Judith aveva riflettuto parecchio su cosa indossare il giorno in cui lei e Hal si fossero finalmente riuniti. Era stata tentata di ordinare una corazza di acciaio, modellata in modo da aderire come un guanto alla sua figura, attorno alla quale avrebbe drappeggiato una fusciacca di seta con i colori del rosso, giallo e verde, su cui sarebbero state appuntate le sue decorazioni, in tutto il loro splendore di oro e pietre preziose. L’imperatore le aveva donato uno stocco di pregiato acciaio di Damasco, un’arma letale forgiata su misura per la corporatura e la forza di una donna. Quegli ornamenti marziali sarebbero apparsi splendidi, mentre lei saliva sul ponte della Golden Bough, e sarebbero serviti a rammentare agli uomini a bordo che lei non era una creatura inerme e delicata, incapace di offrire alcun contributo alla vita a bordo, bensì un guerriero temprato dalle battaglie, tanto quanto loro.

Eppure, per quanto aspirasse al rispetto dell’equipaggio, voleva anche che il suo uomo la amasse e la desiderasse, e sì, benché odiasse ammetterlo, voleva essere bella per lui. Erano riusciti a strappare una preziosa ora insieme, alcune settimane prima, quando erano stati convocati a un consiglio di guerra. Ma per quanto sfruttassero al meglio ogni istante trascorso insieme, e per quanto il bramoso desiderio che Judith provava per lui venisse appagato, almeno per un po’, ricordare l’estasi alla quale Hal riusciva a portarla non faceva che rendere ancora più insopportabile ogni successivo addio. Non voleva che nulla più si frapponesse tra loro, in futuro. Spada, armatura e decorazioni militari erano state riposte nei bauli che avrebbe portato a bordo, e lei indossava un tradizionale abito etiopico di puro cotone bianco, che le arrivava alle caviglie. Orlo, maniche e colletto erano ornati da fasce di ricami dai colori vivaci e recavano un disegno di croci dorate. Portava collane d’oro e grani d’ambra, e orecchini d’oro a cerchio con perle al centro.

I capelli erano acconciati in treccine che le aderivano al cranio, sopra le quali appuntò un monile costituito da due fili di perle e grani d’oro magistralmente lavorati, uno dei quali le girava intorno alla testa e si univa all’altro, che le attraversava invece la sommità del capo. Un piccolo ciondolo d’oro e perle coordinato agli orecchini spiccava al centro della fronte, appena sotto l’attaccatura dei capelli, fissato a entrambi i fili, che a sua volta teneva fermi. Infine, Judith si drappeggiò su testa e spalle uno scialle di sottilissimo lino bianco, simbolo di pudore. In privato era disposta a interpretare il ruolo della concubina, ma in pubblico la sua reputazione doveva rimanere immacolata.

Raggiunse il porto di Mitsiwa a bordo di una carrozza, scortata da un drappello di guardie imperiali a cavallo, tutte in alta uniforme, con i pennacchi raffiguranti il leone dell’Etiopia che sventolavano sulle lance. Il cocchio si fermò accanto alla banchina e le guardie formarono un cordone intorno a lei, mentre uno stuolo di abitanti del posto correva ad ammirare l’eroina della loro terra, stentando a credere che la grande Judith Nazet, ai loro occhi una figura ammantata di gloria quasi mitica, fosse davvero lì, in mezzo a loro. Una delle guardie smontò e raggiunse lo sportello della carrozza. Lo aprì e tirò fuori una scaletta, poi si ritrasse in modo che tutti potessero vedere Judith che scendeva dal veicolo.

All’ultimo momento, in parte perché aveva previsto che il suo arrivo avrebbe attratto una vera e propria folla e in parte perché voleva offrire al suo popolo un memento della gloriosa vittoria di cui tutti loro potevano andare fieri – molti di quegli uomini infatti erano stati nelle file dell’esercito da lei guidato –, la ragazza aveva deciso di indossare la fusciacca con le onorificenze. Quando uscì dalla carrozza, l’accecante luce di metà mattina brillò su di lei, su oro, perle, pietre preziose e sulle medaglie e i premi dagli smalti e nastri variopinti di cui era ornata, tanto che parve scintillare come una dea. Un suono si levò dalla folla, più simile a un ansito di timore reverenziale che a un’acclamazione. Ma per quanto lei sorridesse e salutasse tutti con la mano, i suoi occhi e il suo cuore erano per un uomo soltanto.

