La vendita degli esemplari più pregiati e costosi al mercato degli schiavi era il principale argomento di conversazione a Zanzibar perché, come gli abitanti della città affermavano con orgoglio, in tutta l’Africa – e probabilmente nel mondo intero – non c’era nessun altro luogo in cui si mettesse all’asta così tanta carne umana di così eccelsa qualità.

Nel pomeriggio prima del grande evento Judith venne portata al recinto per gli schiavi, dove questi ultimi venivano ammassati come bestiame in uno spiazzo cintato e coperto, prima di essere messi in vendita. Stranamente si era abituata agli abiti da harem che le avevano dato mentre era prigioniera del principe Jahan, ma venne spogliata quasi del tutto, a parte un minuscolo lembo di stoffa sui genitali, che offriva una minima difesa al pudore. Le legarono le mani dietro la schiena e le infilarono sulla testa una cavezza fissata alla corda, e poi fu condotta in un’arena per essere esaminata dalla folla di mercanti impegnati a ispezionare la merce prima della vendita.

Fu costretta a rimanere in piedi, immobile e silenziosa, mentre mani rudi le tastavano il seno, come donne che saggino la verdura sulla piazza del mercato. Fu obbligata a piegarsi in avanti con le gambe divaricate in modo che i potenziali acquirenti potessero vedere le sue parti intime. Le schiusero persino le labbra per controllarle i denti, come se fosse stata un cavallo.

Per tutto il tempo Judith ripensò alla conversazione avuta una sera con Hal e Aboli sulla Bough. Il discorso si era spostato sulle esperienze dei due uomini come prigionieri e schiavi a tutti gli effetti degli olandesi nella colonia del capo di Buona Speranza e Aboli aveva detto: «Sai qual era il tuo problema, Gundwane? Volevi sempre lottare. Ma la prima lezione che uno schiavo dovrebbe imparare è che reagire è inutile. Nella migliore delle ipotesi i padroni ti frusteranno, nella peggiore ti infileranno in una gabbia, in una cassa o in un buco nel terreno e ti lasceranno esposto al sole cocente o alle piogge monsoniche finché non muori oppure impari a obbedire. Quindi non dare loro quella soddisfazione. Non fiatare. Sopporta la crudeltà, gli insulti, il trattamento disumano. Sopporta, in modo che tu e i tuoi figli possiate vivere. E prega di riacquistare la libertà, un giorno».

Così lei sopportò e rimase in silenzio. Cercò Hal tra la folla, in bilico tra il desiderio di trovarlo, solo per sapere che stava andando a prenderla, e il timore che sarebbe stato troppo, per entrambi, partecipare a quell’umiliazione. Ma era difficile, terribilmente difficile, e a peggiorare tutto c’era il fatto che, per quanto gli uomini che la esaminavano parlassero liberamente di quanto vedevano, come se lei fosse un animale ottuso, Judith capiva fin troppo bene quanto dicevano molti di loro.

Da ragazza aveva accompagnato il padre in missioni diplomatiche non solo a Venezia, ma anche in molte altre corti europee. Essendo giovane e dotata di un innato talento per le lingue, aveva acquisito un’infarinatura o, in alcuni casi, un ragguardevole livello di competenza in diversi idiomi europei, oltre che nell’amarico e nell’arabo, cardini della sua stessa cultura. Adesso, tuttavia, la sua capacità di comprendere era una maledizione, perché capì l’olandese che disse all’amico: «Hai sentito che questa vacca ha in grembo un vitellino? Ed è anche il marmocchio di un bianco».

Un mercante portoghese chiese a un altro: «Perché il sultano sta vendendo un simile gioiello nero? Se fosse mia me la terrei legata al letto!»

«Ho sentito dire che è una specie di vendetta», fu la risposta. «Si vede chiaramente che lei è di alto lignaggio, guarda che belle mani, non c’è nemmeno un callo. Si vocifera che quando salirà sulla piattaforma ne sveleranno l’identità. Dicono che il suo nome di per sé aggiungerà al prezzo diecimila monete d’argento.»

«Chi sarà mai, la regina di Saba?»

«Non mi interessa chi sia, la farei mia ogni giorno della settimana.»

