I tre uomini si muovevano, simili a spettri, sui tetti della città. Scalzi e silenziosi come ombre, Hal, Big Daniel e Will Stanley superarono con un balzo un breve spazio vuoto, finendo sul tetto piatto della casa alle spalle di quella del console Grey. Arrivare fin lì non era stato facile. Alcuni dei tetti da loro attraversati erano coperti di tegole che tintinnavano sotto le mani o i piedi, oppure erano così malferme che ogni tanto una scivolava via a tradimento, con un rumore raschiante capace di fermare il cuore. Era stata solo la loro lunga esperienza fra le sartie e i pennoni con la nave che beccheggiava a impedire una caduta fatale. Ma erano giunti fin lì, un punto di osservazione privilegiato, circa cinque piedi più su del tetto della dimora di Grey.

In contrasto con la facciata, con l’imponente portone di mogano ad arco sul quale erano intagliati elaborati motivi islamici, il retro era molto più sobrio, ma nel muro c’erano alcune finestre, e sotto quelle dei davanzali. Altre, più in basso, erano dotate di balconi dalla semplice balaustra in legno, uno dei quali avrebbe fornito loro la via di accesso.

«Riuscite a vederlo?» sussurrò Daniel.

Gli occhi di Hal, che erano sempre stati acuti come quelli di un falco, perlustrarono l’oscurità in cerca di Aboli. Non c’erano lanterne, lì, lontano dalla strada, e il cielo notturno si era riempito di nubi che la luce lunare forava solo di rado, ammantando i tetti di un fugace bagliore argenteo.

«Non ancora», rispose lui. Riusciva però a scorgere le sentinelle: due africani in tunica bianca, fermi accanto al cancello al centro del muro posteriore, l’entrata per bottegai e domestici. Portavano un archibugio, scelta astuta, pensò Hal, perché quando sparava ruggiva come un demonio, avvisando tutti che c’erano guai.

Altri due uomini stavano passeggiando lentamente, avanti e indietro, sul tetto di fronte a loro. Quelle guardie non c’erano quando Hal e Pett erano andati a pranzo dal console, ma di certo Grey si era assicurato di essere ben protetto, nel caso qualcosa fosse andato storto con il lavoro sporco di quella notte.

«Laggiù!» sibilò Hal. Big Daniel e Stanley lo raggiunsero strisciando.

«Gesù, Giuseppe e Maria, che coraggio», sibilò Big Daniel.

Sul tetto di fronte c’era Aboli, chino in avanti con il coltello in mano, che si muoveva con la rapidità e l’agilità di un’ombra e raggiungeva alle spalle uno dei guardiani.

Hal trattenne il fiato, sicuro che l’uomo si sarebbe voltato e avrebbe fatto fuoco con l’archibugio. Ma Aboli era già su di lui come un leopardo su un’antilope. Gli tappò bocca e naso con la mano sinistra mentre gli affondava il coltello nel collo, sotto l’orecchio. Hal vide la lama spuntare dall’altra parte; Aboli la mosse di scatto verso l’esterno, tranciando la gola; le gambe del guardiano cedettero e lui lo accompagnò fino a terra, senza un suono.

L’africano aveva già ripreso a muoversi, ma l’altra sentinella si stava voltando, raggiunta l’estremità orientale del tetto. Stanley imprecò sommessamente.

«Non ce la farà», borbottò Big Daniel.

La guardia sollevò l’archibugio, ma non fu abbastanza rapida e Aboli le tagliò la gola prima che potesse gridare. Poi fu lui a brandire l’archibugio mentre l’uomo, ancora in piedi, moriva soffocato dal proprio sangue, prima ancora che le sue gambe se ne rendessero conto. Aboli si piazzò alle sue spalle, lo adagiò a terra e raggiunse il bordo del tetto.

Daniel sospirò. «Dio sa che lo amo come un fratello, ma è più pericoloso del vaiolo.»

Si alzarono mentre Aboli raggiungeva l’estremità del tetto e, tenendo stretto un capo della cima arrotolata, la lanciava verso Hal, che la afferrò al volo. Aboli se la legò in vita, scavalcò il bordo del tetto, vi si aggrappò con le mani e si lasciò dondolare per un istante, prima di saltare sullo stretto davanzale di una finestra dell’ultimo piano. Se qualcuno all’interno lo avesse sentito o avesse notato un’ombra fuori dalla finestra, Aboli sarebbe stato spacciato, non sarebbero mai riusciti a introdursi in casa e forse Hal non avrebbe mai scoperto dov’era stata portata Judith.

