Hal cominciò lentamente, come fece Fernandes, a dispetto degli ordini del comandante di mantenere un ritmo vivace. Le dita dell’anziano uomo accarezzarono le corde dello strumento, con nocche e tendini che si appassionavano al loro compito, rammentando la gioia di trarre musica da quell’oggetto a forma di otto e dalle curve levigate, fatto di legno di cipresso e cedro. Lui si calò nella melodia della sua epoca come una signora che si immerga in un bagno caldo, pizzicando le corde per far intonare il loro canto soave e sommesso.

Anche Hal si concesse di fondersi con la melodia, i muscoli che chiamavano a raccolta le forze, la mente che tentava di dimenticare l’umiliazione alla quale era costretto. L’unica cosa importante era Judith. Doveva sopravvivere a ogni costo.

Tallone e punta, tallone e punta, le mani serrate dietro la schiena mentre i piedi eseguivano i passi, rivendicando il possesso di quell’angusta sezione di ponte della Madre de Deus. Le piante dei piedi scalzi atterravano delicatamente sul tavolato, cominciando ad acquistare velocità mentre Fernandes accelerava la musica, come un comandante che volga le sue vele al vento.

Hal supponeva di avere il vantaggio di conoscere almeno la melodia; dubitava infatti che l’africano avesse mai visto uno strumento simile. Eppure risultò ben presto evidente che l’altro aveva davvero la musica nel sangue, perché si muoveva con un portamento e un’eleganza che lasciarono sbigottito Hal, mentre le prime stille di sudore gli colavano lungo le tempie, con le ossa che scricchiolavano nelle articolazioni dopo i giorni di prigionia.

Jamaica era confluita in una melodia che non riconobbe, ma ormai stava ballando una semplice giga, il tipo di danza a cui i marinai potevano dedicarsi dopo una giornata di duro lavoro, semiaddormentati o addirittura dati volta a una cima di canapa. Teneva il busto rigido, una mano posata sul fianco, l’altro braccio dietro la schiena come quello di uno schermidore. Muoveva i piedi con brio e vivacità, segnando il tempo in un ritmo triplo, con i muscoli delle gambe che si univano come una fune intrecciata. Hal capì che, nonostante il suo aspetto trasandato, il pubblico era molto colpito nel vedere un uomo dalle spalle così ampie e dalla corporatura così robusta danzare con una tale leggerezza. Eppure si sentì goffo quando guardò l’africano, che sembrava conoscere i passi con la stessa naturalezza con cui un uccello sa volare. E non stava nemmeno sudando, laddove la traspirazione faceva pizzicare gli occhi di Hal, scorrendogli in rivoletti lungo la schiena, con ogni goccia che batteva un ritmo tutto suo sul ponte.

Gli ufficiali portoghesi si stavano divertendo. Alcuni ridevano e applaudivano a tempo con la musica oppure si davano manate sulle cosce in controtempo. Altri indicavano Hal o l’africano, spiegando perché l’uomo sul quale avevano scommesso avrebbe vinto e perché la somma puntata dall’amico era praticamente persa. Il comandante Barros aveva un sorriso da squalo dipinto in faccia, e altri marinai si erano radunati accanto alle impavesate per osservare la scena, senza dubbio scommettendo anch’essi sul risultato finale.

Ormai Hal non badava più alla musica, ammaliato dal ritmo dei propri piedi sul ponte, un ritmo che stava accelerando, mentre il vecchio Fernandes smentiva la sua età avanzata, con le dita che danzavano su e giù sul manico dello strumento.

«Il nero è agile come un cobra!» gridò in portoghese uno degli ufficiali.

«Forse sta danzando per le sue divinità», commentò un altro. «Sta evocando un vento di tempesta che lo rapisca per riportarlo dalle sue nove mogli.»

«Nove mogli? Cristo, preferirei la morte, piuttosto che averne altre otto come la mia», ribatté il quartiermastro.

