30. Il primato dei Medici, primato di Firenze
Con l’affermazione di Cosimo, la presa del potere della casata dei Medici in Firenze può considerarsi cosa compiuta e la partecipazione dei cittadini all’attività politica e amministrativa comunale dovette considerarsi quasi una formalità. Enea Silvio Piccolomini – Pio II – ebbe infatti a scrivere perspicuamente che Cosimo era l’arbitro della pace e della guerra nonché delle leggi. Infatti nella sua dimora avita si deliberava sugli affari della repubblica e sulla scelta dei magistrati, mentre della regalità non gli mancavano che il nome e la pompa.
Del pari l’ambasciatore Nicodemo diceva confidenzialmente al duca Francesco Sforza, il 4 aprile 1458, «quando volete più una cosa che un’altra, scrivete segretamente ad Cosimo el parer o desiderio vostro, et luy ve lo adoprerà sempre».
Cosimo tendeva a comportarsi come un qualsiasi cittadino e la sua condotta appariva modesta, ma tale atteggiamento era freddamente voluto e perseguito per poter più tranquillamente esercitare il suo dominio. Difatti rilevava opportunamente Giovanni Cavalcanti che fu durante gli anni della sua signoria che la famiglia si impadronì delle leve di potere cittadino e che ogni recesso di Firenze fu decorato con le insegne dei Medici. La sua potenza nacque dal denaro, dalla capacità di investire e guadagnare e soprattutto di controllare gli ingenti capitali delle altrui aziende bancarie: da quelle dei Sassi e dei Portinari a quelle dei Benci e dei Tornabuoni. Non esitò a comperarsi il consenso, pagato con larghezza, dei suoi sostenitori e così non tentennò mai nell’imporre tasse e gabelle, inflitte soprattutto agli oppositori: noto quanto verificatosi con Giannozzo Manetti, in forza del suo ingegno e di una specchiata onestà giunto a una cospicua posizione, ma nemico della tirannide medicea e pertanto tassato con tale acrimonia ch’egli fu costretto a scegliersi l’esilio in Roma ove fu protetto da Niccolò V.
I partigiani del dittatore come Luca Pitti, invece, raggiunsero un enorme potere economico oltreché politico. Ciò tuttavia non deve far credere che la città uscisse avvilita da una simile esperienza. La politica interna di Cosimo fu accorta e abile e ancor più lo fu quella estera. Egli infatti riuscì quasi miracolosamente a mantenere la pace e cominciò a conferire alla città del fiore quel ruolo di mediazione e di ago della bilancia della politica italiana poi rafforzatosi ulteriormente con Lorenzo il Magnifico.
Lorenzo riuscì infatti ancor meglio a dominare la politica della maggior parte degli Stati italiani avendo compreso prima e più di altri che la situazione interna di Firenze era legata a quella delle altre città e che il danno dello Stato si sarebbe prima o dopo riflettuto su Firenze e sulla Toscana. L’accordo con Napoli, la politica d’amicizia con il papa, l’atteggiamento conciliatorio assunto con Genova, l’accorto contatto con Venezia e con la temibile Milano, devono considerarsi, in qualche modo, capolavori d’intelligenza politico-diplomatica.
Forse nessun altro giudizio può illuminarci sulla grandezza di Lorenzo, sul suo primato e su quello dei Medici, quanto quello espresso da Francesco Guicciardini che nella sua Stona d’Italia evidenzia le qualità di mediatore e di bilanciatore di Lorenzo, il quale con una paziente azione fece in modo che «le cose d’Italia» non «pendessero» mai né dalla parte di Ferrante d’Aragona né da quella di Ludovico il Moro. Ma Guicciardini nella sua disamina va oltre: l’equilibrio mediceo, a suo avviso, non si ferma soltanto alla difesa della situazione esistente ma, in qualche modo, appare come prima, cauta consapevolezza di una comunità nazionale che partecipa di un intero sistema in cui ognuno in grazia della situazione politica altrui si salva o perisce.
II primato dei Medici e di Lorenzo si traduce però in quello di Firenze che, tra la fine del ’300 e la fine del ’400 attraversò uno dei suoi più gloriosi periodi.
Con l’avvento dei Medici infatti il movimento umanistico perse forse in parte il fervore civile che l’aveva contraddistinto in età repubblicana e che s’era estrinsecato nell’estrema resistenza dei ceti intellettuali all’ascesa di Cosimo prima e di Lorenzo poi. Tuttavia, quel medesimo processo subì un’ulteriore, notevole diffusione all’interno della città, nella penisola italiana e nell’Occidente europeo: Cosimo ebbe infatti il merito di promuovere la speculazione dell’Accademia Platonica.
Con Piero dei Medici, Marsilio Ficino era già al vertice della scuola cui aderì lo stesso Lorenzo il Magnifico, animando le riunioni di intellettuali cui parteciparono, fra gli altri, Pico della Mirandola, Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Cristoforo Marsuppini, riunioni che sembrarono rinnovare i fasti dei filosofi platonici e che fecero denominare Firenze l’Atene d’Italia.
Lo stesso fervore che ravvivò le scuole e la diffusione del pensiero rifulse nella Firenze medicea, attraverso la ripresa e il potenziamento della poesia e quello delle arti figurative nonché dell’edilizia religiosa e civile. Le chiese di S. Maria del Fiore, di S. Croce, di S. Maria Novella, il campanile di Giotto, la chiesa di Orsammichele, la loggia dei Lanzi, le opere pittoriche facenti capo alla corrente giottesca a Taddeo e Agnolo Gaddi, a Lorenzo Monaco, le statue di Lorenzo Ghiberti; e ancora palazzo Medici, opera di Michelozzo Michelozzi, palazzo Strozzi di Benedetto da Caiano, palazzo Rucellai, eseguito da Bernardo Rossellino, danno la misura dell’alto valore artistico e culturale che conferì in quel periodo a Firenze un primato conquistato e saldamente nell’avvenire mantenuto, che da Firenze fu trasferito in quasi ogni altra terra e città della penisola: a Torino, a Milano, a Venezia, a Ferrara e a Rimini, a Mantova, a Perugia, a Siena, a Napoli e a Roma.