Il secondo giorno di inseguimento era terminato e Jomo, lo schiavo personale dell’Avvoltoio, gli stava versando dell’acqua nella bocca riarsa. Era il momento della giornata che l’Avvoltoio bramava di più ma al tempo stesso odiava, perché il modo in cui succhiava il beccuccio metallico, come un neonato attaccato al seno materno, non faceva che enfatizzare la sua impotenza. Jomo lo sapeva ed era abituato a sentire il padrone persino più brusco ed esigente del solito, mentre cercava di ristabilire il proprio potere. Quello non era un buon momento per avvicinarlo con qualche richiesta, ma i due portatori lo avevano assillato tanto che sentiva di non avere alternative se non quella di fare loro da portavoce.

«Padrone», cominciò a dire, approfittando dell’impossibilità dell’Avvoltoio di ribattere fintanto che lui gli teneva il beccuccio nel foro per la bocca. «Perdonatemi, ma parlo anche per i miei fratelli. Desideriamo informarvi, illustrissimo, che siamo molto vicini alle donne che cercate. Se continuiamo a camminare ancora un po’ potremmo trovarle presto, anche al buio.»

L’Avvoltoio scrollò bruscamente la testa per liberarsi la bocca. «Potreste trovarle, dici?»

«Sì, padrone.»

«Non ne siete sicuri, quindi?»

«È impossibile essere sicuri del futuro, dipende dalla volontà di Dio. Ma è probabile.»

«Ed è probabile che sia più facile trovarle domattina?»

«Sì, padrone.»

«Allora è ciò che faremo. Procurami del cibo e smettila di ciarlare come un babbuino.»

Jomo andò a preparare il morbido semolino per il padrone, nel quale non mancò di sputare.

Poche ore più tardi, tuttavia, afferrò la spalla dell’Avvoltoio e lo scosse per svegliarlo. Il terribile viso ghignante e accigliato con il naso a becco si voltò verso di lui.

Prima che l’uomo potesse parlare, Jomo gli disse: «Padrone! Padrone! Dobbiamo partire subito... le donne!»

«Cosa diavolo vuoi dire?» chiese l’Avvoltoio.

«Ascoltate, padrone... Ascoltate la notte!»

Lui tacque e ascoltò. Dopo un attimo balzò in piedi, gridando: «Alzatevi! Alzatevi, spregevole feccia!» Prese la spada e corse via nel buio, come se ne andasse della sua vita.

Ed era davvero così.

 

 

Judith venne svegliata da urla e strilli osceni. Due iene, le più grandi che avesse mai visto, stavano correndo avanti e indietro fra l’erba alta, di fronte al punto in cui era sdraiata insieme ad Ann, colmandola di terrore con la loro eccitazione.

Ann si svegliò, le vide e urlò: «Via!» Indietreggiò strisciando fra i cespugli, tentando di fuggire. «Andate via, creature infernali!»

Lungi dall’allontanare le iene, la sua paura le agitò ulteriormente, spingendole a ridacchiare e ululare.

Con le membra intorpidite, tremando di freddo e di paura, Judith strisciò fino alla buca del fuoco. La cenere era ancora tiepida quando la rimestò con un bastoncino, ma non vide nemmeno un tizzone ardente.

«Sparagli!» la implorò Ann. «Spara a una di loro e l’altra scapperà!»

Ma senza una fiamma con cui accendere la miccia, il moschetto era inutilizzabile. Comunque fosse, Judith pensava di sapere cosa significassero quegli ululati malvagi, e se aveva ragione...

Inginocchiata, prese il sacchetto di pelle contenente l’acciarino, armeggiando goffamente con i lacci che lo chiudevano, le mani intorpidite dal freddo notturno. La piastra d’acciaio e la pietra focaia caddero sul terriccio e lei le raccolse. Il tanfo delle creature le riempiva le narici.

«Sbrigati!» la sollecitò Ann.