Hal Courteney l’aspettava ai piedi della scala reale. Pur essendo il comandante di una nave da guerra, non portava alcun distintivo di rango. Benché fosse anch’egli un membro dell’ordine del Leone di Etiopia e vantasse il rango di cavaliere Nautonnier del tempio dell’ordine di San Giorgio e del Sacro Graal – i navigatori le cui origini risalivano ai Templari, di cui Hal faceva parte, come suo padre prima di lui – non sfoggiava né medaglie né onorificenze. Le si stagliava di fronte con i capelli legati da un semplice nastro nero, una camicia bianca fresca di bucato, lasca nei calzoni neri e con il colletto aperto. Il tessuto scintillante si gonfiava appena nella dolce brezza, lasciando intravedere di tanto in tanto il torace snello e muscoloso. Appesa al fianco portava la spada, una lama di acciaio di Toledo con l’elsa in oro e argento e una grande stella di zaffiro sul pomolo, donata al suo bisnonno dal più grande degli ammiragli elisabettiani, Sir Francis Drake in persona.

Mentre Judith guardava il suo uomo, così colmo di forza, sicurezza e vigore, il volto di Hal, che le era sembrato quasi severo quando lo aveva intravisto la prima volta, si aprì in un ampio sorriso pieno di gioia infantile, entusiasmo e sfrontato desiderio.

Era rimasta salda nel fervore della battaglia. Aveva tenuto testa, nella sala del consiglio, a uomini che avevano il doppio o il triplo della sua età, che svettavano sopra di lei sia in statura fisica che in reputazione faticosamente conquistata. Né loro né i suoi nemici l’avevano mai intimidita. Eppure adesso, al cospetto di Hal Courteney, sentì le gambe cedere e il respiro accelerare, e all’improvviso fu assalita da una tale vertigine che, se lui non si fosse avvicinato per prenderla fra le braccia, probabilmente sarebbe caduta. Si lasciò stringere per un istante, assaporando quel meraviglioso senso di impotenza, a malapena consapevole delle acclamazioni della folla o di ciò che Hal stava dicendo, sovrastando il battito martellante del cuore di lei.

Si accorse a stento che lui la stava guidando verso la massa di cittadini in delirio, con le guardie che usavano i cavalli per aprire loro un varco fino al molo. Udì acclamazioni rivolte a El Tazar, il Barracuda, il soprannome con cui Hal era diventato famoso depredando le navi del nemico. Gli tenne stretta la mano, mentre lui l’accompagnava giù per i gradini di pietra e diceva: «Attenta, mia cara» quando lei salì sulla pinaccia della Golden Bough, una barca armata la cui unica vela era ammainata, benché vi fosse un uomo a ognuno degli otto remi e Big Daniel Fisher, il capobarca più anziano di Hal, accanto al timone.

«Benvenuta a bordo, signora», disse Big Daniel. «Scusate l’ardire, ma siete lo spettacolo più leggiadro su cui uno qualunque di noi abbia posato gli occhi da parecchio tempo a questa parte.»

«Grazie, Daniel», replicò lei con una risatina felice. «Siete scusato.» Si guardò intorno e poi chiese a Hal: «Dov’è Aboli? Non riesco a credere che abbia rinunciato a tenerti d’occhio in un’occasione come questa».

Hal si strinse nelle spalle con fare plateale, sollevando le mani a indicare uno sconcerto totale, e sgranando gli occhi in un’esagerata espressione di innocenza ribatté: «Non ho la minima idea di dove sia. Voi lo avete visto, Daniel?»

«No, signore. Assolutamente no.»

«Qualcun altro?»

I membri dell’equipaggio scossero il capo in una pantomima di innocenza e negarono tutti di sapere dove fosse. Era evidente che stavano tramando qualcosa, ma Judith fu felice di stare al gioco. «Bene, mi dispiace che non ci sia», affermò, poi si mise comoda su una panca accanto a Hal mentre lui ordinava: «Riportateci sulla nave, capobarca, per favore».

«Sì, signore», disse Big Daniel, e cominciò a urlare ai vogatori di portarli via dal molo prima di girare la pinaccia e fare rotta verso la Golden Bough, ferma un paio di centinaia di iarde davanti a loro.

