«Devi mangiare», disse la ragazza, indicando il piatto di formaggio di capra e frutta comprati in un mercato di Zanzibar che aveva messo sul tavolo più di un’ora prima. Judith non l’aveva nemmeno toccato, pur sentendosi debole per la fame, perché le sembrava un atto di resa accettare del cibo dagli uomini che l’avevano rapita. L’altra la guardò con aria supplichevole. «Pensa al piccino. Anche se non ti senti di mangiare, devi conservare le forze.»
Judith prese un pezzo di formaggio e gli diede un morso, e la fanciulla le rivolse un sorriso tirato, voltandosi di poco per guardare la porta, come se avesse paura di chi o cosa poteva varcarla.
Era il crepuscolo e la Pelican aveva dato fondo, quindi l’Avvoltoio sarebbe passato presto a controllarle, o meglio, a controllare Judith.
Quando l’avevano portata a bordo della nave, a Zanzibar, l’avevano spinta dentro una stiva chiusa a chiave e buia, nelle viscere della nave. Le avevano dato un bugliolo di legno come latrina, un paio di pantaloni laceri e un ruvido camiciotto di tela appartenuti a un mozzo – «Morto di malaria, il poveraccio», l’aveva informata un marinaio –, poi l’avevano lasciata completamente sola, a parte i momenti in cui le consegnavano cibo e acqua, di tanto in tanto. Hal le aveva insegnato a calcolare l’ora grazie ai rintocchi della campana di una nave, quindi Judith sapeva che erano trascorsi due giorni e due notti, e che erano le dieci appena passate, o quattro rintocchi di campana nel turno del mattino, quando un marinaio l’aveva raggiunta nella stiva, le aveva ordinato di seguirlo e l’aveva condotta in una cabina nel castello di prua. Era angusta e umida, ma di gran lunga preferibile alla stiva. Inoltre Judith aveva compagnia perché, poco dopo il trasferimento, vi era stata quasi buttata dentro a forza una giovane donna.
«Vi preparerò i pasti e vuoterò il vaso da notte», aveva balbettato, tremando di paura perché aveva accanto l’Avvoltoio. «Farò tutto il possibile per rendere più confortevole il vostro soggiorno, nei limiti in cui lo si può fare a bordo di una nave.»
«Grazie», aveva replicato Judith, rivolgendosi poi all’Avvoltoio: «Dove mi stai portando?»
L’occhio solitario l’aveva osservata dal suo foro, il finto sorriso dai denti bianchi era sembrato malizioso, e lei si era guardata intorno, nella cabina semibuia, per cercare qualcosa da usare come arma, solo per la soddisfazione di colpire l’orrenda maschera e l’essere umano ancora più repellente celato sotto di essa. Riusciva quasi a sentire l’odore della violenza irradiata dall’uomo e, disarmata e vulnerabile com’era, si era resa conto che lo temeva come non aveva mai temuto nessuno, fino a quel momento. Odiava quella paura e si disprezzava per il fatto di provarla, eppure non era riuscita a impedirsi di trasalire e ripararsi il ventre con le mani, come se temesse che l’Avvoltoio prendesse il coltello, le aprisse in due la pancia e le prelevasse il piccino dal grembo.
«Frena la lingua, donna», aveva gracchiato lui, con una voce ruvida come una vecchia fune. «Accontentati che ti abbia dato una serva. Ci sono molte persone a bordo che l’avrebbero voluta, per quanto sia brutta.» Poi se n’era andato, chiudendo a chiave la porta.
Era trascorso qualche minuto prima che la ragazza parlasse di nuovo. «Mi dicono che portate in grembo un figlio. Ne ho avuto uno anch’io, non molto tempo fa.» Mentre lo diceva, le si erano colmati gli occhi di lacrime, e non aveva aggiunto altro.
Adesso Judith mangiò e la invitò a farle compagnia. Una volta iniziato, non si fermò prima di aver vuotato il piatto, pur lasciando all’altra la sua parte. La fanciulla si chiamava Ann Missen e si trovava a bordo di un mercantile della Compagnia delle Indie Orientali diretto a Bombay quando l’uomo sull’albero di gabbia aveva avvistato la Pelican, che sembrava andare alla deriva al largo della punta meridionale del Madagascar, con la randa a brandelli sul picco come se avesse attraversato una tempesta violentissima. Pensando che fosse un’altra nave della Compagnia delle Indie Orientali nei guai, il comandante aveva accostato e assicurato a Benbury che era anch’egli al servizio della suddetta organizzazione e che avrebbe fatto tutto il possibile per aiutarlo, nello specifico dandogli la vela di riserva nella stiva. Era stato a quel punto che gli uomini si erano riversati fuori dai boccaporti della Pelican e avevano assaltato il mercantile con pistole e spade, affamati di sangue. Il marito di Ann, un impiegato della Compagnia che stava andando a ricoprire un posto di prestigio nell’ufficio di Bombay, si era battuto valorosamente, uccidendo un uomo con la sua pistola prima di essere fatto a pezzi davanti agli occhi della giovane consorte.
«Non sapevo che fosse così coraggioso», aveva detto lei nel raccontare la storia, e Judith aveva sospettato che, ancora stordita dal dolore, la donna non si fosse resa conto di avere perso il marito per sempre. Non aveva osato chiederle del figlio, preferendo sperare che fosse morto prima che la coppia lasciasse l’Inghilterra per iniziare una nuova vita.
Erano appoggiate allo schienale della sedia, con la pancia piena come se fossero reduci da un banchetto di cinque portate, quando Ann chiese: «Parlami ancora di te».