«Che Dio sia con lui», disse Big Daniel.

«Sarebbe più utile qualcosa a cui legare quella cima», affermò Stanley.

Hal temeva che avesse ragione: c’erano soltanto il davanzale e la finestra, dalla quale sgorgava un caldo bagliore giallo che rischiarava la notte.

Ma, non appena quelle parole vennero pronunciate, Aboli saltò giù dal davanzale, atterrò silenziosamente su uno dei balconcini, sciolse la cima che aveva in vita e l’assicurò alla balaustra di legno. Non filtrava nessuna luce dalle alte finestre protette da imposte alle sue spalle.

«Ora tocca a noi», disse Big Daniel, legandosi in vita un capo della cima e indietreggiando finché non fu tesa come il braccio di un pennone. Su quel tetto piatto non c’era nulla a cui assicurarla, quindi sarebbe stato lui a fungere da ancora, sfruttando la sua mole enorme e la sua forza immane per reggere il peso di Hal e Stanley, mentre passavano sul tetto di fronte.

«Sicuro di farcela?» chiese Stanley con un mezzo sogghigno.

«Se non è così lo scoprirai presto», ribatté il nostromo.

«E lo stesso voi, Danny, se quel nodo non è perfetto», sottolineò Hal, preparandosi mentalmente a quanto dovevano fare. «Vado per primo», disse, quando Aboli sventolò un braccio per sollecitarli a raggiungerlo. Si avvinghiò alla cima con braccia e gambe, restandovi appeso per un attimo come un cervo appena abbattuto, con Big Daniel che tirava, le braccia enormi e le gambe possenti come querce che si sforzavano di tenere la cima tesa.

«Su, comandante», grugnì, e Hal si addentrò nella notte, la spada Nettuno che penzolava sotto di lui, le due pistole infilate nella fusciacca intorno alla vita. Non vi furono altre parole, solo concentrazione, muscoli e tendini. Tenendo le gambe incrociate sopra la cima e usandole unicamente come rampino, iniziò ad avanzare a forza di braccia lungo la cima tesa a una notevole distanza da terra. Aveva trascorso metà della sua vita sull’albero di una nave e non aveva paura di cadere, ma se una delle guardie rimaste fosse spuntata da dietro la casa, o qualcuno avesse guardato per caso fuori da una finestra sul lato posteriore, tutta la sua abilità nell’arrampicarsi non sarebbe bastata a salvarlo.

Sospeso nel vuoto, riusciva a vedere ben poco intorno a sé. Sentiva però il proprio battito cardiaco nelle orecchie, il latrato dei cani nelle strade di Zanzibar, il frinire dei grilli e, in lontananza, il flebile sospiro del mare. Si aspettava di sentire un grido di allarme o il boato di uno sparo, ma non ve ne furono, e raggiunse l’estremità opposta della cima vivo e inosservato.

Infilò una gamba all’interno del balcone e si tirò su, scavalcando goffamente la balaustra per ritrovarsi faccia a faccia con Aboli. Si scambiarono un cenno d’assenso, quindi si girarono verso lo spazio vuoto fra i tetti, per guardare Will Stanley che attraversava. In quel momento le nubi si squarciarono e i tetti di Zanzibar vennero inondati dalla fredda luminescenza della luna. Lo fu anche Stanley, che si immobilizzò per un istante ma ricominciò subito a muoversi in fretta lungo la cima, mettendo una mano dietro l’altra, con i muscoli delle braccia che scintillavano nel chiarore lunare. L’improvvisa accelerazione però fece muovere la cima di scatto, e Hal sentì Big Daniel imprecare mentre perdeva l’appiglio con i piedi e veniva strattonato in avanti, scivolando fin sul bordo del tetto. Stanley scese di colpo verso il basso, ma si tenne aggrappato, e Big Daniel, una sagoma gigantesca nella penombra, piegò la schiena all’indietro e tese nuovamente la fune come un’asta. Il suo compagno aveva già ripreso a muoversi.