Il sole era ben alto sulla terraferma africana, ormai. Sfavillava sull’oceano riflettendosi sulla dritta della Madre de Deus, torrido quanto una fornace, lì sul ponte. Hal aveva il respiro irregolare. Cominciava a sentire le gambe pesanti e stava boccheggiando per la sete, come un pesce preso all’amo in cerca d’aria. Intorno ai suoi piedi, il tavolato da poco strofinato era scurito dal suo sudore, e lui non osava levare lo sguardo verso l’africano per paura di scoprirlo ancora energico e resistente, perché avrebbe minato la sua volontà. Eppure sentiva ancora i piedi dell’altro pestare sul ponte, ora più pesanti, grazie al cielo, e con la coda dell’occhio ne vedeva la macchia indistinta.

Così continuò a danzare.

Poi, a dispetto del dolore che si irradiava da tutte le ossa minuscole dei piedi, salendo lungo i polpacci e i possenti muscoli delle cosce fino ai fianchi e al collo, tanto che la testa gli sembrava un enorme peso di piombo, provò compassione per l’africano. Perché lui stava ballando per la donna che possedeva la sua anima e per il bimbo che doveva ancora trarre il primo respiro dal sapore del sale. Un’intera vita in mare aveva forgiato il suo corpo, facendone uno strumento duro, resistente. Ogni muscolo e ogni tendine erano stati affinati per eccellere in qualsiasi mansione fisica.

Quello strumento, tuttavia, cominciava ora a cedere. Hal aveva rallentato il ritmo della danza, incapace di mantenere il passo o un qualsivoglia ritmo legato al suono prodotto dalla viola da mano. Sentiva il corpo indebolirsi. Sopra di sé udì dei gabbiani che sembravano ridere di lui e fece una smorfia di dolore. Si chiese, con la mente annebbiata dalla sofferenza e dalla sete, che aspetto avesse, e si immaginò come un vecchio che avanzava barcollando sulla sabbia rovente del Sahara. Eppure, benché il corpo cominciasse a tradirlo, sapeva che il cuore non l’avrebbe mai fatto. La sua giga poteva anche essere una grottesca parodia, ma soltanto la morte avrebbe potuto impedire ai suoi piedi di continuare a battere su quel ponte.

Era incredibile che il vecchio Fernandes stesse proseguendo, perché anche lui doveva essere esausto, ma a Hal non interessava. Le braccia gli ciondolavano lungo i fianchi e riusciva a malapena a sollevare il mento dal petto.

«Continuate, cani!» ringhiò qualcuno. Il gatto a nove code sferzò la schiena e le spalle dell’africano, e Hal sentì sulle labbra il gusto del sangue dell’uomo.

«Sembra che gli squali otterranno un po’ di carne scura, per cena», disse uno degli ufficiali.

«Non è ancora finita», intervenne un altro. «Il tuo inglese non sembra poi così vivace.»

Gli spettatori li stavano incitando, ma Hal era troppo stanco per capire cosa dicevano. I lunghi capelli lisci gli ricadevano sul viso. Ormai non si accorgeva quasi più di nulla, nemmeno di cosa stessero facendo le sue gambe, né sapeva se si stavano muovendo o meno. Sentì schioccare di nuovo la frusta e temette che stavolta avesse raschiato la sua carne. Incespicò e cadde in avanti, posando un ginocchio a terra, e il cervello gli ordinò sprezzantemente di rialzarsi. Lo fece, ma nel frattempo lanciò un’occhiata alla sua sinistra e vide che l’africano era carponi, con la testa che ciondolava in avanti e il ventre che si incavava e si gonfiava al ritmo del suo respiro affannoso.

Sentì delle acclamazioni e capì che erano rivolte a lui. Raddrizzò la schiena e alzò il capo. Si posò la mano destra sul fianco e sollevò il braccio sinistro, portando la mano al di sopra della testa.

Tacco e punta. Un passo a destra, un passo a sinistra, un passo a destra, un saltello a destra. Mentre, per cambiare posizione, sollevava la gamba su cui poggiava il peso, l’altra per poco non cedette, quando il piede toccò terra, eppure in qualche modo Hal riprese a danzare.

«Per me basta così!» gridò il quartiermastro, suscitando un coro di acclamazioni e imprecazioni.