Poi, in una delle volte in cui venne costretta a piegarsi in avanti, restando completamente esposta, una voce araba commentò: «Non è stata tagliata, guarda, ha le labbra e il bocciolo ancora intatti. Quindi prova ancora piacere». E un’altra ribatté: «È una cosa vergognosa e impura quando strillano e gemono, ma le donne come questa bramano disperatamente un uomo. Più spesso vengono prese e più sono felici».

«Quindi farai un’offerta?»

«Perché spendere denaro? Una donna del genere ti si concede di sua iniziativa!»

Judith trascorse la notte in preda al terrore, all’inquietudine e al pianto. La mattina seguente le diedero una ciotola di miglio e le gettarono addosso una secchiata d’acqua, dopo di che una donna africana di mezza età, grassa e annoiata, le spalmò bruscamente del grasso sulla pelle, perché luccicasse, con dei modi che le fecero rimpiangere la delicata premura con cui le ragazze l’avevano preparata per il principe.

Le ore trascorsero lente. Il recinto in cui era tenuta, proprio sotto la piattaforma per le aste, si vuotò poco alla volta mentre, uno dopo l’altro, gli schiavi venivano portati via per essere venduti. Lei sentiva la voce del banditore dell’Oman che, in arabo, descriveva ogni nuovo articolo e sollecitava i clienti ad alzare le offerte. Poi un africano, uno schiavo del banditore, la raggiunse, afferrò la corda che le penzolava fra i seni e la condusse fino alla piattaforma. Judith sentì che il banditore stava parlando di lei, dicendo: «E ora, signori, ho da offrirvi un gioiello inestimabile, una donna proprietà del sultano Sadiq Khan Jahan in persona, da lui catturata poiché è stata tanto stolta e orgogliosa da pensare di poter spiare Zanzibar in gran segreto. Questa donna è il generale Judith Nazet!»

Un urlo si levò dalla ressa di offerenti e spettatori, seguito da un eccitato brusio, tanto che l’uomo dovette gridare per farsi sentire mentre aggiungeva: «È l’orgoglio del popolo miscredente dell’Etiopia, il flagello dei fedeli, l’assassina di coloro che amano Dio... ma il nostro grande principe l’ha umiliata e ora, nella sua sconfinata generosità, la concede al miglior offerente».

Le sue parole suscitarono una tonante ovazione e il banditore dovette aspettare che si placasse, prima di continuare. «Ma c’è di più. Questa donna non è soltanto un demonio vendicativo. È una meretrice, una prostituta che ha spalancato le gambe a un uomo e preso il suo seme dentro di sé. Adesso ha in grembo un figlio, che viene venduto insieme a lei... il figlio del capitano di mare inglese Henry Courteney, soprannominato El Tazar perché, come un barracuda, uccideva senza pietà, quando colpiva le navi dei fedeli. Signori, il prossimo articolo all’asta è il generale Judith Nazet!»

E così, tra acclamazioni, fischi, incitazioni oscene gridate in una miriade di lingue, Judith venne fatta uscire dal recinto e portata sulla piattaforma per l’asta.

 

 

Hal si asciugò il sudore dalla fronte e fece del suo meglio per calmare il battito impazzito del suo cuore. Lungo un lato del mercato c’era una tribuna con due file di panche, abbastanza alta perché i compratori più ricchi potessero osservare la scena con un certo livello di agio. A metà della tribuna era stato costruito un palco speciale su cui potessero sedersi, al riparo dagli sguardi del pubblico, il sultano e pochi ospiti scelti. Hal si era nascosto fra la gente comune e la plebaglia, una folla di centinaia di persone stipate in uno spiazzo cintato ed esposto al pieno bagliore del sole di mezzogiorno, tutte che gridavano, sgomitavano e si spintonavano per vedere meglio gli schiavi messi in vendita. Vista di lato, la piattaforma appariva come una breve scalinata di quattro gradini. Ogni schiavo veniva portato su quello più alto per offrire la miglior visuale possibile ai potenziali acquirenti. Il banditore restava in piedi sul secondo gradino, salendo sul terzo se aveva bisogno di vedere un offerente in fondo alla calca. Ai piedi della scala c’erano due degli schiavi più massicci e muscolosi del banditore, uomini fidati che brandivano lunghe mazze pesanti con cui percuotere chiunque fosse tanto stupido da saltare giù dalla pedana per tentare la fuga.

