Nel fortino privato di Lobo, Judith si era arresa, accettando di indossare l’abito nuziale che, a giudicare dalla sporcizia, dalla muffa e persino dalle macchie di sangue di cui sembrava costellato il tessuto di seta stinto, aveva prestato ripetutamente servizio, in un lontano passato. Per quanto lei odiasse ammetterlo, la logica dell’Avvoltoio era ineccepibile: finché assecondava il sovrano di quel regno privato c’era speranza, se invece finiva schiava non ne restava nessuna.
A un tratto udì un crepitio di arma da fuoco, alcuni colpi isolati e poi, in boati sempre più sonori, raffiche esplose da un crescente numero di fucili. Pensò per un attimo che, con ogni probabilità, era l’unica sposa in tutta l’Africa in grado di decodificare con tanta precisione i rumori apparentemente confusi di una battaglia.
Ma anche se le spose non erano in grado di capire cosa stava succedendo, l’Avvoltoio ci riusciva benissimo. «Rimani qui», le intimò. «Per il tuo stesso bene. Vado a vedere cosa succede.»
Ancora una volta lei fu costretta a dargli ragione. Chiunque avesse vinto lo scontro, una donna in abito di seta scollato sarebbe stata violentata con una tale voracità da far sembrare mansuete le iene che avevano divorato Ann.
Hal indicò un punto davanti a loro e Aboli vide subito a cosa si riferiva: c’erano due pilastri di pietra ai lati del ponte levatoio dal quale si accedeva allo spiazzo riservato al rinoceronte, e l’argano che arrotolava la fune con cui alzare e abbassare il ponte. Corse là e cominciò a menare fendenti alla corda mentre Aboli e gli amadoda formavano una barriera difensiva intorno a lui.
Sapeva che gli scudi di pellame non avrebbero rappresentato una difesa efficace contro le raffiche di moschetto, ma la ripetuta combinazione di pioggia battente e sole cocente sembrava aver compattato e indurito le fibre della fune. Le colpì ripetutamente con la lama del machete. A nemmeno venti passi di distanza i guardiani stavano ricaricando i moschetti con cui avevano già sparato.
Staccavano con i denti le estremità dei proiettili.
Avanti!
Versavano la polvere nera nell’apposito scodellino.
Taglia, accidenti a te!
Spingevano la cartuccia nella canna.
Ci sono quasi!
Alzavano i fucili per sparare.
Sì!
Con un possente boato, fragoroso quasi quanto gli spari, il ponte levatoio piombò sul terreno e gli amadoda ruppero le file e lo imboccarono di corsa, lanciandosi verso il buio e il rinoceronte in attesa.
Dietro di loro risuonò un crepitio di colpi di moschetto, ma nessuno dei proiettili andò a segno.
Servirono però a uno scopo: svegliare il rinoceronte.
Hal e Aboli gli finirono quasi addosso quando emerse dalle tenebre, enorme.
Il rinoceronte ha una pessima vista, ma è dotato di un udito e un olfatto molto acuti. Di notte quindi è pericoloso quanto di giorno, dato che i suoi sensi più sviluppati funzionano altrettanto bene; inoltre, a prescindere dall’ora, un rinoceronte maschio è sempre ugualmente irascibile e scontroso.
Poteva anche non aver visto Aboli che sventolava la spada, ma di certo lo sentì urlargli contro nel linguaggio delle foreste, e forse interpretò bene quelle parole minacciose perché agitò la testa, reagendo alla sfida del guerriero con un saluto del suo splendido corno, lungo quasi cinque piedi, e lanciandosi contro di lui. Aboli si levò dalla sua traiettoria con un balzo, all’ultimo momento, rotolando nel fango e rialzandosi con l’agilità di una pantera. Il massiccio animale gli avrebbe fratturato tutte le ossa, se lui non si fosse gettato di lato, piombando scompostamente a terra mentre il rinoceronte gli sfrecciava accanto, riempiendogli le narici con il suo fetore muschiato.
Il bestione sfrecciò sul fango essiccato a una velocità incredibile per la sua mole e continuò a correre, oltre gli amadoda che si stavano sparpagliando e fin sul ponte levatoio, che i primi inseguitori avevano già imboccato per raggiungere lo spazio cintato. Si resero conto troppo tardi dell’infausto destino che stava per piombare su di loro e si voltarono per tentare una ritirata, ma la calca di compagni alle loro spalle rese impossibile la fuga.
Agli uomini di Lobo, il boato delle zampe che pestavano sulle assi del ponte fece pensare che fosse arrivato il giorno del giudizio. L’animale abbassò il corno e lo conficcò nel ventre di un giovane, trapassandolo da parte a parte. Si fermò, quasi confuso dal peso che gli gravava sul capo. Sbuffò e grugnì, facendo vorticare il corno insanguinato che sporgeva di almeno tre piedi dalla schiena dell’uomo. Abbassò la testa di scatto, scrollandola sul terreno, esasperato, ma per quanto si sforzasse non riuscì a liberarsi di quell’intralcio.