«Sì, è sufficiente. Avete vinto, inglese.» Il comandante Barros si tolse il cappello con un ampio gesto del braccio e lo tenne sollevato per segnalare la fine della gara. «I vostri compatrioti sarebbero fieri di voi.»

«Alzati in piedi, maledetta esca da squali!» sbraitò l’uomo con la frusta, sferzando l’africano che tentava invano di alzarsi. «In piedi, ho detto!» Il gatto a nove code colpì di nuovo, e subito dopo, d’impulso, senza un motivo razionale, benché incespicando Hal si ritrovò ad avventarsi sull’uomo, colpendo carne e ossa. Caddero entrambi a terra e le mani di Hal strinsero la gola dell’altro.

«Vigliacco!» sibilò lui. Pieno di rabbia e bramoso di uccidere quei demoni scellerati, per i quali era naturale trattare gli esseri umani come bestie, svanita ormai la rivalità nei confronti dell’africano, in un afflato di empatia abbassò di scatto la fronte sul naso dell’altro, spaccandolo.

«Levatemelo di dosso!» stava strillando l’uomo con la frusta, e Hal si sentì sollevare in aria. Scalciò e mulinò le braccia, riuscendo a liberarsi, ma cadde sul ponte e quelli gli furono di nuovo sopra.

«Tenetelo fermo!» gridò Barros mentre gli ufficiali lo rimettevano in piedi, con uno di loro che afferrava i capelli di Hal e gli tirava indietro la testa di scatto. Il giovane Courteney si ritrovò il viso del comandante che sfiorava il suo.

«Insolente di un cane inglese!» sbottò Barros, dandogli un manrovescio. «Sei disposto a farti uccidere per un lurido negro?» Lo colpì di nuovo, e le nocche gli spaccarono il labbro.

«Ucciderei voi per lui», replicò Hal, con la furia che spazzava via ogni cautela per la sua stessa vita, oltre che per quella di Judith e del loro figlio. Il sangue gli colò sulla barba, e lui si passò la lingua sulla carne lacerata, assaporando il liquido nella bocca riarsa.

Sapeva cosa stava per succedere e contrasse i muscoli dello stomaco mentre Barros gli sferrava un pugno che gli tolse il fiato, ma non abbastanza da impedirgli di insultarlo, dandogli del vigliacco e del bastardo.

Il comandante non replicò, ma raggiunse la fiancata e prese dal parapetto di murata interno una delle caviglie inutilizzate. Brandendo quell’arnese di legno massiccio a mo’ di clava, glielo calò sulla tempia.

Un bagliore incandescente accecò Hal che, nel buio, sentì Barros dire: «Sei un amico degli animali, inglese. Chissà se lo sei anche dei pesci». Si rivolse ai suoi uomini. «Prendete un’altra cima. Avremo qualcos’altro su cui scommettere, signori.»

Tennero fermi Hal e l’africano mentre legavano una lunga cima intorno al petto di ognuno. Hal si arrese all’inevitabile, preferendo conservare il vigore per quando gli sarebbe servito, ma l’africano si stava ancora dibattendo, il terrore che sovrastava lo sfinimento, mentre entrambi venivano spinti a poppa e calati dal parapetto di sinistra. Scesero sempre più giù, con i marinai della Madre de Deus che tenevano l’estremità delle cime e Hal che imprecava, mentre la carne degli avambracci e delle gambe sotto il ginocchio veniva lacerata dai cirripedi sullo scafo. Quando cadde in mare con un tonfo gridò per il dolore bruciante causato dall’acqua salata sulle ferite.

Gli uomini a bordo continuarono a srotolare le due cime e Hal e l’africano finirono nella scia della nave, sputando e dibattendosi per tenere la testa fuori dall’acqua. Lui inarcò la schiena e scalciò furiosamente, ma, quando la lunga cima venne ulteriormente srotolata, fu spinto dalla corrente nel tratto peggiore dell’oceano tumultuoso, solcato dallo scafo e spumeggiante. Aggrappandosi alla cima, riuscì comunque a non farsi soffocare dall’acqua.

Guardò da una parte e scoprì con sollievo che nemmeno l’africano era annegato e stringeva la cima con cupa determinazione, i muscoli delle braccia contratti e gonfi per lo sforzo.