Da quando aveva sentito l’Avvoltoio, durante una delle sue visite nella cabina, chiamarla sprezzantemente «generale Nazet», aveva sviluppato un appetito insaziabile per il passato di Judith: la sua infanzia sulle colline d’Etiopia, i viaggi in Europa e poi le campagne militari. «Quello che ancora non capisco è come sei arrivata alla carica di generale. Insomma, come mai tutti quegli uomini si sono lasciati guidare da una donna?»
«Forse perché non sono stata educata come tale», spiegò Judith. «Sono figlia unica e mio padre non avendo maschi mi ha insegnato tutto quello che avrebbe insegnato a un figlio maschio. Ho imparato a cavalcare e a combattere con spade e pistole. Quando mi sentivo raccontare una favola della buonanotte, non parlava mai di principesse e principi affascinanti, bensì di grandi condottieri come Alessandro Magno, Giulio Cesare e Annibale, il più grande di tutti i generali africani.»
«Prima di te», disse Ann, visto che Judith era diventata la sua eroina.
Lei rise. «Non sono certo un novello Annibale! Ma ho imparato come si combattono e vincono le battaglie, e, visto che mio padre era un capo, andavo a cavallo con gli uomini della tribù, che erano arrivati a considerarmi il suo legittimo erede, come se fossi un maschio. Quindi, quando è giunto l’ordine che le truppe si dirigessero a nord per combattere in nome dell’imperatore contro gli invasori arabi, sono stata io a guidare la mia gente, perché mio padre era troppo anziano e malato per farlo. Prima ancora di raggiungere l’esercito principale, abbiamo incontrato alcune delle forze di El Grang e le abbiamo sbaragliate. La notizia della vittoria si è diffusa, tanto che, una volta che siamo arrivati nell’accampamento dell’esercito, mentre passavamo a cavallo tutti i soldati ci acclamavano e le donne al seguito dell’armata ci lanciavano fiori. Così i soldati mi hanno adottata. Sono diventata il loro capo ma anche la loro beniamina, quasi un talismano, e all’improvviso mi sono ritrovata a capo dell’intero esercito, perché non erano disposti a seguire nessun altro.»
«Scommetto che tutti i vecchi generali ti odiavano a morte per questo», commentò Ann. Ma, prima che l’altra potesse replicare, una chiave girò nella serratura, la porta della cabina si aprì e l’Avvoltoio entrò, portando con sé il tanfo di corpi non lavati e cose ancora più luride che impregnava i cameroni dei marinai attigui al castello di prua.
«Sta arrivando una tempesta», annunciò chiudendo la porta. Lanciò un’occhiata ai piatti vuoti sul tavolo, poi rimase a fissare Judith come faceva ogni sera quando andava a controllarla. Ann si scostò da lui, come una mano che si ritragga da una fiamma, ma l’Avvoltoio non era interessato a lei.
«Dove mi stai portando?» ripeté Judith, come faceva ogni volta che lo vedeva.
«In un posto che non ti piacerà», rispose lui, l’occhio fisso sulla donna, esaminandola come se fosse uno schiavo sulla piattaforma e lui stesse decidendo se fare o meno un’offerta.
«Hal Courteney ti ucciderà», disse lei. «Ti troverà e ti squarterà come l’animale che sei.»
L’Avvoltoio si mosse, ma non verso Judith. Afferrò Ann per la gola e la scagliò all’indietro, bloccandola contro l’umida paratia. Lei tentò di gridare, ma dalle labbra le uscì solo un rantolo. Lui le sferrò un pugno nello stomaco con la mano guantata e indietreggiò, lasciandola stramazzare a terra.
Raggiunse Judith, che si protesse il ventre, ma lo affrontò coraggiosamente, con il mento sollevato, sfidandolo a colpirla al volto.
Le era talmente vicino che lei faticò a non chiudere gli occhi per paura che il suo becco malvagio potesse cavarglieli.
«Ecco cosa succede alla ragazza se fai l’insolente con me», gracchiò la voce dell’Avvoltoio, uscendo dalla fessura della maschera davanti alle labbra. Dietro di lui, Ann giaceva nell’angolo buio, raggomitolata su se stessa, boccheggiando per riprendere fiato. «È nel mio interesse mantenere te forte e sana come un maiale da competizione, ma lei...» Sollevò di scatto la testa. «Lei non è niente. Posso farne ciò che voglio.»
«Sei un vigliacco», sibilò Judith.
L’Avvoltoio si voltò e tornò da Ann, che piagnucolò, un braccio sollevato in un fiacco gesto di difesa. Lui si chinò e glielo scostò con un colpo secco, poi la schiaffeggiò così forte da farle sbattere la nuca contro la parete. Si raddrizzò e guardò di nuovo Judith.
«Hai capito bene, allora?»
Judith avrebbe dato qualsiasi cosa per poterglisi avventare contro e strappargli la pelle a mani nude. No, qualsiasi cosa no: non il bambino.
Annuì.
«Bene. Quando la tempesta ci colpirà sarai sufficientemente al sicuro, se ti siedi per terra e ti tieni aggrappata alla gamba della cuccetta», disse, indicando il letto con la testa. Ann non ne aveva uno, solo qualche coperta stesa sul tavolato nudo. «Oppure potete tenervi aggrappate l’una all’altra», aggiunse, piegando il capo da una parte mentre rifletteva. Con tre lunghe falcate raggiunse la porta e la aprì, poi si fermò sulla soglia.
«Non sprecare energie pregando che il tuo giovane eroe venga a salvarti e si vendichi di tutti noi», disse. «Courteney è morto. È stato ucciso come un manzo al macello.»
Poi se ne andò.