona portuale e riportato a palazzo, scortato da sei uomini di Jahan incaricati sia di proteggerlo sia di assicurarsi che non fuggisse. Avevano precise istruzioni di marciare tenendosi a distanza sufficiente da lui affinché chiunque gli passasse accanto potesse vederlo bene.

Proprio come Jahan aveva previsto, l’aspetto dell’uomo mascherato scatenò il panico fra quanti affollavano le strette viuzze di Zanzibar. Le donne si voltavano dall’altra parte e coprivano gli occhi ai figli. Gli uomini sputavano per terra al suo passaggio oppure sollevavano amuleti nazar per proteggersi dal malocchio che guardava torvo dal viso di pelle. Infine, mentre stavano attraversando una piazzetta circondata di botteghe e taverne, un balordo dal sangue caldo si piegò verso la fogna a cielo aperto che correva lungo un lato e con la mano sinistra, quella che usava per pulirsi il sedere, raccolse una manata di escrementi puzzolenti e li gettò contro l’Avvoltoio. Due guardie si lanciarono tra la folla e lo afferrarono prima che potesse fuggire. Mentre gridava insulti e maledizioni, il giovane venne trascinato in mezzo alla strada, dove lo aspettava il comandante del drappello, con la scimitarra sguainata, pronto a eseguire gli ordini di Jahan secondo i quali chiunque avesse aggredito in qualsivoglia modo l’Avvoltoio sarebbe stato giustiziato all’istante e pubblicamente.

Il colpevole si avvicinò, era un ragazzino di quattordici o quindici anni appena, una testa calda che aveva agito in preda all’incoscienza giovanile, senza pensare affatto alle conseguenze. Il comandante esitò. Era un brav’uomo, con un figlio maschio, e non desiderava privare una famiglia di quel ragazzo solo perché aveva manifestato il disgusto che tutti – lui compreso – provavano in presenza dell’uomo mascherato.

L’Avvoltoio notò la sua esitazione. Sentì i primi, nervosi appelli alla misericordia levarsi dalla folla. L’istinto gli disse che quello era un momento cruciale, capace di determinare se lui doveva essere considerato un mostro da temere o uno scherzo di natura da compatire, e sapeva benissimo quale delle due opzioni preferiva.

«Datemi la vostra spada!» ringhiò al comandante, quindi allungò la destra e gliela strappò di mano prima che l’altro potesse obiettare.

Gli occhi foschi sopra il naso a becco rivolsero il loro sguardo rapace sui due soldati che tenevano stretto il ragazzo. «Legategli le mani dietro la schiena!» ordinò. «E sbrigatevi, o giuro che il principe ne verrà informato.» I due, che sembravano quasi spaventati quanto il prigioniero, obbedirono all’istante. L’Avvoltoio sentì uno di loro rivolgersi al ragazzo e implorarne il perdono. «Silenzio!» intimò con voce stridula.

Il gravoso peso di un risentimento implacabile calò sulla folla che osservava la scena, ma nessuno proferì parola mentre il ragazzo veniva legato e costretto a inginocchiarsi. Aveva perso tutta la sua baldanza; adesso era solo un bambino terrorizzato e in lacrime quando uno dei soldati gli spinse giù la testa in modo da esporre la nuca.

L’Avvoltoio abbassò lo sguardo sulla nuda pelle scura del poveretto, sollevò la scimitarra e la calò con tutta la sua forza.

Mancò il collo.

La lama affondò invece fra le scapole del ragazzo. Un terribile, acuto gemito di dolore echeggiò nella piazza. L’Avvoltoio sollevò la lama rimasta incastrata fra le vertebre, la liberò con uno strattone e menò un nuovo fendente, stavolta colpendo il collo senza però riuscire a tranciarlo.

Servirono altri tre colpi, e il ragazzo era già morto – un cadavere tenuto fermo dai due soldati – quando la testa gli cadde finalmente dalle spalle, sul terreno polveroso. L’Avvoltoio indietreggiò, con il petto che si alzava e si abbassava, e si guardò intorno, facendo una rotazione completa mentre osservava la scena e i presenti, beandosi del terrore e dell’odio che vide dipinti su ogni volto. Quindi ordinò al comandante delle guardie: «Riportatemi a palazzo», e mentre i soldati si rimettevano in posizione intorno a lui pensò: Sì, dovrebbe bastare. Ho chiarito il mio punto di vista.

Il leone d'oro
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