«Tieniti stretto!» gli gridò Hal, mimando platealmente il gesto di afferrare qualcosa con entrambe le mani, sperando che l’uomo capisse il senso della frase. «Tieniti stretto e basta. Presto ci tireranno su!» Era quello che si stava ripetendo lui; il comandante Barros non poteva essere così idiota da preferirli morti, rinunciando al denaro che potevano fruttare sul mercato degli schiavi.

Gli ufficiali della Madre de Deus si erano tolti gli enormi cappelli per paura che il vento li facesse volare fuori bordo. Hal riusciva a vederli radunati accanto al parapetto di poppa, con dietro le vele e una ventina di marinai intenti ad arrampicarsi sulle sartie.

Sta rallentando l’andatura, pensò, pienamente consapevole di cosa avrebbe significato una diminuzione di velocità di due o tre nodi. E infatti riuscì a scorgere gli uomini disseminati lungo l’albero di mezzana e quello di maestra, sagome scure contro il cielo azzurro, intenti ad ammainare velacci e controvelacci. Alla fine lui stesso sentì di essere trascinato con meno violenza, cosa che, se non altro, gli facilitava il compito di tenere la testa fuori dall’acqua; quando guardò verso l’africano lo vide fare una smorfia che interpretò come un’espressione di sollievo.

Crede che siamo salvi. Quello sciocco osa sperare che usciremo indenni da questa prova, con solo qualche taglio e l’orgoglio ferito. Il pensiero del proprio sangue nell’acqua lo spinse a guardarsi per la prima volta alle spalle. Allungando il collo mentre si teneva aggrappato alla cima, si sforzò di vedere al di là della scia dietro di lui.

Notò subito le pinne che li seguivano.

Sentì l’equipaggio della Madre de Deus esultare. I marinai dietro i parapetti del mercantile si tenevano aggrappati alle sartie, lanciando grida eccitate.

«Che Dio ci aiuti», borbottò. Il banco di squali tigre distava circa una gomena. I predatori che si aggiravano nelle tiepide acque dell’oceano Indiano non gli erano certo ignoti: squali orlati, pesci martello, gli enormi squali bianchi noti per essere capaci di ingoiare un uomo tutto intero, e gli onnipresenti squali tigre dal muso arrotondato che terrorizzavano tutti i marinai con la loro insaziabile voracità. Ne aveva visti alcuni lunghi venticinque piedi dal muso all’estremità della coda. Aveva sentito parlare di squali tigre che attaccavano lance, staccavano addirittura pezzi dello scafo a morsi e poi li inghiottivano.

Ne aveva visto uno affondare i denti nel guscio coriaceo di un’enorme tartaruga marina. Gli era insopportabile immaginare lo scempio che un simile predatore avrebbe fatto del suo corpo, eppure non riusciva a pensare ad altro, sapendo che quelle creature fiutavano l’odore del suo sangue.

L’africano urlò di terrore: anche lui si era accorto che avevano compagnia. Ma Hal non aveva alcun consiglio da dargli. Ormai non potevano fare altro che sperare e, se si fosse arrivati a tanto, combattere.

Ormai la Madre de Deus aveva ridotto la velocità a qualcosa come quattro nodi; Hal capì che Barros doveva aver ammainato alcune vele anche sul trinchetto, o forse il vento era calato. In ogni caso si sentì gelare il sangue nelle vene, ormai più freddo dell’acqua intorno a lui; sperò che i portoghesi si fossero divertiti abbastanza e stessero per issarli di nuovo a bordo, prima dell’attacco degli squali.

Ma l’equipaggio del mercantile non aveva ancora finito con loro. Avevano scommesso, c’erano soldi in ballo.

Hal non vide nemmeno lo squalo che lo attaccò. Avvertì l’impatto, però, l’enorme testa a cuneo che gli si avventava contro la coscia destra facendolo roteare, tanto che per un istante si ritrovò supino, a guardare il cielo. Poi si raddrizzò, trasse un bel respiro e lasciò andare la cima, che si allungò finché il cappio non gli affondò nella carne sotto le braccia. Buttò fuori l’aria dai polmoni e si dimenò per infilare il viso sott’acqua, con gli occhi che scrutavano nella foschia azzurrognola cercando lo squalo che lo aveva colpito.

