Assalita da un conato, Judith scese dalla cuccetta, alla ricerca di un vaso da notte in cui vomitare. Quel malessere le salvò la vita, permettendole di scorgere le sagome scure che emergevano dalla foschia e si arrampicavano sulla poppa della Golden Bough, passando davanti alle finestre della cabina del comandante. Una di loro puntò i piedi sullo scafo e, aggrappata a una cima, oscillò come un pendolo e sfondò la finestra, piombando nella cabina.

Judith stava aspettando l’intruso, con addosso solo la camicia da notte ma con una sciabola stretta in mano. L’indecisione su cosa indossare per salire sulla Bough l’aveva salvata, perché la sua spada kaskara, invece di essere riposta in uno dei bauli e chiusa nella stiva, era stata messa nei bagagli diretti alla sua cabina.

L’uomo entrato dalla finestra per primo aveva appena posato un piede sul tavolato della cabina quando la punta della kaskara gli trafisse la gola. Judith estrasse la lama e, quando lui stramazzò a terra, ruotò su se stessa con l’agilità di una ballerina per fronteggiare il secondo intruso, che stava scavalcando goffamente il compagno ferito. Lo colpì alla base della schiena con un fendente selvaggio, impetuoso, che gli trapassò un rene, e l’uomo crollò ai suoi piedi dimenandosi, strillando e sanguinando.

Altri nemici continuavano a introdursi nella cabina, e lei capì che rischiava di farsi chiudere in un angolo: gli uomini che aveva abbattuto formavano una barriera, bloccandole parzialmente la strada verso la porta. Si mosse in fretta, combattendo per aprirsi un varco fino all’uscita, con la sciabola che lampeggiava a destra e a sinistra mentre lei parava, infilzava e mozzava, nel tentativo di difendersi da avversari sempre più numerosi. Parò un affondo sopra la sua spalla sinistra e abbassò di scatto la sciabola, affondandola nel braccio di un altro uomo, che tranciò quasi in due. Ma anche in mezzo a quella confusione la sua mente rimase calma.

L’esperienza conquistata con fatica le aveva insegnato che il segreto per sopravvivere era conservare la mente fredda, mentre quelli intorno a lei si lasciavano offuscare il cervello da rabbia e panico. Studiare il nemico. Guardarlo negli occhi. Leggergli nel pensiero.

Questo faceva mentre combatteva per la propria vita, e ciò che vide era la disperazione dei suoi nemici. Quegli uomini avevano uno sguardo spiritato, erano emaciati e denutriti. Se lei incrociava la sciabola con uno qualunque di loro per più di tre o quattro volte, sentiva l’energia dell’avversario dileguarsi man mano che la forza nel braccio che brandiva la spada diminuiva.

Era una figlia dell’Africa. Sapeva tutto sulla fame e sapeva riconoscere una vittima dell’inedia, quando la vedeva. Chiunque fossero quei razziatori, attaccavano con la frenesia selvaggia di chi non ha nulla da perdere. Judith sentì gli spari e le grida degli uomini impegnati in combattimento sui ponti soprastanti, e capì che anche Hal e il suo equipaggio stavano combattendo. Erano stati colti di sorpresa. Il destino della Golden Bough era appeso al filo di una lama, ma se lei e loro avessero resistito più a lungo delle energie del nemico, avrebbero potuto trionfare.

E dovevano assolutamente vincere. Judith doveva sopravvivere, non per se stessa, ma per il bambino che portava in grembo. Sentì una forza nuova, sconosciuta, montarle dentro, l’appassionata audacia di una leonessa che difende il proprio cucciolo, e capì che non intendeva – non poteva – arrendersi agli uomini che aveva di fronte. Altri due giacevano a terra, moribondi, quando raggiunse la porta della cabina. Si lanciò fuori, guadagnò un paio di istanti preziosi quando sbatté la porta dietro di sé, sfrecciò verso la scala che conduceva in coperta e salì affannosamente, aspettandosi di sentire da un momento all’altro la morsa di una mano maschile sulla caviglia. Non successe. Corse sul cassero, protetta dall’albero di mezzana, e si guardò intorno per orientarsi e capire come procedeva la battaglia.