Quando anche Stanley si arrampicò sul balcone, Aboli era già fermo accanto alla portafinestra, brandendo il coltello usato con maestria sulle sentinelle. Ne batté l’impugnatura su uno dei piccoli rombi del vetro a piombo, quindi infilò la mano nel buco così creato per togliere il fermo metallico all’interno. La finestra si spalancò e lui balzò nella stanza, il coltello di nuovo impugnato con una stretta da combattimento, pronto ad affrontare chiunque si trovasse dentro.

La stanza, tuttavia, si rivelò vuota, tranne che per alcuni mobili coperti da teli. Hal e Stanley lo raggiunsero e si diressero verso la porta. Hal sollevò il saliscendi con estrema lentezza, cercando di non fare il minimo rumore, socchiuse l’uscio e guardò dallo spiraglio. Vide esattamente quello che aveva sperato: il colonnato che correva lungo tre lati dell’edificio, all’altezza del primo piano, affacciato sul cortile centrale, sul quale si aprivano varie porte. Sul quarto lato, però, di fronte alla stanza in cui si trovavano lui e i compagni, le camere si intuivano assai più grandi: non c’era alcun colonnato e occupavano l’intera profondità dell’edificio; affacciavano sul cortile con finestre dai montanti in ferro, ornati da motivi delicati come merletti. Erano le camere più eleganti della casa, ed era logico presumere che Grey le avesse destinate all’uso personale. Infatti Hal vide guizzare la luce delle candele dietro i vetri, a suggerire che il console fosse ancora in piedi. Dannazione! Se ha compagnia, potrebbe complicare le cose, pensò.

Chiamò con un gesto i due compagni, che lo seguirono fuori, sul colonnato. Sapeva che c’erano altre due guardie all’esterno, accanto all’ingresso, ma un rapido esame della galleria e del cortile sottostante non mostrò traccia di altri uomini armati.

Il terzetto girò intorno al cortile, con il sommesso gorgogliare della fontana sottostante a mascherare lo scalpiccio dei loro piedi sul pavimento piastrellato, finché non raggiunsero un arco a ferro di cavallo, nel quale era infissa una porta di legno. Hal sguainò la spada e la tenne stretta nella destra, pronta a colpire, mentre sollevava il saliscendi con la sinistra. Poi spinse energicamente l’uscio con la spalla e balzò nella stanza, subito seguito da Aboli e Stanley.

Sentì un grido acuto. Di fronte a lui, a meno di un passo di distanza, completamente nudo, glabro a parte la peluria che gli rivestiva il petto molliccio e sussultante e correva sul ventre rotondo scendendo fino all’inguine, c’era il console Grey.

«Sir Henry», balbettò, con il sesso flaccido che si raggrinziva fra i peli pubici. Sul letto dietro di lui c’era un ragazzo africano, nudo, con il corpo color caffè che scintillava di olio e il bianco degli occhi che riluceva nel chiarore della lanterna. Nella mano minuta stringeva un frustino da equitazione, che Grey gli strappò per sollevarlo verso gli intrusi in un patetico tentativo di resistenza.

«Console Grey», lo salutò a sua volta Hal, puntando la Nettuno contro l’uomo che l’aveva tradito.

«Sta arrivando qualcuno, Gundwane», lo avvisò Aboli. Sentirono uno scalpiccio di piedi che salivano i gradini di pietra e capirono che lo strillo di Grey aveva dato l’allarme.

Si udirono due colpi sulla porta e una voce gridò: «Console! È tutto a posto? Console?»

Grey spostò lo sguardo da Aboli a Hal alla punta della spada sospesa a due dita dal suo ombelico, infine sulla porta, il viso paralizzato dalla paura e dall’indecisione.

«Aiutatemi!» sbottò. La porta si spalancò e due uomini in tunica irruppero nella camera, con la spada sguainata.

Aboli si avventò su uno di loro, serrandogli un braccio intorno al collo e trascinandolo indietro, mentre Hal alzava di scatto la spada per parare un fendente diretto verso il suo viso. Le lame tintinnarono e, prima che la guardia potesse colpire di nuovo, Stanley la raggiunse alle spalle, affondandole il coltello in un rene prima di squarciarle la gola con uno spruzzo scarlatto. L’uomo stramazzò al suolo, con la tunica che si arrossava e la carotide che pompava sangue sull’assito. Stanley si voltò nuovamente verso il letto e guardò torvo il ragazzo, che strisciò sotto il copriletto di seta e se lo tirò sopra la testa.

Aboli, accanto alla porta, aveva strangolato l’altra sentinella, dalle cui labbra spuntava la lingua gonfia. «Vai con Allah», mormorò, deponendo delicatamente a terra il cadavere.