Uno degli uomini di Lobo gridò: «Adesso!» e una decina di lance saettarono nel buio. Colpirono tutte l’animale e rimbalzarono su quella pelle simile a una corazza, ma riuscirono solo a scuoterlo e farlo ripartire. La bestia si aprì un varco fra la fila di carne, ossa e oro, uccidendo, tranciando arti, calpestando corpi, scagliando uomini in aria come un toro durante un combattimento con i cani.
I moschetti spararono di nuovo, ma nemmeno quelli sortirono altro effetto, se non quello di renderlo ancora più furioso; all’improvviso l’animale si lanciò verso le capanne dei guardiani e il dormitorio degli schiavi, travolgendo gli uomini e costringendoli alla fuga.
Hal, Aboli e gli amadoda sopravvissuti si ritrovarono soli nello spiazzo deserto, senza più nulla a separarli dal fortino di Lobo. Attraversarono di nuovo il ponte, poi Hal si fermò, afferrò il braccio di Aboli e indicò l’edificio mentre diceva: «Guarda gli uomini sulle merlature!»
Percepì il sorriso dell’amico, più che vederlo. «Stanno guardando verso il rinoceronte e i loro amici che vengono travolti.»
«Già, e staranno ringraziando il cielo di non esserci loro, laggiù. Ma hanno lasciato del tutto esposti tre lati della costruzione.»
Corsero verso il lato opposto del fortino, non visti. La ribellione degli schiavi, anche se avrebbe avuto vita breve, stava rappresentando un diversivo più efficace di quanto avessero osato sperare. Distavano meno di trenta passi dal forte, con un terreno aperto che li separava da un muro apparentemente non sorvegliato, quando Aboli disse: «Lascia che vada io, Gundwane. Non scintillo come una conchiglia bianca sulla spiaggia, come te».
Hal non volle saperne. «Il primo devo essere io, Aboli», replicò, perché non poteva – non voleva – combattere se non in prima fila. Prese dalle mani dell’amico la corda alla quale era fissato il rampino e se la gettò sulla spalla, poi infilò il machete nella cintura. Alzò gli occhi verso la luna e aspettò che la successiva nube le veleggiasse davanti, sottile come un galeone per mare.
La nuvola arrivò. Era il momento di agire.
Cominciò a correre sul terreno dissestato, verso il forte, e si lanciò contro il fresco muro di fango imbiancato. Non era molto alto, per un uomo avvezzo ad arrampicarsi sugli alberi di una nave, e Hal sapeva di poter arrivare in cima con estrema rapidità, sempre che il rampino trovasse un appiglio e che il rumore non richiamasse le guardie con spade e armi da fuoco.
Le sue orecchie vagliarono i suoni della foresta, cercando voci umane. Niente. Gli uomini sul muro opposto per fortuna erano ignari del pericolo dietro di loro. Hal uscì dall’ombra, con il cuore che gli martellava contro le costole, e si voltò a guardare Aboli, che annuì. Prendendo la fune, fece oscillare il rampino una, due, tre volte, poi lo lanciò verso l’alto, al di sopra del muro.
Lo tirò verso di sé con attenzione, lentamente; gli sfuggì una smorfia quando sentì il sommesso grattare sulle merlature, finché l’attrezzo non oppose resistenza, indicando che almeno un gancio aveva fatto presa. A lui non serviva altro. Cominciò ad arrampicarsi. Un attimo dopo aver afferrato la corda era già in cima al muro, accovacciato contro il parapetto, il machete in pugno. Accostando alla bocca la mano a coppa imitò il richiamo del succiacapre, il segnale che sollecitava Aboli e gli amadoda a seguirlo. Corse chinato lungo la sommità del muro, poi girò la testa per scoprire che gli altri lo avevano raggiunto.
Un attimo dopo, però, un uomo sul muro opposto distolse casualmente lo sguardo dalla carneficina sottostante, vide le sagome scure correre sul lato opposto del cortile e lanciò l’allarme. Un moschetto crepitò, sputando fiamme nella notte. Hal scese lungo i gradini che portavano al cortile, dove uno degli uomini di Lobo era spuntato dall’oscurità, con la lama che lampeggiava. Il giovane Courteney si contorse per schivarla e sollevò il machete di scatto, colpendo l’avversario sotto il braccio sinistro. Gli sferrò un pugno in faccia con la mano destra, stendendolo, e si voltò verso le tende e gli edifici di mattoni di fango addossati al muro settentrionale.
«Gundwane!» gridò Aboli. Lui si girò, parando d’istinto il colpo di un secondo assalitore. Si lanciò sull’uomo, picchiandogli in faccia l’elsa della sciabola e facendolo cadere, mentre un’altra spada saettava in direzione del suo volto e lui la scagliava di lato, tagliando la gola del proprietario. Aboli si esibì in tre parate e uccise un uomo con un unico taglio alla gola; a quel punto, Hal udì l’Avvoltoio gracchiare il suo nome, indicandolo con la spada al di sopra di un mare di teste. Ma gli uomini di Lobo gli bloccavano la strada; lo scozzese non poteva arrivare a Hal, così come quest’ultimo non poteva raggiungerlo per combattere.