Indugiò per un solo istante, ma bastò. All’improvviso sentì due mani che l’afferravano da dietro, una intorno alla vita e l’altra al collo. Venne sollevata da terra e, pur mulinando le braccia in un frenetico tentativo di liberarsi, non riuscì a fare nulla e i suoi sforzi parvero solo divertire l’uomo che la teneva prigioniera, il quale scoppiò a ridere e gridò: «Kapitein! Kijk eens wat ik heb gevonden!»

Judith non parlava l’olandese, ma riconobbe la lingua. Non le fu difficile indovinare cosa quel tizio stesse urlando al comandante. Conosceva Hal abbastanza da sapere che non avrebbe mai messo a rischio la vita della donna che amava, nemmeno per la Golden Bough. Chiunque aveva in mano Judith aveva in mano la nave.

Lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi e la sciabola sul ponte, e incassò la testa fra le spalle. La battaglia era persa, ed era tutta colpa sua.

 

 

Hal era in preda alla febbre della battaglia. Aveva visto uno spaventapasseri alto e magro stagliarsi dietro Judith e, capendo che lei era inconsapevole di quella nuova minaccia, aveva urlato un avvertimento, che si era perso nel frastuono della lotta. Amadoda e olandesi lo separavano dalla donna che amava, così si lanciò nella mischia tentando di aprirsi un varco con la forza, parando fendenti diretti contro di lui, colpendo ogni volta che era possibile e urlando vanamente in direzione di Judith. Quando riemerse da quel ribollente caos di acciaio, carne e fiammate di armi da fuoco, però, capì che era troppo tardi. L’uomo aveva un braccio di traverso sul petto di Judith, un coltello puntato alla sua gola e una guancia butterata dal vaiolo premuta contro la sua testa, come se ne stesse inalando il profumo.

Di fronte a loro era fermo un uomo che Hal identificò come il comandante della nave olandese, perché indossava un panciotto profilato di seta ed eleganti calzoni aderenti, invece degli ampi pantaloni di tela fermati sotto il ginocchio portati dalla maggior parte dei marinai. Confermò il proprio ruolo facendosi avanti, si tolse l’ampio cappello di feltro e lo sventolò nel fumo delle pistole che aleggiava sul ponte. Il sole aveva ormai lasciato l’orizzonte orientale cancellando la foschia del primo mattino, e Hal si rese conto che, se gli olandesi fossero arrivati un po’ più tardi, li avrebbe uccisi prima che potessero mettere piede a bordo. La sorte aveva favorito il nemico, a quanto sembrava.

«Inglesi!» gridò il comandante olandese, continuando a sventolare il cappello per attirare l’attenzione. «Mettete fine a questa follia! Non c’è bisogno di versare altro sangue.» L’accento era marcato, ma il suo inglese più che discreto. «Dov’è il vostro comandante?»

Hal avanzò, tenendo sollevata di fronte a sé la spada viscida di sangue, senza però fare alcun tentativo di usarla. A poco a poco si diffuse la consapevolezza che la battaglia fosse finita, benché il motivo della conclusione non risultasse ancora chiaro a molti dei partecipanti. Gli uomini abbassarono le armi, ansimando per riprendere fiato, alcuni urlando di dolore. Un marinaio stringeva nella mano destra il proprio braccio sinistro mozzato, e lo fissava come se non riuscisse a capire come fosse finito lì.

«Sono il capitano Sir Henry Courteney, comandante della Golden Bough», annunciò Hal, puntando la spada verso il comandante olandese, «e voi, signore, siete un codardo a farvi scudo con una donna.»

L’olandese si accigliò, poi lanciò un’occhiata dietro di sé. «Questa donna si è battuta come un uomo. Forse dovremmo trattarla come tale... Ohimè!» Si strinse nelle spalle e sul viso gli si dipinse un’espressione di disarmante cordialità. «Cosa importa, eh? Mettiamo fine a questo combattimento insensato e cerchiamo di ragionare.»