Hal si trovava a due terzi della distanza fra la piattaforma e l’ultima fila della calca. Non si rasava da quando aveva lasciato Zanzibar, la sera del rapimento di Judith, e aveva i capelli sciolti ai lati del viso; indossava però gli abiti più ricchi che aveva, con l’intento di sembrare un uomo dalla condotta e dalla morale discutibili ma in possesso di denaro da spendere in vestiti costosi. Qualcosa di simile a un trafficante di schiavi, in altre parole.

Aboli, furibondo, era stato lasciato a bordo della nave di Rivers, l’Achilles, insieme a Big Daniel e a un numero di uomini della Golden Bough sufficienti a impedire al pirata e al suo equipaggio di darsi alla fuga lasciando Hal bloccato in città, nel caso qualcosa fosse andato storto.

«Mi spiace, amico», gli aveva detto Hal, «ma tu sei troppo riconoscibile e la nostra amicizia troppo nota. Se qualcuno ti vede, capirà subito che ci sono anch’io. Sarà il signor Tromp ad accompagnarmi. Così correrò meno rischi.»

Naturalmente sapeva, come lo sapeva Aboli, che ne avrebbe corsi molti meno se non fosse affatto sceso a terra ma avesse atteso a bordo che Rivers comprasse Judith e la portasse sulla sua nave. Ma non sopportava di lasciarla affrontare quell’ardua prova senza il conforto della sua presenza, né poteva essere sicuro che Rivers non tentasse qualche trucco. In fondo era un pirata. Facile ipotizzare che avrebbe rapito Judith, se ne avesse avuta la possibilità.

Dopo la vendita di una serie di poveri sventurati, il banditore annunciò l’ultimo articolo, oltre che il più pregiato, messo all’asta quel giorno. Cominciò a descrivere Judith in termini infamanti e calunniosi, menzionando persino Hal come padre del bambino... Ed eccola, in cima alla piattaforma, una corda al collo e le mani legate dietro la schiena, senza modo di coprirsi o difendere il proprio pudore dagli sguardi lascivi degli uomini che vedevano in lei un semplice oggetto da smerciare e usare.

Hal si sentì travolgere da una furia violentissima, mai provata prima. Il sangue gli pulsava alle tempie, la vista parve offuscarsi, coperta da una foschia rossa, il respiro si fece affannoso. Era ormai prossimo al delirio che in rarissime occasioni lo aveva assalito nella foga della battaglia, e stava per avventarsi sulla pedana, solo, quando sentì una mano serrargli forte il braccio destro.

«No!» gli sibilò Tromp, poi aggiunse: «So cosa state provando. So che volete battervi con tutti loro. Ma dovete pazientare. Lasciate che Rivers faccia ciò che va fatto. Se attirate l’attenzione adesso, sarà tutto perduto».

Hal non sentì una sola parola o quasi, ma l’impedimento fisico e il suono della voce di Tromp bastarono a trattenerlo finché la furia non diminuì.

Cercò di non lasciarsi prendere dal panico quando iniziarono le offerte e il prezzo schizzò alle stelle, senza un solo cenno al banditore da parte di Rivers, il quale aveva preannunciato di volersela prendere comoda prima di fare la sua mossa. Ma guardò Judith e mentalmente le urlò: Sono qui, amore mio. Non preoccuparti. Andrà tutto bene. Ci sono qui io!

 

 

All’asta degli schiavi c’erano dei ragazzi di strada come se ne vedevano ovunque, a Zanzibar, impegnati a vendere pezzi di frutta sudici a spettatori affamati, intenti a vuotarne le tasche oppure a soddisfare semplicemente la curiosità, perché soltanto una decapitazione pubblica poteva competere con l’attrazione di una grande asta di schiavi per gli abitanti del luogo.

Uno di loro, però, non tentava affatto di estorcere denaro a chicchessia tramite una vendita o il furto. E nemmeno era interessato all’asta, benché di tanto in tanto lanciasse occhiate meste a Judith Nazet. Concentrava tutta la sua attenzione su un uomo in particolare, perché aveva ricevuto degli ordini, ed erano molto chiari. «Qualunque cosa lui faccia e ovunque vada, seguilo. E non levargli gli occhi di dosso finché lui, tu o entrambi non salperete dal porto per lasciare quest’isola.»

Un unico sguardo a colui che gli aveva impartito quelle direttive era bastato a convincere il ragazzo – anche se all’inizio non era stato granché incline a farlo – a seguirle alla lettera.