Risuonarono due spari, appena dietro di lui, abbastanza vicini da fargli fischiare le orecchie, e due degli uomini di Lobo, entrambi armati di moschetto, caddero dal tetto nel cortile.
Hal si guardò intorno per scoprire da dove fossero arrivati e lanciò un grido di gioia vedendo Judith.
Judith aveva sentito i passi sul tetto sopra la sua testa e aveva capito con assoluta e incrollabile certezza che Hal era andato a prenderla. Aveva lasciato scivolare a terra l’abito che era stata in procinto di allacciare e si era infilata di nuovo i calzoni di tela del mozzo defunto: sarebbero stati molto più comodi, se avesse dovuto attraversare la savana per salvarsi la vita.
Corse alla porta della sua stanza e sbirciò fuori, in cortile. Hal si trovava proprio di fronte a lei, di spalle, e aveva accanto Aboli. Intorno a loro c’erano i visi familiari degli amadoda, con l’espressione felice dei guerrieri nati, che si sentono davvero vivi solo quando rischiano di morire.
Uno degli uomini di Lobo era steso sul pavimento davanti a lei, con una spada nella mano inerte e due pistole alla cintura. Judith ne prese una, stabilizzò il braccio, mirò a un uomo sul tetto, a una decina di passi di distanza, e fece fuoco. Prima ancora che lui toccasse terra, lei stava prendendo l’altra pistola, per sparare di nuovo.
Hal stava guardando verso di lei, gridando il suo nome in uno slancio di gioia. Aboli e gli amadoda stavano avanzando. L’intero complesso minerario di Lobo era un teatro di guerra, ma la situazione stava volgendo decisamente in loro favore.
L’Avvoltoio stava calcolando le probabilità, come faceva sempre. Anche lui intuì che Courteney cominciava a essere in vantaggio. Stando così le cose, la sua prima preoccupazione, oltre a salvarsi la pelle, doveva essere l’incolumità di Baltazar Lobo. Essendosi inimicato il principe Jahan, aveva bisogno di amici potenti, e se non poteva conquistarsi i favori del portoghese fornendogli una moglie, lo avrebbe fatto salvandogli il vecchio collo scheletrico.
Riattraversò di corsa il cortile, entrando nella camera di Lobo, ma del vecchio caprone nessuna traccia. Poi però sentì una voce tremula gridare, dietro il letto a baldacchino: «Chi va là?»
«Sono io, il conte di Cumbrae, venuto a salvarvi, signore», replicò l’Avvoltoio. Raggiunse il punto in cui l’uomo si stava nascondendo, lo tirò in piedi e disse: «Presto, signore! Dobbiamo lasciare questo edificio finché possiamo!»
Tornò rapidamente in cortile, con l’anziano e scarmigliato proprietario della miniera che lo seguiva a ruota, diede un’unica occhiata al sempre più netto predominio di Courteney, dei suoi amici selvaggi e della sua puttana nera, quindi si lanciò verso il cancello principale, tirandosi dietro Baltazar Lobo.
La ritirata del loro padrone fu la goccia che fa traboccare il vaso, per i guardiani del forte: se la diedero a gambe come un solo uomo, seguendolo di gran carriera.
Hal li guardò allontanarsi, poi si voltò vedendo Judith che cercava di sfilare al morto la bandoliera con la polvere da sparo fresca e le cartucce per le pistole. «No, mia adorata, lascia stare», le disse. «Ci serve la velocità, più che le armi. E dobbiamo andarcene subito.»
«Sì», confermò Aboli, «e di corsa.»
Fu necessario il resto della notte per sedare la rivolta di schiavi involontariamente scatenata da Aboli. Soltanto dopo l’alba l’Avvoltoio riuscì a convocare un consiglio di guerra con Lobo e Capelo. «Gli uomini che sono venuti a cercare Courteney fanno parte dell’equipaggio della sua nave. Devono averlo seguito quando è salpato da Zanzibar. Dov’è sbarcato?»
«A Quelimane», rispose Capelo.
«Allora è lì, o nelle immediate vicinanze, che si trova la Golden Bough, in attesa del suo comandante. Con il vostro permesso, senhor Lobo, suggerisco di partire subito. Il nostro primo obiettivo dovrebbe essere quello di raggiungere Courteney, la sua donna e i suoi uomini prima che salgano sulla nave. In tal caso, signore, vi prometto di riportarvi la donna.»
«Quindi avrò la mia prima notte di nozze, dopo tutto!» commentò entusiasticamente Lobo.
«Esatto», confermò l’Avvoltoio. «Ma se, per qualche strano caso, Courteney dovesse salpare prima che lo prendiamo, non tutto è perduto. So dove si dirigerà. E se riesco a raggiungerlo a destinazione, senhor, vi porterò la testa di Courteney, la sua donna e anche il suo oro.»
Un sorriso illuminò il volto di Lobo. «Il suo oro? Oh, sì, vi prego, mi piacerebbe. Mi piacerebbe davvero molto.»