Quella prima notte, dopo aver ucciso il marinaio portoghese, Judith e Ann avevano corso come lepri, spinte dalla paura e dal disperato bisogno di fuggire. Il giorno seguente fu difficile. Il calore del sole gravava su di loro come sei piedi di terriccio. L’eccitazione selvaggia seguita all’uccisione si affievolì e la fatica le assalì ancora, minacciando di sopraffarle. Non sprecarono energie parlando, ognuna persa nei propri pensieri, alla deriva nel mare di erba alta come relitti dopo una tempesta, finché Judith non ammise che dovevano riposare.

La seconda notte erano strette l’una all’altra fra i rami bassi e frondosi di un qat, alitandosi sulle mani e tremando di freddo, quando uno strillo improvviso sgorgò dall’oscurità per concludersi con quattro acuti latrati. Ann ghermì con forza le braccia dell’amica, gli occhi sgranati colmi di terrore.

«Uno sciacallo», disse Judith, ma vide che la ragazza non sembrava capire. «Somigliano a cani ma non sono un pericolo, per noi», spiegò. «Mangiano roditori, uccelli e frutta, persino insetti.» Preferì tacere sul fatto che si cibavano anche di giovani antilopi. Ann strisciò ancora più vicino a lei, e ogni volta che sentiva lo sciacallo lanciare il suo richiamo trasaliva, affondandole le unghie nel braccio.

Judith era stata combattuta sull’opportunità di accendere un fuoco, non tanto per tenersi al caldo ma per disporre di una fiamma con cui accendere la miccia del moschetto, nel caso avessero dovuto usarlo. Alla fine decise che il rischio che i loro inseguitori vedessero le fiamme o fiutassero l’odore del fumo nell’aria notturna era troppo grande. Così tremarono di freddo, pregando che l’alba arrivasse presto, insieme al primo bagliore rosa del sole sull’orizzonte orientale.

Lei dubitava che Ann potesse rimanere sveglia a fare la guardia perché, nonostante fosse terrorizzata, sembrava allo stremo delle forze, quindi staccò dei pezzetti dalla corteccia del qat e li masticò, sotto gli occhi sbalorditi della ragazza inglese.

«Non avevo mai visto nessuno mangiare un albero», commentò, tentando un sorriso stanco.

«Nel mio paese questo albero è famoso», ribatté Judith. «In realtà è celebre in tutto il Corno d’Africa.» Staccò una foglia e gliela offrì. «Tieni, assaggiala. Ma mastica bene.»

Ann la prese, la annusò e se la mise in bocca. Masticò lentamente, quasi temesse di venirne avvelenata.

Judith sorrise. «Gli uomini nel mio paese masticano sempre le foglie di qat, così come le capre ruminano il bolo», spiegò.

«Non capisco perché», disse la ragazza, con una smorfia di disgusto. «Non è molto buono. È amaro.»

Judith annuì. «Ma ti farà sentire meglio, più forte. Aspetta e vedrai.»

Non dovettero aspettare a lungo. Dopo poche altre foglie, il chiacchiericcio di Ann ricordò a Judith i parrocchetti che si appollaiavano sugli alti alberi al centro del suo villaggio natale, sui monti. Parlò del suo coraggioso marito e di quanto lo avesse amato, di come si fossero conosciuti e dei progetti che ormai non si sarebbero più realizzati.

Poi, come una bimba che voglia sentirsi ripetere all’infinito le favole della buonanotte preferite, insistette per sapere tutto di Hal, benché Judith glielo avesse raccontato già una ventina di volte e il ricordo di lui le causasse una sofferenza atroce. Raccontò di come si erano conosciuti, quando lei era il generale a capo dell’esercito cristiano dell’Etiopia contrapposto alle forze musulmane. Ann la osservò, come sempre, con un misto di timore reverenziale e incredulità, reazione che Judith capiva benissimo perché, guardandosi ora, quasi non riusciva lei stessa a credere di essere stata, un tempo, la custode del Sacro Graal e la salvatrice del trono dell’imperatore.

«È incredibile che io conosca una donna importante come te», ammise la ragazza. «Eccoci qui, in mezzo a una landa selvaggia, e stranamente siamo come sorelle, anche se non abbiamo nemmeno la pelle dello stesso colore, vero? Quindi rimarremo unite e ci aiuteremo a vicenda, ed è così che riusciremo a superare tutto finché non saremo in salvo, qualsiasi cosa accada.»

«Qualsiasi cosa accada», concordò Judith.