Hal era attanagliato dall’indecisione. Aveva visto uccidere da una lama avvelenata la sua ultima compagna, Sakeena, quando anche lei aspettava un figlio. Lei e il loro bimbo gli erano morti fra le braccia e non voleva vedere Judith andare incontro allo stesso destino, né lasciare che un altro figlio suo venisse ucciso prima di trarre un solo respiro.

Eppure come poteva rinunciare alla sua nave e a tutto quello per cui lui e il suo equipaggio avevano combattuto? Che genere di comandante avrebbe dimostrato di essere? Levò istintivamente lo sguardo verso il cassero, aspettandosi quasi di vedervi ritto suo padre, Sir Francis, fiero, risoluto e impavido, con gli occhi severi che lo trafiggevano, giudicandolo in base ai duri criteri che aveva sempre usato.

Ma non c’era nessun fantasma a dirgli cosa fare. La Golden Bough era la sua nave. Era lui il comandante.

«Sono il capitano Tromp, comandante della Delft e ora, a quanto pare...» disse l’olandese, con un sorriso che gli tirava un angolo della bocca, «anche di questa splendida nave, la Golden Bough.» I suoi uomini esultarono a quelle parole, guadagnandosi gli insulti dei marinai della Bough, che chiesero a gran voce al comandante il permesso di riprendere la lotta. Altri uomini erano giunti da sotto coperta ed erano rimasti immobili, battendo le palpebre nella luce dell’alba, in mano lame pulite e pistole pronte a sparare. Una sola parola di Hal, e il ponte sarebbe diventato teatro di una nuova carneficina. Uno dei cadaveri però rischiava di essere quello della sua amata Judith, che portava in grembo il loro figlio.

«Siamo in superiorità numerica di cinque a uno, comandante Tromp!» gridò, tentando di celare la disperazione, sperando che nemmeno Judith se ne accorgesse: un comandante doveva apparire sempre deciso e controllato.

«Eppure non state combattendo», replicò Tromp, «il che dimostra che siete disposto a tutto pur di proteggere questa donna. E per quanto io sia sicuro che siate un gentiluomo, comandante, sospetto che il motivo per cui tenete ferma la spada non sia la semplice cavalleria. Lei vi ha rubato il cuore, vero?»

Hal guardò Judith negli occhi e riuscì a scorgervi la durezza dell’acciaio. Non vi lesse la minima traccia di paura, solo una fredda determinazione, mentre l’uomo butterato che le puntava un coltello alla gola le ringhiava oscenità all’orecchio.

«Non credo che la ucciderà, comandante», disse Aboli, ansimando accanto alla spalla destra di Hal, «sa benissimo che, se lo farà, lui e i suoi uomini moriranno di certo.»

«Facciamoli a fette!» gridò Robert Moone, uno dei timonieri della Bough.

«Sì, daremo in pasto agli squali il poco fegato che hanno!» urlò John Lovell, il nostromo, puntando la spada verso Tromp.

Hal si spremette le meningi, cercando un modo per evitare di scegliere fra la nave e l’equipaggio da una parte e la sua donna e suo figlio dall’altra.

«Come posso permettere che le facciano del male, Aboli?» sibilò, ed era sul punto di abbassare la spada quando Judith gettò indietro la testa di scatto e colpì il naso dell’uomo che la teneva prigioniera, rompendolo come un martello su di un guscio d’uovo. Lui urlò di dolore e la lasciò andare, mollando il coltello mentre si portava d’istinto le mani al naso rotto e sanguinante. Con un unico movimento fluido lei si liberò, raccolse la sciabola, la infilò nella pancia del suo aguzzino e si lanciò su Tromp che era concentrato su Hal e non si accorse di quello che stava succedendo alle sue spalle. Quando si voltò, Judith era su di lui e gli stava accostando alla gola la punta sottilissima della sua lama prima che lui potesse sollevare la propria.