 

 

Grey aveva convinto il principe Jahan che doveva essere lui a cercare Courteney fra la folla. «È vero che l’Avvoltoio lo conosce persino meglio di me», aveva spiegato, «ma la vista di quel mostro mascherato rischierebbe di distrarre la folla, suscitare chiacchiere morbose e forse persino attirare l’attenzione sul nostro vero intento. Io sono noto per essere sempre stato interessato alla carne umana della migliore qualità. Ho commerciato per anni, nessuno si stupirà nel vedermi lì. Di certo conosco Courteney abbastanza per riconoscerlo. E anche se così non fosse non importa, perché ho in mente di individuare il nostro bersaglio senza nemmeno guardare fra la ressa.»

Quindi adesso era seduto in prima fila nella tribuna coperta, con accanto il comandante delle guardie del sultano, e osservava Nazet mentre le offerte continuavano a salire. Aveva una mezza intenzione di farne una anche lui perché, per Allah, era una donna davvero splendida, capace quasi di tentarlo a rinunciare ai piaceri che potevano dare i ragazzini. Ma non la stava fissando in veste di compratore o di aspirante amante. Aveva in mente uno scopo preciso, che gli imponeva di tenere lo sguardo fisso sul suo visino grazioso.

 

 

Judith non voleva lasciarsi umiliare da uomini che erano poco più che animali. Aveva sangue nobile e il rango di generale. Avrebbe conservato dignità e coraggio, a prescindere dalla violenza con cui quelle bestie avessero tentato di strapparglieli. Eppure bramava di vedere Hal e sapere che era lì con lei per salvarla da quella tortura. Perché lui sarebbe arrivato, ne era sicura. Per quanto grande potesse essere il rischio, lui si trovava sicuramente lì. Ma dove?

Si sarà di certo camuffato, si disse Judith. Cerca i particolari che è impossibile nascondere: l’intenso verde mare degli occhi, la curva fiera del naso, il portamento di un giovane re che gli è impossibile nascondere. Cerca le cose che ami nel tuo uomo.

E poi lo vide. Là tra la calca, due occhi che avevano intercettato e reggevano il suo sguardo. Lei capì subito, perché lo sentì nel profondo, che potevano appartenere solo all’uomo che amava. Così ricambiò l’occhiata e accennò un sorriso, perché non riusciva a celare la gioia che le colmava il cuore.

 

 

Fu a quel punto che anche il console Grey sorrise, seguendo la direzione dello sguardo di Judith Nazet attraverso lo spiazzo gremito, e vide un uomo alto, bruno e trasandato, con una giacca fuori luogo da quant’era elegante, gli abiti di un nobile sul corpo di un selvaggio. Vide il profilo e l’espressione nei suoi occhi mentre fissava a sua volta Judith, così si rivolse al comandante delle guardie e, simulando indifferenza, disse: «C’è il vostro uomo. Quello è Courteney. Ordinate ai vostri di catturarlo».

 

 

Anche l’Avvoltoio, nascosto nel buio in fondo al palco del principe per non spaventare la gente, accompagnato come sempre da uno schiavo, aveva notato Hal Courteney tra la folla. Ma lui e Hamish Benbury avevano scoperto dove si trovava Courteney e capito il suo piano poche ore dopo che l’Achilles era entrata nel porto di Zanzibar, con la marea della sera precedente.

Nella tarda serata del giorno prima, Benbury e l’Avvoltoio stavano conversando con il proprietario del Três Macacos, quando Rivers era entrato e aveva ordinato una bottiglia di rum. I tre capitani, che si conoscevano ed erano tutti della stessa pasta, avevano iniziato a chiacchierare e, mentre Rivers passava a una seconda e poi a una terza bottiglia, gli altri due avevano stabilito che era lì a Zanzibar per comprare uno schiavo. E non uno schiavo qualsiasi, bensì la magnifica prediletta del sultano.

Ma Rivers era un pirata e non un trafficante di schiavi. Se voleva acquistare una schiava c’era senz’altro un motivo. Quando Benbury aveva mandato due dei suoi uomini più fidati di guardia al molo, in un punto da cui potevano vedere l’Achilles e notare chiunque comparisse sul suo ponte, quel motivo era risultato evidente.