La lasciò parlare per un po’, anche se non le concesse altre foglie di qat: le avevano risollevato l’umore, ma Ann aveva bisogno di riposare in vista dei giorni successivi. Anche Judith bramava il sonno, ma sapeva di essere più forte dell’amica sia nel corpo che nello spirito. In fondo, aveva chi la spronava a proseguire. Il bambino, benché non ancora nato, a suo modo era già un guerriero, lei lo sapeva ed era sicura che le stesse prestando la sua giovane forza, una forza che trascendeva la fragilità del corpo della madre.

L’uomo mascherato non era l’unico predatore di cui avere paura, là nella savana. Se quella notte Judith dormì, lo fece con un occhio solo.

Il giorno dopo si rimisero in marcia poco prima dell’alba, all’inizio camminando a fatica, pur godendosi il tepore del sole nascente sulla pelle che ancora tratteneva il freddo della notte. Bevvero con parsimonia, bagnandosi a stento la gola prima di richiudere la fiaschetta. Judith ammirava l’autocontrollo di Ann. Contrariamente a lei, la giovane inglese non era abituata agli stenti, eppure quella mattina sembrava rinvigorita, quasi che, nella sua mente, avesse abbattuto un ostacolo che in precedenza la intralciava. Non equivaleva certo al Salvatore che risorgeva e faceva rotolare via la pietra che bloccava l’ingresso della sua tomba, ma era comunque un miracolo, perché Ann appariva rigenerata. Vedendola così, Judith cominciò a sperare che potessero davvero raggiungere la costa, alla fine. Una volta là si sarebbero imbarcate su un veliero diretto verso una destinazione qualsiasi, purché lontana dall’uomo mascherato.

«Troveremo un comandante inglese. Un uomo della Compagnia, magari», pronosticò con entusiasmo Ann, come ignara delle sue scarpe sfondate, col mignolo sinistro che spuntava, sporco di sangue, dalla cucitura strappata. «Gli racconterò la mia storia e lui si assicurerà di portarci sane e salve a Calcutta, o addirittura in Inghilterra.» Guardò Judith. «Là il bambino sarà al sicuro.» Il viso sudicio le si illuminò. «Potrete venire tutti e due a vivere con me! La mia famiglia abita vicino a Bristol, in un posto bellissimo. Tranquillo. Civilizzato», aggiunse, confrontandolo con quanto aveva intorno. Era intimidita dall’ambiente che la circondava, dai vasti panorami e dai paesaggi sconfinati, così diversi da quelli inglesi.

A sud, una mandria di centinaia di bufali oscurava la savana, brucando serena l’erba alta. I loro muggiti si propagavano nello spazio aperto e lei valutò l’ipotesi di seguirli, perché sapeva che l’avrebbero condotta all’acqua, di lì a qualche ora. Ma alla fine ritenne preferibile continuare a dirigersi a est finché c’era ancora luce, e ben presto si lasciarono alle spalle gli animali.

«È un posto sicuro, Westbury», affermò Ann, riprendendo il filo del discorso. «C’è una chiesa, la Holy Trinity, e il vicario mi lascia salire fino in cima alla torre campanaria. Da lassù riesci a vedere a perdita d’occhio. Ha sei magnifiche campane. Sei! Dovresti sentirle, Judith! Oh, ne adoreresti il suono, è splendido.» Judith preferì non scoraggiarla: pensare a casa le dava forza, così le permise di fantasticare, anche se non riusciva ad assecondarla fino in fondo. Anche se fossero riuscite a raggiungere la costa sane e salve e a trovare una nave con un comandante comprensivo, il pensiero di approdare nel paese natale del suo amato Hal senza averlo accanto le riusciva insopportabile.

Che stupida sono stata, pensò. Insistere per andare a Zanzibar quando avrei potuto rimanere al sicuro sulla Bough. Che importanza avrebbe avuto, se anche Hal avesse comprato le erbe sbagliate? A prescindere da quanto lei fosse stata male, sarebbe stata comunque meglio di adesso.

Ma ormai era troppo tardi. Era caduta nella trappola tesa dai suoi nemici e il bambino che portava in grembo non avrebbe mai conosciuto il padre. Era il prezzo per la propria stupidità, e le dava la nausea.

«Guarda», disse Ann, distogliendola dal suo tetro rimuginare. Stava indicando una piccola massa scura che si spostava fra l’erba gialla, nella media distanza e in direzione nord-est. «Che cos’è?» chiese. «Sembrano uccelli, ma sono troppo grandi.» Si riparò gli occhi dal sole cercando di vedere meglio.