Di fronte a quella scena, alcuni olandesi si lanciarono contro gli uomini di Hal, convinti di dover combattere o morire, ma vennero uccisi sul posto, e gli altri marinai lanciati all’arrembaggio si inginocchiarono e sollevarono spade e asce in segno di resa.

«È finita, comandante», disse Aboli, chinandosi per tagliare la gola dell’aguzzino di Judith, ora accasciato contro la fiancata della Bough, gli intestini a formare uno scintillante ammasso insanguinato fra le sue gambe.

La consapevolezza del pericolo appena corso da Judith e il senso di colpa per essere stato così vicino a perdere la nave, e con quella il proprio onore, si unirono a infiammare una furia che Hal riuscì a stento a dominare. Si stava dirigendo a grandi passi verso Tromp, pronto a ucciderlo, ma Aboli gli afferrò la spalla con la sua grossa mano.

«È finita», ripeté. La sete di sangue si attenuò e Hal rimase fermo per un istante, mentre un tremito gli percorreva le braccia e i forti muscoli delle gambe, poi raggiunse Judith e il comandante olandese, che gli tese la spada dalla parte dell’elsa. Judith gli teneva ancora la punta della kaskara premuta sulla gola.

«Mi arrendo», dichiarò Tromp, guardandolo di sbieco perché non osava muovere la testa.

«Alla buon’ora», gli ringhiò contro Hal, strappandogli di mano la spada e passandola ad Aboli, alle sue spalle. «Siete stato uno sciocco a pensare di poter catturare la mia nave.»

Guardò Judith, che gli rivolse un rapido cenno d’assenso a segnalare che lei e il bambino stavano bene. Sarebbe arrivato il momento di stringersi in un abbraccio e celebrare lo scampato pericolo con un atto d’amore, ma non ora.

Tromp osservava i drammi personali che si scioglievano di fronte a lui, il legame che univa il gigantesco africano al suo comandante e quest’ultimo alla donna bellissima che sapeva battersi come il più feroce dei guerrieri.

«Sono un uomo ambizioso, comandante Courteney», replicò quasi con indifferenza, come se fosse stata l’ambizione e non la fame a spingerlo ad azzardare un assalto sconsiderato a un veliero più grande e meglio armato, con un equipaggio ben più numeroso.

«L’ambizione vi è costata cara, signore», ribatté Hal, tenendo a freno la rabbia. Nella vittoria un vero guerriero doveva mostrare indulgenza, aveva detto suo padre una volta. Non doveva arrendersi al meschino istinto di vendicarsi, bensì trovare in sé l’indulgenza necessaria a mostrarsi clemente. Eppure non si poteva chiedere nemmeno al più nobile dei guerrieri di ignorare le ingiustizie alle quali assisteva. «Avete violato la tregua fra i nostri due paesi, signor Tromp», sottolineò Hal, mentre con gesti studiatamente lenti passava la spada insanguinata sul fazzoletto che teneva in mano.

«C’è una tregua?» chiese Tromp, simulando uno stupore quasi convincente, visto che la tregua era in vigore da più di un anno.

«Bugiardo di una testa di formaggio!» gridò uno degli uomini di Hal dalle vele dell’albero di maestra su cui si era arrampicato per assistere meglio alla scena.

«Non siete il solo a rimpiangere che ve ne sia una, signor Tromp», ammise Hal. «Sarei felice di dare la caccia alle navi olandesi fino in capo al mondo e alle porte stesse dell’inferno, se solo avessi una lettera di marca. Sarei il flagello degli olandesi, così come lo era mio padre. E vi avrei catturato quando ho posato per la prima volta gli occhi sulla vostra bandiera, due giorni fa.»

«Allora ammetto di essere felice che i nostri due paesi abbiano messo da parte le proprie divergenze», disse Tromp con un sorriso disinvolto e malizioso che Hal sospettò avesse reso schiave parecchie donne piacenti.

Benché apparisse denutrito, l’olandese rimaneva un bell’uomo, con i capelli color sabbia e gli occhi del colore dell’oceano Indiano. Ormai Hal era quasi sicuro che Aboli avesse ragione: Tromp non avrebbe mai ucciso Judith. Quell’uomo aveva lanciato il dado e aveva perso; adesso era prigioniero di Hal e, in base alla legge del mare, lo era anche la sua nave, la Delft.