Judith creò una montagnola con quanto restava del nido d’uccello. Picchiò la pietra focaia sull’acciaio e alcune scintille schizzarono nell’aria, ma non erano neppure lontanamente sufficienti per appiccare il fuoco a quella specie di stoppaccio.

«Ti prego, Judith. Sbrigati!»

La maggior parte delle iene si mostrava timorosa, con gli esseri umani. Erano creature codarde, a quanto sapeva, soprattutto gli esemplari dal pelo striato. Quelle due, invece, con il mantello di un grigio ramato e chiazze marrone scuro, erano bestie ardite e stavano ringhiando. Una sfrecciò verso Ann, facendo oscillare su e giù la grossa testa mentre sogghignava.

Lei strillò, l’animale emise una roca risata, ululò e indietreggiò.

«Oddio!» gridò la ragazza. «Dio, aiutaci... ti prego!»

A un tratto la notte venne pervasa da un coro selvaggio, folle. Judith non alzò nemmeno gli occhi: non ne aveva bisogno. Sapeva che le prime due stavano chiamando il resto del clan, sollecitando le compagne a raggiungerle per unirsi al massacro, e adesso gli animali erano tutt’intorno a loro, vorticando nel buio, con gli occhi e i denti che scintillavano.

Le mani le tremavano fuori controllo mentre faceva volare alcune scintille fino allo stoppaccio.

«Moriremo», piagnucolò Ann.

Poi, finalmente, la prima scintilla raggiunse l’obiettivo e una minuscola fiammella prese vita, guizzando. Judith sollevò la palla di stoppaccio tenendola fra le mani a coppa, soffiandovi sopra delicatamente per rinvigorire l’esile fuoco all’interno.

«Judith!»

Una fiammata lampeggiò tra l’erba alta e le iene indietreggiarono, ululando e schiamazzando, spaventate dal fuoco. Judith alzò gli occhi ma non riuscì a scorgere Ann a causa della ventina almeno di animali ingobbiti che le saltellavano e giravano intorno. Accanto alla cenere erano accatastati dei rametti, ma ci sarebbe voluto troppo tempo per accendere un altro fuoco, e non sarebbero bruciati a lungo. Aveva il moschetto, però.

Che Dio ci aiuti, pregò, accostando l’estremità della miccia alla fiamma e lasciandovela dentro mentre afferrava moschetto, sacchetto con i proiettili e fiaschetta di polvere da sparo.

«Via, bestie maledette!» gridò, sollevando l’arma e aprendo lo scodellino per la polvere. Con i denti tolse il turacciolo della fiaschetta, versò nello scodellino la giusta quantità di polvere nera, lo richiuse e soffiò via quella in eccesso. Posò a terra il calcio del moschetto e versò la carica di polvere nella canna.

«Sto arrivando, Ann!» gridò, accovacciandosi e strappando alcuni fili d’erba, che si spinse in bocca e cominciò a masticare. Avrebbe mirato basso, ma senza uno stoppaccio per spingere giù la palla, quest’ultima rischiava di rotolare fuori dalla canna senza fare danni. Ne prese una, la spinse nella canna con il pollice e vi sputò dentro l’erba.

«Aiutami!» la supplicò Ann, mentre lei sfilava il calcatoio di legno dal calcio del moschetto e lo capovolgeva, spezzandoselo contro il petto per ridurlo alla lunghezza di una spanna. Lo premette ripetutamente su quello stoppaccio di fortuna e sulla palla; vide che i legnetti erano stati consumati dal fuoco, ma la miccia a combustione lenta aveva preso; la ghermì di scatto, soffiando sull’estremità tanto che la cordicella, impregnata di salnitro, scintillò scarlatta nell’oscurità come un occhietto malvagio.

Lascia perdere la ragazza! la sollecitò il bimbo che portava in grembo. Potremmo avere soltanto una possibilità di sparare con il moschetto. Non sprecarla per lei. Conservala! Ne avremo bisogno. Guarda, le bestie stanno venendo a prendere anche noi!