Lo vide: era rimasto indietro di una trentina di piedi, muovendo il muso da una parte all’altra mentre nuotava sotto la scia di Hal.

Adesso lo avrebbero tirato su, non c’erano dubbi. Era stato il primo a subire il rude esame di uno squalo. Gli uomini di Barros avevano visto sicuramente la scena e ora lo avrebbero issato nuovamente a bordo, accolto dalle acclamazioni di quanti avevano vinto la scommessa.

Ma non lo fecero e lui, al colmo dell’orrore, vide un altro squalo sbucare dalla penombra accanto al suo fianco destro, sferzando l’acqua con la coda, impegnato in uno sforzo immane per raggiungerlo. Urlò sott’acqua, torcendo di nuovo il busto e scalciando con tutta l’energia che riuscì a radunare. Il suo tallone sinistro urtò violentemente il muso dell’enorme creatura, facendola sbandare di lato, il ventre giallo-bianco un lampo nella penombra blu.

Ne individuò un altro alla sua destra e, dalla forma massiccia e l’ampio muso piatto, capì che era un maschio. Lo squalo dimenò la coda per tenersi al passo con lui, poi sfrecciò in avanti, avvicinandosi a tal punto che, quando Hal finì ancora sott’acqua, si ritrovò a fissarne gli occhietti malvagi. Il maschio scomparve e lui inarcò il corpo, affiorando di scatto in superficie per trarre un respiro affannoso prima di rimettere la testa sotto.

Quando l’ennesimo predatore gli si avvicinò con le fauci spalancate, e Hal ne vide i denti seghettati affilati come rasoi, in preda al terrore, pensò a Judith perché si credette sul punto di morire, sbranato per divertire dei folli. Ma non intendeva lasciarsi prendere così facilmente. Urlò e si girò scalciando con tutte le forze, quei denti crudeli lo mancarono e la creatura venne distanziata, l’energia ormai esaurita.

Quel terrore durò quasi un’ora, Hal che parava gli attacchi degli squali, prendendoli a calci sul muso arrotondato e sugli occhi, contorcendosi e riuscendo a sottrarsi appena in tempo alle loro mascelle, consapevole che l’africano stava facendo la stessa cosa. A un certo punto, però, vide un dibattersi disperato accanto alla sua spalla sinistra ed ebbe la terribile certezza che l’altro era stato morso. L’uomo non gridò. Forse era troppo stremato e si era arreso. Hal lo scoprì quando affiorò in superficie, ansimando per respirare, e udì un lamento corale levarsi dagli uomini assiepati accanto al parapetto poppiero della Madre de Deus. Il comandante Barros stava urlando furiosamente ai marinai all’estremità dell’altra cima: avevano lasciato che l’africano venisse preso. Cosa si era messo in testa, quell’idiota?

Hal pensò soltanto a se stesso. Gli squali in un raggio di parecchie miglia sarebbero stati attirati dalla preda appena uccisa. Il sangue e i brandelli di carne dell’uomo avrebbero scatenato la loro bramosia. Sempre che nel frattempo non annegasse, perché era stremato e temeva di non poter continuare a combattere a lungo. Stentava a tenere la testa al di sopra dell’acqua turbinante della scia della nave e, anche se il terrore era la sua forza, ben presto anch’esso si sarebbe esaurito.

Si rese conto che si stava avvicinando allo scafo della Madre de Deus: lo stavano alando a bordo. Salì sempre più su, issato sulla nave come il pescato di quel giorno, fra le strida dei gabbiani, e quando venne tirato al di sopra del parapetto di sinistra stramazzò sul ponte.

Si accorse a malapena che gli stavano serrando dei ceppi intorno alle gambe intorpidite, ma non si oppose. Non avrebbe potuto farlo nemmeno se ne fosse andato della sua vita. Era sfinito.

«Congratulazioni, inglese, crei troppi problemi persino agli squali affamati», dichiarò Barros.

Hal non ebbe la forza di replicare. Ma era vivo.



Il leone d'oro
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