A quel punto, il console Grey perse il controllo della vescica. Il getto di urina gli gocciolò lungo la gamba e finì sul pavimento, ma lui era troppo terrorizzato per accorgersene.

«Dov’è Judith? Dove l’hanno portata?» gli chiese Hal, premendogli la punta della spada sul ventre prominente. Aboli chiuse la porta della camera e vi si appoggiò.

Il console non tentò nemmeno di negare: doveva aver capito che era troppo tardi, ma non sembrava neppure in procinto di vuotare il sacco. Gocce di sudore gli rigavano il viso e la pappagorgia carnosa tremolò, ma lui non disse nulla.

Hal lo colpì in faccia con l’elsa della spada; l’uomo barcollò, ma le sue grosse gambe non cedettero. Raddrizzò la schiena, con un livido che gli fioriva già sulla guancia sinistra.

«Dove hanno portato Judith?» insistette Hal, sferrandogli un pugno alla tempia destra.

Grey vacillò e, quando riacquistò l’equilibrio, aveva gli occhi sgranati per la paura.

«Volete uccidermi, Hal, vero? Avanti, deve pur esserci la possibilità di un accordo.»

«Non ve lo chiederò di nuovo, signore», replicò Hal. «Ditemi subito cosa l’Avvoltoio e i suoi uomini hanno fatto di Judith.»

«Ci stiamo mettendo troppo tempo», osservò Aboli.

«Andate al diavolo, Courteney», ringhiò Grey. Evidentemente aveva ritrovato il coraggio. O forse aveva rinunciato a qualsiasi speranza di sopravvivere a quella notte.

Hal sollevò l’elsa della spada per colpirlo di nuovo.

«Aspetta, Gundwane», gli disse Aboli. Lui abbassò l’arma e lo guardò. «Posso costringerlo a dirti quello che vuoi sapere.»

Hal esitò, ma Aboli insistette. «Comandante, rimarremo qui tutta la notte, se non mi permetti di convincerlo a parlare.»

Al mondo non c’era nulla che Hal desiderasse più di infilzare il cuore del console con la propria spada, ma in quel modo non avrebbe salvato Judith. Cercò quindi di soffocare la rabbia che gli ardeva dentro. «È tutto tuo, Aboli.»

Il guerriero africano raggiunse la sedia accanto al letto sulla quale erano piegati ordinatamente la camicia e i calzoni del console. Tagliò una strisciolina di stoffa dalla camicia e la infilò nella bocca di Grey, spingendola con il pollice in fondo alla gola, e il console fu assalito dai conati. Aboli tirò la sedia in mezzo alla stanza e costrinse l’uomo a sedervi, quindi si mise a strappare altre strisce di tessuto dalle lenzuola. Le arrotolò formando delle cordicelle e le usò per legare le gambe del console a quelle della sedia. Hal capì cosa avesse in mente Aboli. Prese la cintura di Grey e la usò per bloccargli i polsi dietro lo schienale.

L’uomo lo fissò con gli occhi fuori dalle orbite. Il lato sinistro del suo viso stava assumendo il colore viola scuro del porto, e le cosce grasse tremavano contro la seduta.

Accovacciandosi dietro di lui in modo da risultare quasi invisibile, Aboli si mise all’opera con il coltello. Grey urlò, ma non si udì altro che un gorgoglio strozzato a causa del bavaglio che gli riempiva la bocca, e l’africano grugnì mentre faceva leva con la lama. Alla fine alzò la mano e Hal gli vide, stretta fra indice e pollice, l’ultima falange di un dito grassoccio del console. Aboli si alzò e girò intorno alla sedia per mostrare all’uomo il grumo di unghia, carne e osso che era stato il suo polpastrello.

«Dite al comandante quello che vuole sapere, signor Grey», gli intimò. «Oppure preferite giocare a fare il muto e il cieco? Forse dovrei mozzarvi la lingua e cavarvi gli occhi. A quel punto il gioco finirebbe.»

Grey annuì freneticamente, indicando che era disposto a parlare. Aboli posò sul pavimento, in bella vista, la falange tranciata, quindi gli tolse il bavaglio dalla bocca. Il console sembrava sul punto di svenire. Hal prese la brocca di vino posata sul cassettone e gliela accostò alle labbra. Lui bevve, sputacchiando, e il liquido gli colò sulla grossa pancia villosa.