Gli olandesi erano arrivati a bordo di due pinacce e lui, guardandole, ricordò la fugace zaffata di pece che aveva captato nell’aria: avevano impeciato le vele perché si confondessero nel buio della notte. Era stata una mossa audace da parte di Tromp, e Hal quasi lo ammirava per aver combattuto in prima linea, invece di mandare un altro a guidare all’arrembaggio i suoi uomini. E avrebbero anche potuto impadronirsi furtivamente della Golden Bough, se gli amadoda non si fossero lanciati come pantere contro quel fuoco di pistole. E poi era arrivata Judith. Se non fosse stato per il suo coraggio e la sua abilità di guerriera, lui avrebbe dovuto consegnare la Bough a Tromp, e adesso sentiva il cuore colmo di orgoglio per la sua amata.

Quell’orgoglio non fece che aumentare, quando lui guardò i suoi uomini e vide come osservavano Judith. Le erano già affezionati e l’ammiravano per la sua fama ma, ora che avevano visto con i loro occhi di cosa fosse capace, provavano per lei un profondo rispetto e forse, entro certi limiti, un vago timore. Pochi di loro avevano visto una donna combattere in quel modo, e già arrivavano le prime voci sullo scempio da lei operato fra i suoi assalitori, nella cabina del comandante.

«Vai a riposarti, amore mio», le disse Hal, mentre Big Daniel e Aboli controllavano che Tromp e i suoi sopravvissuti venissero legati e un altro nostromo, William Stanley, faceva radunare dall’equipaggio i caduti di entrambe le parti.

«Avevo pregato di non essere più costretta a uccidere», affermò Judith, posandosi una mano insanguinata sul ventre, come se temesse che il figlio non ancora nato fosse stato contaminato dalle sue azioni.

«Hai salvato la nave, cuore mio», mormorò Hal.

«Ho temuto di averne causato la perdita», ribatté lei. Poi osservò i prigionieri olandesi, scortati verso i ponti inferiori della Bough, e posò una mano delicata su Hal prima di dire: «Non fare loro del male».

«Oggi non ci saranno altre morti», la rassicurò lui, guardando il sole, una palla abbagliante che si levava sopra un banco di nubi grigie, per colmare l’oceano di oro fuso e sangue. «Non se Tromp consegnerà la sua nave.»

«Lo farà, signora, non temete, a meno che non voglia che diamo in pasto agli squali qualche fetta del suo deretano», disse Big Daniel, spingendolo verso i gradini che scendevano nei meandri della nave.

Aboli guardò la testa del comandante sconfitto scomparire sotto coperta e poi, parlando nella sua lingua nativa, perché gli altri non lo sentissero contestare il loro capo, chiese a Hal: «E se il suo equipaggio desse battaglia, Gundwane? Oggi abbiamo già perso abbastanza uomini. Quella nave vale la perdita di altri? E poi questo vento è più debole della scoreggia di un facocero. Se la nave sa che le stiamo dando la caccia e si dà alla fuga, impiegheremo un giorno almeno per raggiungerla».

«Mmm», grugnì Hal, valutando le osservazioni dell’amico. Lui era un predatore, nato, cresciuto e allevato per perlustrare i mari in cerca di prede. Non poteva rinunciare al bottino di una nave e relativo carico più di quanto un leone affamato potesse resistere all’occasione di nutrirsi di carne fresca.

«Signor Moone, ammainate la bandiera, vi prego!» gridò. Poi si rivolse ad Aboli. «Ho un’idea», disse con un sorriso da lupo, parlando in inglese in modo che l’equipaggio potesse sentire il proprio comandante e trarre forza dalla sua sicurezza. «Di’ a Daniel di riportare qui Tromp. Avremo bisogno di lui in coperta, dopo tutto.»

Aboli annuì e andò a prendere l’olandese.

Il leone d'oro
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