«È bellissima», commentò Judith, vedendo che Hal guardava verso la nave. Sapeva quanto ne andasse fiero.

«Be’, i ragazzi e io le abbiamo dato una ripulita e una sistemata», asserì lui con nonchalance.

«Per la precisione, ci ha fatto sgobbare come muli, giorno e notte per una settimana, signora», precisò Daniel.

«Povero Daniel, spero che il comandante non sia stato un tiranno», ribatté Judith.

«Oh, sapete com’è fatto il comandante, signora. Ha preso tutto dal padre, gli piace comandare una nave ben organizzata.»

Le parole vennero pronunciate con distacco, ma lei conosceva Hal abbastanza da sapere che Daniel non avrebbe potuto fargli un complimento più grande, e gli strinse la mano a indicargli che lo aveva capito. Mentre si avvicinavano alla Golden Bough, Daniel ordinò agli uomini il rituale «alza remi – disarma!». Con un solo movimento, i remi vennero sollevati in posizione verticale e la pinaccia fu portata accanto alla nave, con il più delicato dei tocchi. Alcune cime vennero calate dal ponte soprastante e assicurate alle gallocce. Una rete penzolava lungo lo scafo della Bough per permettere agli occupanti della lancia di salire sul ponte. Judith si alzò e fece un passo verso di essa, ma Hal le prese delicatamente un braccio per fermarla e lanciò un grido.

«Calate l’altalena, ragazzi, con precisione e delicatezza, se non vi spiace.»

Lei guardò in alto e vide un’asta che sporgeva dalla murata della nave.

«La usiamo per alare a bordo le provviste», spiegò Hal. «Ma ho pensato che oggi potevamo utilizzarla per uno scopo più gradevole.»

L’asta era inghirlandata con una profusione di fiori dai colori vivaci, simile alla versione orizzontale e tropicale di un palo della Festa di maggio. Vi era appesa un’altalena di tela ornata di nastri variopinti, bandierine da segnali e qualsiasi altra cosa gli uomini fossero riusciti a trovare per dare un tocco di allegria. Venne calata fino alla pinaccia e Hal aiutò Judith a sedervisi, come su un’altalena in giardino.

«Assicuratevi che non corra rischi», ordinò poi a Daniel. Quindi diede a lei un bacetto sulla guancia e disse: «Ci vediamo sul ponte, mia cara».

Saltò sulla rete e cominciò ad arrampicarsi con quelle che a lei parvero la velocità e l’agilità di una scimmia su un albero. Ridacchiò al pensiero, poi si tenne ben stretta all’altalena mentre Daniel urlava: «Oh, ala!» e lei si sentiva sollevare in aria. Qualsiasi traccia del guerriero, il generale Nazet, era scomparsa, ormai, e Judith era solo una giovane donna innamorata, che si divertiva come non mai. Emise un gridolino impaurito ed eccitato mentre saliva, osservando Hal che raggiungeva la sommità della rete e balzava sul ponte, dove rimase fermo, circondato dall’equipaggio.

«Tre urrà per la signora del comandante!» gridò il timoniere veterano della Bough, Ned Tyler. «Hip... hip...»

Una tonante acclamazione risuonò quando lei comparve sull’altalena, alcuni piedi sopra il livello del ponte.

«Urrà!» urlarono gli uomini, lanciando in aria i berretti mentre l’asta oscillava sopra la loro testa.

Mentre risuonava la seconda acclamazione, lei venne calata sull’area del ponte che era stata sgombrata per accoglierla. Quando Ned Tyler intonò il terzo «Hip hip...» Judith lasciò la presa e saltò sul tavolato nudo, qualche piede più in basso, atterrando con la grazia e l’agilità di un’acrobata. Quando si ritrovò fra le braccia di Hal, il terzo «Urrà» echeggiò intorno a loro, facendosi persino più lungo e sonoro quando lui le diede un unico bacio, troppo breve ma di una cocente intensità che la fece fremere di anticipazione per quanto sarebbe successo quella sera, colmandola nel contempo di un terribile senso di frustrazione per la lunga attesa che la separava da quel momento.

«Hai chiesto di Aboli? Forse questo ti illuminerà», disse Hal, scostandosi da lei.