«L’Avvoltoio dove ha portato Judith?» chiese Hal, e stavolta Grey annuì, come se il suo più grande desiderio fosse raccontargli tutto.

«La verità, capitano Courteney...» Fissò la brocca di vino con fare eloquente, sperando che alleviasse il dolore, e Hal gli versò altro liquido in gola. «La verità», continuò Grey, respirando affannosamente, «è che non rivedrete mai più quella cagna nera. È in mano al principe Jahan, che la venderà al mercato degli schiavi che si tiene ogni mese, qui a Zanzibar. È là che vengono messi all’asta i maschi migliori e gli animali di razza.» Guardò torvo Hal, con il viso pallido e madido di sudore, e aggiunse: «Una volta venduta, non la troverete più. I compratori arrivano da tutto il Levante, dal Nordafrica e persino dalle Indie, quindi potrebbe finire ovunque fra l’Africa, Costantinopoli e Calcutta. Il prossimo Courteney nascerà e morirà schiavo. E sua madre avrà il resto della sua vita per maledire il giorno in cui ha sfidato il volere del principe Jahan e le armate dell’Unico Vero Dio».

All’improvviso si gettò con tutto il peso all’indietro, e la sedia si rovesciò prima che Hal o Aboli potessero afferrarla. Sedia e uomo picchiarono sull’assito, Grey girò il viso verso il pavimento e cominciò a urlare con tutto il fiato che aveva in gola.

Hal udì uno scalpiccio, qualcuno che gridava: «Ehi!» e il tonfo di un corpo che piombava sulle assi del pavimento. Si voltò per vedere Stanley, lungo disteso a terra, e un lampo di carne nuda, mentre il ragazzino di Grey sfrecciava fuori dalla stanza con tutta la velocità che le gambe gli consentivano.

«Ho tentato di afferrarlo, ma quel piccolo bastardo era viscido come un’anguilla bagnata», spiegò Stanley.

Da un punto imprecisato della casa giunse un grido soffocato. Qualcuno stava impartendo degli ordini.

«Ne stanno arrivando altri», annunciò Aboli, l’orecchio accostato sulla porta.

«Allora è il momento di andarcene», disse Hal. Si fermò accanto all’uscio mentre Aboli e Stanley si lanciavano fuori, sul colonnato.

Grey era ancora legato alla sedia, intento a gridare e a dimenarsi come un pesce preso all’amo, per fare tutto il chiasso possibile.

«Dite a Judith di avere fede», gli ringhiò Hal. «Perché la troverò e la libererò.»

Uscì dalla stanza e seguì i due compagni. Dal cortile sottostante giunse un frastuono di voci, poi il grido allarmato di una sola. Pochi istanti dopo venne sparato un colpo e vi fu un’improvvisa esplosione di schegge di marmo in una delle colonne di fronte a Hal, seguita da altre urla e da un trapestio di piedi. Lui aveva quasi raggiunto Aboli e Stanley, che si stavano infilando nella stanza dalla quale si erano introdotti nell’edificio. Sbatté la porta dietro di sé, levò rapidamente il telo che riparava dalla polvere un grosso cassettone e gridò: «Presto! Aiutatemi a bloccare la porta!»

Con gesti spasmodici, i tre spinsero il mobile contro l’uscio e corsero alla finestra, chiudendosela dietro una volta che furono sul balcone. Hal guardò al di là dello spazio vuoto fra gli edifici per vedere Daniel, in evidente allarme a causa del frastuono che arrivava dalla casa del console Grey, ritto sul bordo del tetto di fronte, con la cima già stretta tra le mani e gambe e schiena tese per reggere la trazione. «Prima voi, Stanley», ordinò Hal.

Nel giro di pochi istanti il nostromo si stava già facendo scivolare lungo la cima ed era arrivato a metà strada.

Dal colonnato giunse una serie di colpi, mentre gli inseguitori tentavano di irrompere nella stanza, seguiti da una gragnuola di frammenti di legno e pallini contro le finestre quando qualcuno sparò contro la porta.

«Tocca a te, Aboli», disse Hal.

«Ma, Gundwane...»

«Vai! È un ordine. Io ho ancora queste...»