«Avvoltoi», rispose Judith, mentre l’assembramento nero si disperdeva di colpo. Diversi uccelli sbatterono le ali e saltellarono, scostandosi goffamente per rivelare uno spettacolo che le fermò il cuore. Leoni. Anche Ann li vide perché si bloccò come lei, entrambe travolte dall’istinto e dalla paura che attanagliò loro le membra, seccò la bocca e fece venire la pelle d’oca.

Uno degli animali si voltò per ruggire a una coppia di uccelli tanto arditi da avvicinarsi abbastanza per becchettare la carcassa; si allontanarono saltellando, di poco. Judith contò cinque leoni nel branco, ma potevano benissimo essercene altri nascosti fra l’erba alta.

«Sono troppo indaffarati per curarsi di noi», affermò, augurandosi che fosse vero. Sperando che sugli ossi della preda uccisa – un tragelafo striato o un cudù minore, a quanto pareva – restasse abbastanza carne per tenerli impegnati. Mangiate in abbondanza, li sollecitò mentalmente, guardandoli mentre la strappavano dalla carcassa che sembrava contorcersi, con le zampe che si muovevano a scatti come se l’animale fosse ancora vivo. Mangiate in abbondanza, così da essere pieni e pigri, domani, e consentirci di proseguire.

Continuarono a dirigersi verso sud-est per evitare il branco di felini, camminando in salita per un po’ e ansimando per lo sforzo, sudando a stento perché avevano bevuto pochissimo. Avevano le labbra secche e spaccate, e la pelle un tempo chiara di Ann era arrossata, ustionata dal sole e piena di vesciche, benché lei non si lagnasse. Costeggiarono l’orlo di una scarpata prima di deviare sulla destra, verso la zona boschiva, e al tramonto attraversarono un ruscello nel quale riempirono le fiaschette, dopo avere bevuto fin quasi a scoppiare.

«Dovremmo accamparci qui, Judith, accanto al corso d’acqua», disse Ann.

«No.» Lei scosse il capo. «Vedi là?» Indicò un punto a sud in cui il ruscello si ampliava, e alcuni impala e un piccolo branco di suni stava lappando l’acqua, con la stessa foga mostrata poco prima da loro due. «Leopardi e leoni, forse anche ghepardi, sanno sicuramente che è qui che vengono quegli animali, al crepuscolo. Non saremmo al sicuro.»

Ann sorrise suo malgrado. «Non dovremmo preoccuparci di cose del genere, a Westbury-on-Trym», spiegò. «Il gatto dal pelo fulvo di mia madre è l’animale più feroce, da quelle parti.» Persino Judith rise.

Era buio quando si accamparono. Decise che stavolta avrebbero acceso un fuoco. Era un rischio, ma almeno avrebbe tenuto lontano i leoni, quasi più temibili dell’Avvoltoio. Del resto, da giorni sia lei che Ann si erano guardate attorno con attenzione e nessuna delle due aveva scorto traccia di eventuali inseguitori.

Con l’acciarino sottratto al marinaio portoghese morto, usando come esca un vecchio nido di tessitore, Judith si accanì su alcuni pezzi di legno fino a che non presero fuoco, dopo avere scavato un buco nel terreno perché le fiamme non risultassero visibili. Il bagliore, tuttavia, probabilmente lo era, così Judith fece del suo meglio per schermarlo con alcuni morbidi rami staccati da un arbusto costellato di fiori giallo oro. Senza una lama a disposizione erano serviti enormi sforzi per torcerli e spezzarli, ma ne era valsa la pena. Lei si disse che un leone o qualsiasi altro animale, sentendo l’odore del fumo, avrebbe fatto dietrofront. E nel caso loro due avessero avuto bisogno di usare il moschetto, grazie al fuoco avrebbero potuto accendere in fretta la miccia.

«Strano come persino un fuoco così piccolo possa risollevare il morale», disse Ann, le labbra spaccate tese in un sorriso mentre fissava le fiamme. Il coro notturno di insetti e innumerevoli creature sconosciute sembrava colmare il buio intorno a loro, ma le deboli fiamme erano qualcosa a cui aggrapparsi, quindi Judith sentiva di avere preso la decisione giusta.

Si nutrirono dei frutti colti da un enorme baobab. Spiegò ad Ann che erano chiamati pane delle scimmie, e mentre mangiavano utilizzò delle striscioline di corteccia a mo’ di bende per fasciarle i piedi sanguinanti. Poi, quando la ragazza si addormentò, masticò alcune altre foglie di qat che aveva messo da parte, ma nemmeno quelle riuscirono a tenerla sveglia.

L’alba era ancora lontana quando le ultime fiamme guizzarono e si spensero.

Poi arrivarono le iene.

Il leone d'oro
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