Gridò poche parole in una lingua che Judith sapeva essere africana ma che non capiva. Pochi secondi dopo giunse la replica, un forte grido lamentoso in cui lei riconobbe l’inizio di un canto. Rispose un coro di profonde voci maschili, seguito da un rumore di piedi che pestavano all’unisono sul ponte. La prima voce proseguì con il canto e i marinai si disposero sui due lati, sgombrando lo spazio di fronte a Judith, rivelando uno spettacolo che la colmò di eccitazione quanto le braccia di Hal che la cingevano.

Aboli era ritto sul tavolato nudo. Portava un alto copricapo di piume di gru bianche, che sembravano accrescere la sua già magnifica statura tanto da farlo somigliare a un gigante o a un dio della giungla, più che a un uomo. In mano stringeva una lancia dalla punta a lama larga, e al collo sfoggiava alcune code di leopardo.

Dietro di lui c’erano gli amadoda, gli uomini della sua tribù reclutati per servire a bordo della Golden Bough, che presto si erano dimostrati forti e letali per mare tanto quanto lo erano stati nelle foreste e nella savana della loro terra natia. Anche loro portavano copricapi di piume di gru, benché nessuno di essi fosse alto o magnifico come quello di Aboli: lui era il capo.

Avanzarono, unendo le voci alla sua in complesse e tonanti armonie che proclamavano il loro valore, la solidarietà e la prontezza a immolarsi per la causa. Tutt’intorno, gli altri membri dell’equipaggio osservavano la scena a bocca aperta: non avevano mai visto gli amadoda in tutto il loro splendore. Gli uomini continuarono ad avanzare fino a pochi passi da Judith e Hal, e il loro canto, il pestare dei piedi, i grugniti e le movenze perfettamente coordinate si combinarono in un misto tra danza, esercitazione militare e mera celebrazione della gioia e dell’orgoglio di essere degli autentici guerrieri.

Il canto terminò e tutti presero ad applaudire, Judith più di tutti, perché anche lei era una figlia dell’Africa e, benché non capisse le parole, comprendeva molto bene lo spirito in cui erano state intonate.

Aboli le si avvicinò. Con eleganza e dignità si tolse il copricapo e lo lasciò sul ponte, accanto a sé. Posò un ginocchio a terra, tese una mano e prese la destra di Judith, chinò la testa e gliela baciò.

Era il tributo di un nobile di nascita alla sua regina, e Judith fu molto colpita dalla magnificenza del gesto. Quando lui si alzò, senza lasciargli la mano gli disse: «Grazie, Aboli. Ti ringrazio con tutto il cuore». Sapeva che in quel modo il guerriero si era messo solennemente al suo servizio e che lei avrebbe potuto contare totalmente su di lui, per sempre.

Subito dopo fu Hal a prendergli la mano. «Grazie, vecchio amico mio. È stato splendido.»

Aboli sorrise. «Sono un principe degli amadoda. Come altro avrebbe potuto essere?»

Ebbero quindi inizio i festeggiamenti. Mentre il mattino lasciava il posto al pomeriggio e il pomeriggio alla sera, si mangiò e si bevve in abbondanza. I musicisti fra l’equipaggio tirarono fuori violini, flauti e tamburi, e cominciarono i canti e le danze. Judith si lasciò condurre da Hal sullo spazio destinato a pista da ballo, dove improvvisarono una combinazione di reel e gighe che parve discretamente adatta alle melodie marinare del complessino. Alcune delle cuoche e cameriere indigene furono trascinate sulla pista da ballo; Hal aveva vietato severamente di prendersi qualunque libertà, con la minaccia della frusta per chiunque avesse abusato di una donna. Al tramonto, si fermò sui gradini che salivano al cassero, guardò i presenti impegnati a festeggiare e chiese un po’ di silenzio.

«Allora, razza di furfanti ubriachi», gridò, suonando anche lui un po’ brillo, «ho qualcosa da dirvi.»

Venne salutato da grida di incoraggiamento e qualche fischio scherzoso. «Dunque, il mio nome – il mio vero nome, quello ufficiale – è Sir Henry Courteney.»

«È tutto a posto, comandante, sappiamo chi siete!» urlò un buontempone.

«Bene, perché l’ho detto per un motivo preciso, che presto diverrà chiaro. Ma prima lasciatemi dire questo: domani salpiamo per l’Inghilterra!»