Era vero. Mentre la maggior parte delle iene sciamava intorno ad Ann, sei o sette di loro avevano riportato l’attenzione su Judith. Con il pelo irto, la coda drizzata e protesa verso la schiena, le si avvicinarono di corsa, aprendo e serrando rumorosamente le mascelle possenti, incitandosi tra loro a ucciderla.

Judith inserì la miccia nella serpentina del moschetto e premette il grilletto, sentendosi colmare di sollievo quando vide l’estremità scintillante scendere fino allo scodellino: aveva calcolato correttamente quanto doveva essere lunga per colpire la polvere non appena lei avesse scoperchiato lo scodellino e aperto il fuoco.

«Via!» urlò. «Via!» Pestò un piede a terra e allungò di scatto la canna del moschetto verso la iena più vicina, che grugnì, ridacchiò e cedette terreno mentre altre cercavano di aggredire Judith da dietro. Lei si voltò di scatto, facendo roteare l’arma per tenerle a bada, ma non sparò. Non ancora.

Si addentrò fra il vortice fetido di quegli animali strepitanti, dirigendosi verso Ann, con lo sguardo che setacciava quel caos cercando la iena più grossa. Se avesse ucciso quella, forse le altre avrebbero battuto in ritirata. Eccola, la criniera dorsale irta mentre balzava verso Ann, rannicchiata fra i cespugli con un braccio sollevato a difendersi.

E se manchi il bersaglio? Cosa ci succederà? chiese il bimbo nel suo ventre.

«Uccidila!» strillò Ann, mentre si alzava. «Uccidila, Judith, uccidila e basta!»

Lei si appoggiò il moschetto alla spalla e prese la mira. Sapeva che le bestie erano dietro di lei. Erano ovunque, e le davano colpi con il muso, troppo numerose per poterle contare. Sentiva su di sé il loro fiato, più caldo dell’aria notturna, ma non distolse lo sguardo dalla iena più grossa, che si muoveva in maniera imprevedibile, facendo dondolare la grossa testa mentre sfrecciava avanti e indietro. Era un tiro difficile, troppo rischioso.

«Vieni, razza di demonio!» gridò in amarico, la sua lingua madre, soffiando sulla miccia. «Vieni a vedere cosa ho per te!» Riusciva a scorgere Ann, le lacrime che le scorrevano sulle guance devastate dal sole, gli occhi sfavillanti di terrore. Sentì qualcosa sotto il piede e abbassò lo sguardo, vedendo la fiaschetta dell’acqua dell’amica. La raccolse e la scagliò con tutte le sue forze contro la iena, colpendole il fondoschiena.

La creatura ridacchiò e si voltò, ruotando la grossa testa verso di lei.

Era l’occasione che aspettava. In un attimo capì che non avrebbe mai avuto un’occasione migliore e il suo dito si arcuò sul grilletto. Era ancora possibile capovolgere la situazione. Avrebbero potuto salvarsi, per un soffio.

Ma a quel punto Ann prese la decisione peggiore della sua vita: si mise a correre.

L’animale si lanciò subito all’inseguimento.

«No!» gridò Judith, e premette il grilletto. L’arma ruggì, sputando una fiammata nell’oscurità, e le iene strillarono per il boato, disperdendosi. Eppure lei non provò altro che disperazione: l’improvviso scatto della iena l’aveva resa un bersaglio in movimento e lei l’aveva mancata. Vide la bestia affamata avventarsi contro Ann e capì che l’aveva morsa al fianco sinistro, benché il grido della ragazza fosse stato sovrastato dagli ululati selvaggi e dalle risate folli, mentre il resto del branco le si serrava intorno. Le bestie, talmente eccitate da scordare il terrore dovuto al boato del moschetto, seguirono l’esempio della capobranco e si lanciarono verso Ann, ritraendosi con grida e ululati, facendo poi dietrofront per tornare da lei.