Quindi adesso, mentre l’asta raggiungeva il culmine e Rivers faceva infine la sua offerta, l’Avvoltoio avanzò di qualche passo, tanto da risultare brevemente visibile a chiunque osservasse il palco privato del principe Jahan, rivolse un unico cenno d’assenso con la testa mascherata e indietreggiò tornando nell’ombra. Subito dopo, senza proferire verbo, sgattaiolò dalla porta in fondo al palco e giù per i gradini che scendevano fino a terra, con lo schiavo che, pochi passi più indietro, lo seguiva come un’ombra. Le guardie piazzate ai piedi della scaletta si scostarono per lasciarlo passare in mezzo a loro, perché sapevano che apparteneva al principe e obbediva in tutto e per tutto al loro padrone. Quindi non batterono ciglio quando lui girò a destra e oltrepassò lo spiazzo cintato che ospitava il pubblico, raggiungendo l’area privata dietro la piattaforma.

 

 

Rivers aveva previsto perfettamente l’andamento dell’asta. Ormai era rimasto soltanto un offerente a competere con lui e il prezzo aveva raggiunto le vertiginose vette di tre lakh d’argento, una somma infinitamente più alta di qualsiasi altra mai pagata per un unico schiavo. Courteney avrebbe dovuto vendere la sua nave, rinunciare all’intero patrimonio di famiglia e impegnare il suo stesso fondoschiena per racimolare il denaro, ma quello non era un problema suo.

Stava per fare quella che era sicuro fosse l’offerta vincente quando si sentì afferrare per le braccia e pungere da un coltello che gli attraversò la giacca e forò la pelle alla base della schiena. «Vi chiedo scusa, signore», gli ringhiò una voce all’orecchio, «ma il comandante Benbury vi porge i suoi omaggi e dice che se ve ne andate all’istante e tornate sulla vostra nave in maniera ordinata e pacifica non saremo costretti a uccidervi.»

«Be’, puoi dire al tuo maledetto comandante...» cominciò a ribattere Rivers, prima di interrompersi per riflettere. La Delft era già in suo possesso e lui avrebbe preferito di gran lunga essere vivo per godersi la potenza di fuoco che essa avrebbe aggiunto alla sua flotta. Così concluse: «Digli che gli auguro una buona giornata, e ti sarei grato se mi lasciassi passare, perché credo che a bordo sia richiesta la mia presenza».

 

 

Grey stava osservando l’asta con un occhio solo mentre lanciava occhiate discrete in direzione di Courteney. Il comandante delle guardie aveva piazzato un gruppo dei suoi, in abiti civili, su un lato dello spiazzo cintato. Il fatto che non riuscì a vederli dirigersi verso Courteney pur sapendo che lo stavano facendo la diceva lunga sull’efficacia del loro camuffamento. Se lui, che era informato dei loro piani, non riusciva a distinguerli fra la ressa, come avrebbe potuto riuscirvi la loro preda?

 

 

L’attenzione di Hal era tutta concentrata sulla piattaforma dell’asta. La tensione creata dalla procedura delle offerte era insopportabile. Visto che il prezzo continuava a salire, smise di chiedersi se se lo poteva permettere o meno. Si sarebbe ridotto in miseria, era evidente. Poteva benissimo restare indebitato per anni, forse persino per il resto dei suoi giorni, ma quello che contava davvero era avere accanto Judith e suo figlio, perché lei portava sicuramente in grembo un maschietto.

Si voltò verso Tromp, per un breve istante di sostegno morale, ma scoprì che l’olandese era scomparso. Non vi badò. Il movimento della calca nello spazio cintato era molto simile a quello dell’acqua contro una roccia: un perenne alternarsi di flussi, riflussi e gorghi, ed era fin troppo facile, per due uomini, ritrovarsi separati in quella baraonda.

Si voltò di nuovo verso l’asta. Gli ci volle un istante per accorgersi che le offerte erano terminate. Il banditore stava chiedendo a gran voce al «gentiluomo inglese» se desiderava offrire di più. È Rivers, pensò Hal. Cosa diavolo sta architettando?

Poi qualcosa lo colpì allo stomaco, lasciandolo senza fiato e costringendolo a piegarsi in due per il dolore. Subito dopo venne colpito di nuovo, alla nuca.

E Hal Courteney non seppe più nulla dell’asta degli schiavi.

Il leone d'oro
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