Un fragoroso boato di approvazione si levò dalla componente anglosassone dell’equipaggio. «Com’è ovvio», proseguì Hal, «i membri dell’equipaggio nati qui in Africa saranno liberi di tornare alle loro case. Ma non prima di concludere un ultimo incarico.

«Come molti di voi sanno, mio padre, Sir Francis Courteney, con l’aiuto di parecchi di voi ha catturato diverse navi che battevano bandiera olandese o di altri paesi...»

«Dannate teste di formaggio!» gridò qualcuno, suscitando la calorosa approvazione dei compagni.

«... e da tali prede ha ricavato un’immane quantità di oro, argento e altri preziosi. Andremo a recuperare quel tesoro e ognuno di voi – dal primo all’ultimo – riceverà la propria parte, equamente, in base alla durata del suo servizio e al suo grado. E posso promettervi...» Hal dovette alzare la voce per sovrastare il brusio di acclamazioni e chiacchiericcio eccitato «... che nessuno di voi se ne andrà con meno di cinquanta sterline, a dir poco!»

Sorrise per le grida di esultanza suscitate dalla sua promessa, poi alzò la mano per imporre di nuovo il silenzio. «Vi meritate appieno questa ricompensa. Nessuno potrebbe chiedere compagni migliori, più coraggiosi e più leali di quelli che siete stati per me. Avete dimostrato un centinaio di volte il vostro valore come marinai e combattenti. Mi avete giurato fedeltà e adesso io la giuro a voi. Vi riporterò a casa e vi darò tutto quello che serve per condurre un’esistenza piacevole, una volta in patria. Ma prima, signori, voglio proporre un brindisi. Vi prego di levare i calici per la donna che porterò nella mia casa e che là diventerà mia moglie, la mia amata Judith. Uomini, vi presento la futura Lady Courteney!»

Dopo quel brindisi e molti altri proposti da membri dell’equipaggio, Hal e Judith furono finalmente liberi di ritirarsi nella cabina del comandante. La Golden Bough, creatura di un ricco aristocratico, non mancava certo di comodità. Non esisteva nave da guerra della marina britannica che ospitasse il proprio comandante meglio della cabina della Bough a lui destinata. Lo scrittoio elegantemente intagliato rappresentava per lui il posto ideale in cui aggiornare il giornale di bordo, mentre pregiati tappeti persiani bastavano a dare agli ospiti l’impressione di trovarsi nel salotto di una signorile dimora di campagna o in un pied-à-terre londinese, invece che sul ponte inferiore di un veliero che solcava gli oceani.

«Ho apportato un’unica considerevole miglioria alla nostra sistemazione per la notte, da quando hai viaggiato con noi l’ultima volta», spiegò Hal mentre si fermava davanti alla porta della sua cabina. «Ho fatto lavorare il carpentiere della Bough per un’intera settimana. Chiudi gli occhi...»

Judith obbedì mentre lui apriva la porta, la prendeva per mano e la conduceva nel suo regno. Lei fece alcuni passi alla cieca finché Hal non disse: «Fermati!» e, dopo un attimo: «Ora puoi aprire gli occhi».

Judith si trovò di fronte una cuccetta sospesa da terra, ma larga il doppio di un normale giaciglio e appesa a quattro ganci invece che ai consueti due. Diafane cortine di una sottile garza bianca erano chiuse intorno alle cime su ogni angolo, e un copriletto in damasco di seta, il cui disegno grigio chiaro e argento scintillava nella luce proveniente dai portelli poppieri, era steso su lenzuola e federe del più pregiato cotone egiziano.

«Hal, è magnifico», disse, sbalordita.

«Ho trovato la biancheria su un sambuco che abbiamo catturato», spiegò lui con un sorriso. «Il comandante ha detto che era destinata all’harem di uno sceicco. Gli ho risposto che ne avrei fatto un uso migliore.»

«Oh, davvero?» chiese scherzosamente lei. «E quale particolare uso avevi in...»

Non riuscì a concludere la domanda perché Hal la prese in braccio, la posò sul copriletto di seta e si buttò su di lei, pensando che era stato saggio a pregare il carpentiere di testare i ganci ai quali era appesa la cuccetta per assicurarsi che reggessero a qualsiasi sollecitazione possibile.

Il leone d'oro
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