6. Le strutture feudali nell’organizzazione dei Comuni

Non soltanto nell’intimo delle strutturazioni comunali potrà reperirsi annidata l’origine degli organismi feudali trasformati ma rimasti essenzialmente gli stessi; infatti, anche allorché le strutture medesime saranno saldamente affermate, la società di tipo feudale continuerà a vivere finendo per condizionare e quasi per controllare in vari aspetti la vita del Comune, mostrando con ciò come il Feudalesimo non sia mai stato una categoria astratta, ma abbia costituito un modo di vivere e di governare profondamente consentaneo alla società occidentale nell’età di mezzo e, pertanto, sia rimasto perciò riparato nei gangli di questa società stessa, pur quando altre forme li vita economica e politica le si sono sovrapposte.

Ciò è comprovato, fra l’altro, dai patti giurati tra i Comuni e l’autorità feudale, ossia i conti, i marchesi, i vescovi o l’imperatore stesso, anche quando il potere costituito sarà indotto con la forza delle armi o della legge a cedere alle richieste dei Comuni.

Le cittadinanze suddette costruiscono allora non di rado i propri organi comunali in rappresentanza della collettività, ma la scelta si attua dopo aver chiesto e ottenuto il parere del vescovo e del conte; ed essi, una volta che siano stati eletti, non entreranno effettivamente in carica se non avranno ricevuto l’investitura feudale del signore del luogo, mostrando così, per esempio, a Chieri, a Tortona, ad Asti o a Biandrate o a Sarzana che, nonostante l’affermazione di nuovi meccanismi, l’età feudale ha ancora una sua intima e consolidata validità di cui si continua a tener conto.

Allorché poi, il Comune continuerà ad allargare il proprio dominio su altri territori, anche in tale evenienza, rimarrà il signore feudale quello che concede l’investitura. Detto ciò faremo presente che il signore stesso cederà in quelle del Comune non poche precedenti prerogative prima detenute nelle sue mani.

A quest’ultimo passerà ad esempio il bannum, ossia il diritto di fare e imporre leggi, il districtum, ovvero il potere coercitivo all’osservanza delle leggi, e poi il placitum, oppure il potere di giudicare, tutte prerogative un tempo del signore, il quale peraltro si riserverà spesso, pure in presenza della nuova condizione, l’autorità di dirimere le cause giudiziarie più significative: per esempio quelle di omicidio, di spergiuro, di furto, di adulterio, di fellonia.

Inoltre sarà ancora il signore – e non per pochissimo tempo – a giudicare pure in età comunale la natura giuridica del duello legale oppure la vendetta, nonché il diritto di concedere il consenso per l’edificazione di nuove fortificazioni o per il riattamento di quelle precedenti.

L’esempio più palese del permanere della concezione e della conduzione feudale dello Stato ancora durante lo sviluppo dell’età comunale, sarà rappresentato, nella seconda metà del XII secolo, alla fine della estenuante lotta fra l’imperatore Federico I Barbarossa, i Comuni e papa Alessandro III.

A Costanza infatti, allorché si ritrovano Federico e i Comuni della Lega Lombarda – siamo nel 1183 – l’imperatore battuto a Legnano nel 1176 costretto a capitolare già con la tregua di Venezia del 1177, e posto di fronte alla necessità imprescindibile di esaudire le richieste comunali, continua a considerarsi la controparte di uno Stato feudale, uno Stato in cui nessun Comune potrebbe ricevere l’autorità e quindi potrebbe governare se non avesse l’investitura, quindi il riconoscimento del signore, al quale i rappresentanti della Lega dovranno giurare fedeltà, nonostante le precedenti sconfitte e il raggiungimento della successiva pace che li vede vincitori.

A ciò aggiungeremo inoltre e non si tratta di un argomento di modesta entità politica, che l’aristocrazia comunale, almeno quella che ebbe il merito di determinare il Comune nel primo periodo, ovvero in quello dei consoli, fu quasi sempre di origine feudale e che pure il Comune di popolo non riuscì mai, né intese centralizzare del tutto o far fuori le esistenti e forti consorterie feudali.

Esse infatti si introdussero nel funzionamento del potere e nell’ambito stesso delle istituzioni popolari, strumentalizzando a volte le corporazioni di mestiere e le società del popolo e talvolta trasformandole persino in base per predisporre l’origine di un nuovo potere che porrà addirittura le premesse per la Signoria di non poche famiglie di antica e consolidata feudalità, come i Visconti a Milano, i da Carrara a Padova, gli Estensi a Ferrara, i Montefeltro a Urbino, i Malatesta a Rimini, per non citare che alcuni esempi ai quali potremmo aggiungerne numerosi altri.

Ciò non toglie tuttavia che l’età comunale rappresentò il momento in cui furono pensati e attuati notevoli metodi di rinnovamento, sia di tipo socio-politico, in seguito al sensibile progresso economico e demografico, sia nel più profondo settore della cultura e della mentalità. Però il non evitabile impatto dei nuovi elementi con le strutture dell’età passata ridusse in qualche modo la volontà rinnovatrice, almeno da parte di chi intendeva anzitutto conquistare vecchi privilegi e impossessarsi di antichi moduli, ambiti soprattutto dalla gente nova, scesa spesso dal contado nel vicino centro urbano, per giungere buona ultima alla conquista di una prima, rudimentale forma di stato sociale in precedenza detenuto da ceti destinati a soccombere e a finire socialmente ed economicamente accantonati.

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