La pinaccia lasciò Aboli e altri otto amadoda su una spiaggia deserta poco più a nord di Quelimane. Non portarono con sé provviste perché non ne avevano bisogno: le terre in cui stavano per spingersi potevano sembrare brulle e inospitali a un uomo bianco, ma per loro erano ricche come un’affollata piazza del mercato. Non erano nemmeno appesantiti da polvere e pallini: come armi bastavano le lance, gli scudi e i giavellotti con cui erano stati allevati.
Aboli riportò nell’universo in cui era cresciuto soltanto un arnese del suo nuovo mondo: un rampino in ferro fissato a una corda arrotolata. I marinai sulla Golden Bough lo usavano per fare presa su una nave nemica e poi salire a bordo. Là dove era diretto, ragionò Aboli, magari si sarebbe dovuto arrampicare su un muro o introdurre in un edificio nemico per trarre in salvo Judith o Hal, quindi lo aveva portato con sé.
Big Daniel Fisher comandava la pinaccia che aveva portato i compagni di bordo africani sulla costa. Non era, né per natura né per educazione, il tipo d’uomo che si abbandona alle emozioni, ma prima di salutare Aboli lo abbracciò, fece un mezzo passo indietro, gli diede una pacca sulla spalla e, con voce rotta, disse: «Dio benedica te e i tuoi ragazzi. Ora vai a riprendere il nostro comandante, e anche la sua signora».
Il guerriero africano non replicò, limitandosi ad annuire, e dopo un attimo Daniel vide che gli amadoda davano inizio alla corsa a lunghi balzi che sarebbe proseguita per tutto il giorno, e per metà della notte, se necessario. Poi scomparvero dietro le palme che bordavano la costa.