Judith capovolse il moschetto e, afferratane la canna, lo brandì come una mazza, calandone il calcio pesante sulla schiena di una iena che si era di nuovo avvicinata. Ci fu un suono secco. La bestia strillò di dolore, ritraendosi, ma le altre avevano ormai sentito l’odore del sangue e non badavano che ad Ann. Una si staccò dal resto del branco e Judith, orripilata, vide che aveva il muso bagnato di sangue fresco.

Abbandonala al suo destino, la implorò il bambino dentro di lei. Ormai non possiamo fare più niente per Ann. Ma se rimaniamo qui ci sbraneranno.

«Aiutami!» gridò Ann.

Ormai l’intero clan di iene la circondava come un ribollente e chiassoso mare nero, mentre il suo corpo veniva strattonato a destra e a manca. Sui campi di battaglia dell’Etiopia Judith aveva sperimentato orrori sufficienti per un’intera vita, ma nessuno era paragonabile a quello che aveva davanti: una donna smembrata sotto i suoi occhi. Provò un improvviso, soverchiante attacco di nausea, si piegò in due e vomitò sull’erba. Una iena ai margini del gruppo dovette coglierne l’odore, perché si voltò e la raggiunse a balzi; Judith indietreggiò e alzò la sua mazza di fortuna, ma la bestia non mostrò il minimo interesse per lei, cominciando a ingurgitare il suo vomito fumante.

In quell’attimo, una spada tranciò il cranio dell’animale che stramazzò a terra, tremante e con la schiuma alla bocca, i lunghi denti scoperti in una smorfia. Judith si voltò di scatto: l’uomo mascherato era lì.

«Aiutala!» gli disse.

La spada in mano, l’uomo le si parò di fronte, frapponendosi tra lei e le iene; c’erano anche gli altri uomini, i marinai portoghesi e i due africani, che emersero dalle tenebre e le si piazzarono intorno, in posizione di difesa. «Aiutatela, maledizione!» gridò Judith. «Per l’amor del cielo, che qualcuno l’aiuti!»

L’uomo mascherato non proferì parola. Rimase fermo dov’era, la testa piegata di lato, l’unico occhio dietro il foro a fissare l’abominevole scena che aveva di fronte.

«Dammi la tua spada, l’aiuto io!» disse Judith.

Il viso dal ghigno lascivo si girò verso di lei. «Taci e guarda», ringhiò l’Avvoltoio, mentre uno dei marinai le strappava di mano il moschetto.

Una iena spiccò un balzo e serrò la mascella su un braccio di Ann, sopra il gomito. Lei barcollò sotto il suo peso, il viso che brillava nella penombra rischiarata dalle stelle, gli occhi che parvero fissare quelli di Judith per un’ultima volta, prima che venisse inghiottita dal vortice ringhiante, scomparendo.

«Vi prego!» disse Judith, ma capì che ormai non c’era modo di aiutare Ann. Le iene la stavano mangiando viva. Udì le loro mascelle serrarsi di scatto, le sentì ingoiare i brandelli di carne.

Ma continuò a guardare, gli occhi colmi di orrore, finché l’uomo mascherato segnalò ai suoi che dovevano mettersi in marcia.

«Sei stata fortunata che uno dei neri abbia fiutato il fumo del tuo fuoco nell’aria», le disse l’ufficiale anziano. «Altrimenti a quest’ora quei diavoli si starebbero mangiando te e il tuo bambino.»

Judith non replicò, ormai senza parole. Si posò le mani sul ventre, premendo la carne in cerca di un piedino o una manina, disperatamente ansiosa di toccare il suo piccolo e assicurargli che adesso erano al sicuro.

In cuor suo però sapeva che erano rassicurazioni infondate: l’istinto le diceva che, per quanto lei avesse sofferto fino a quel momento, il futuro le riservava ben di peggio.

Il leone d'oro
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