Indicò le pistole saldamente infilate nella sua fusciacca. A malincuore, Aboli annuì, afferrò la fune e cominciò la traversata. Hal rimase fermo sul balcone, dando la schiena alla parete accanto alla finestra, osservando l’avanzata dell’amico mentre ascoltava i rumori degli inseguitori alle sue spalle. Impugnò una delle pistole.

Aboli era quasi arrivato a destinazione, quando Hal sentì uno schianto di legno che andava in pezzi, seguito da un urlo di trionfo. Contò fino a tre e si voltò di scatto, in modo da trovarsi al centro della portafinestra, che spalancò con un calcio, mentre prendeva la mira con la pistola. Il bersaglio era un uomo intento ad arrampicarsi al di sopra del cassettone, a non più di tre passi di distanza. Hal si costrinse a mantenere la calma più assoluta in mezzo a quel finimondo, stabilizzò il braccio e sparò. L’uomo gridò di dolore e si accasciò sul mobile, a testa in giù. Hal infilò nella fusciacca la pistola scarica e afferrò l’altra. Stavolta mirò al buco nella porta, attraverso il quale intravedeva un gruppo di uomini intenti a urlare e gesticolare. Fece ancora fuoco e si udì un altro grido, che parve durare in eterno.

In qualsiasi punto io l’abbia colpito, gli ha fatto male, pensò Hal, voltandosi verso la balaustra e afferrando la cima. Aveva guadagnato alcuni istanti preziosi mentre gli uomini del console si riprendevano dalla perdita di due di loro. Ma poi gli giunse la voce di un uomo chiaramente esperto, che assunse il comando e restituì ai suoi un minimo di combattività, e capì che la tregua era finita. Era appeso alla cima con mani e piedi e procedeva, quando sentì un’altra esplosione di schegge di legno e il primo fuoco di un moschetto, mentre gli inseguitori irrompevano nella stanza deserta. Rovesciò la testa all’indietro per guardare il muro opposto. Era a circa due terzi del tragitto.

«Se volete sbrigarvi, comandante...» gridò Big Daniel.

«Sono arrivati sul tetto, signore!» urlò Will Stanley. «Maledizione, hanno gli archibugi dei compagni morti!»

Hal sentì sparare due colpi; un proiettile lo sfiorò, mancandolo di pochissimo prima di conficcarsi nel muro.

Hanno tagliato la cima, maledizione!

Si sentì scivolare lungo il muro e immaginò che Daniel stesse lottando per mantenere la presa sulla fune, dato che doveva reggere lui tutto il peso. Poi la sua discesa si interruppe di colpo, con un sussulto.

«Non preoccupatevi, comandante!» gridò Daniel dall’alto. «Vi teniamo. Fate con calma.»

Neanche per sogno! pensò lui, e si arrampicò sulla cima con l’agilità di chi sta salendo una scala. Vi furono altre grida provenienti dalla strada e altri spari, ma dopo un attimo Hal stava scavalcando affannosamente il limite del tetto. «Siete stato bravo, Danny», disse. «Dannatamente bravo.»

«Non siamo ancora fuori pericolo, comandante», sottolineò Big Daniel.

Hal sorrise. «Allora torniamo alla nave.» A quel punto cominciarono a correre, stavolta senza preoccuparsi di nascondersi, spinti dal bisogno di raggiungere la Delft prima che il console Grey svegliasse la guarnigione cittadina, formata da arabi dell’Oman. Sfrecciarono in direzione ovest, verso il mare, inerpicandosi su tetti di tegole e superando con un salto gli spazi vuoti tra l’uno e l’altro, con le grida degli inseguitori che si affievolivano finché, ormai sicuri di essere sfuggiti al capestro, i quattro uomini scesero una scalinata di pietra, finendo su una strada rischiarata dalla luna, a due vie di distanza dal fronte del porto. Si fermarono in fondo ai gradini, le mani sulle ginocchia, la testa china in avanti, il petto che si alzava e si abbassava ritmicamente.

Poi ripresero a correre.

Saettarono lungo il fronte del porto, il mare alla loro sinistra screziato di bianco nella mezza luce della luna, diretti alla scaletta d’approdo accanto alla quale aspettava la lancia. Per arrivare là, però, erano costretti a puntare verso la fortezza che proteggeva il porto e la guarnigione che si stava sicuramente mobilitando, con il console Grey a tirare le fila.

Distavano circa duecento passi dalle mura bianche del forte, quando un enorme portone costellato di borchie si aprì scricchiolando e ne uscì un plotone di soldati dell’Oman, armi in pugno. Il loro ufficiale riconobbe Hal e alcuni dei suoi uomini si fermarono per sparare, con le lunghe armi che sputavano lampi di fuoco nella notte. Hal sentì le pallottole squarciare l’aria intorno a loro, mentre chinava la testa e correva ancora più in fretta.

«Avanti!» gridò. «Non fermatevi!»

Puntarono direttamente verso la fiumana di soldati in tunica bianca che si stava riversando fuori dal portone.

«Per Dio e per il re!» urlò Hal, la spada nella destra, la pistola a pietra focaia nella sinistra. «Per Dio e per il re!»

All’improvviso si levarono delle voci: l’equipaggio della lancia della Delft salì di corsa gli scalini dall’ormeggio, sciamando sulla terraferma, e scaricò le pistole contro l’ammasso confuso dei soldati della guarnigione. Quell’intervento repentino e del tutto inaspettato provocò un totale scompiglio fra gli arabi, mentre la raffica di spari li assaliva e quelli ancora in piedi si voltavano a fronteggiare l’inattesa minaccia.

«Per Dio, per il re e per la Golden Bough!» ruggì Big Daniel in testa alla carica, decapitando un uomo con un colpo di sciabola. Gli altri marinai della Bough si gettarono nella mischia, menando fendenti e vibrando pugnalate come furie.

«Per la Bough!» gridò Hal, colpendo con la spada un soldato sul viso. Mentre l’uomo di fronte a lui crollava a terra, si guardò intorno. Vide che il vantaggio ottenuto con l’attacco a sorpresa si era ormai esaurito, e l’inferiorità numerica sfavoriva i suoi uomini.

«Sembra che qui non siamo più graditi, ragazzi!» urlò. «Alle lance, mastro Daniel!»

Un tintinnare e raschiare di lame d’acciaio e i grugniti e le grida degli uomini in lotta per la vita riempirono la notte dell’isola. Hal vide un marinaio che conosceva da sempre ucciso da un pugnale ricurvo che gli squarciò la gola e un altro abbattuto a forza di percosse, il cranio sfondato dal calcio di un moschetto. Vide Will Stanley mozzare il braccio di un arabo e Aboli ucciderne tre nel tempo necessario a uno scolaretto per contare fino a quel numero.

Ma altri arabi si stavano riversando fuori dal forte.

«Alle lance!» gridò Hal per sovrastare il frastuono, e cominciarono a correre.

Stava salendo sulla seconda lancia quando sentì l’ufficiale dell’Oman gridare l’ordine di sparare. Si udì un fragoroso fuoco di fucileria e il ragazzo accanto a Hal venne scagliato in acqua.

«Portateci alla Bough, signori, per favore», disse lui, la schiena ben eretta e la testa alta, mentre proiettili di moschetti e pistole finivano in mare intorno a loro.

Il fuoco nemico divenne più irregolare e impreciso con l’ampliarsi della distanza, finché non salirono a fatica a bordo della Delft in attesa.

«Portatela fuori, signor Tromp», ordinò bruscamente Hal mentre saliva dal boccaporto di sinistra. «Fate rotta verso il canale, vi prego. Alla prima opportunità la lasceremo procedere con il vento in poppa.»

«E il canale sia, signore», replicò Tromp manovrando la barra per prendere il vento. La velatura crepitò sonora come la distante raffica di spari sulle mura della fortezza, gonfiata dall’impetuosa brezza notturna.

«Voi conoscete la nave meglio di chiunque altro, signor Tromp, quindi aprite le vele come ritenete opportuno. Ma in fretta, badate. Meglio non indugiare, con quei cannoni che ci guardano dall’alto.»

Tromp latrò una serie di ordini e la Delft rispose come un purosangue da corsa, fremendo mentre assumeva l’andatura al traverso virando a sinistra, con le vele che scintillavano candide contro il cielo notturno mentre poggiava.

Adesso che volava, i cannonieri sulle mura della fortezza dovevano modificare in continuazione la mira e l’angolo di elevazione dei cannoni, ma a quel punto la Delft era già fuori portata e stava volgendo la prua verso sud per filare sottovento.

«Ottimo lavoro, signor Tromp», disse Hal mentre si lasciavano alle spalle l’isola di Zanzibar. «Ora riportateci alla Bough, se non vi dispiace.»

Il leone d'oro
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