25. La formazione dei regimi oligarchici

Quanto accadde a Firenze con il duca d’Atene era certamente rivelatore di un profondo e non lieve disagio dei Comuni, i quali nel XIII secolo avevano dato vita ad ampi spazi democratici che poi non erano stati capaci di gestire. Quindi, più o meno consapevolmente le amministrazioni finirono per rifugiarsi in schemi e stili richiamantisi ai precedenti governi oligarchico-autonomistici.

In realtà va riconosciuto che la nobiltà era ancora, in quel tempo di fine Medioevo, un termine di riferimento quasi indistruttibile, tanto è vero che spesso anche i «grandi di popolo», schierati contro le famiglie aristocratiche, finivano per essere denominati Magnati.

Del pari gli ordini mercantili e bancari, pur non facendo parte dell’alto ceto, cominciarono a vivere e a comportarsi come loro e tutto questo cospirava verso il ritorno a una politica meno attenta alle ragioni dei poveri e più orientata verso il mantenimento di vecchi privilegi.

Caso emblematico di scelta di un tipo di vita aristocratico, seguito da una famiglia di origine borghese, è quello relativo alla casata bolognese dei Principi, la cui fortuna si esaurì tutta nell’arco di cento anni. In una posizione eccellente nella vita mercantile bolognese agli inizi del XIII secolo – in un periodo fortunato del commercio di quella città – a metà del ’200 essi sono già inglobati nel ceto aristocratico e dominatore, di cui imitano il modello di comportamento: seguono le abitudini al pari di un gruppo familiare, concentrano le loro case quasi a forma di isolato, circondato di torri e di sale di riunione.

Infine, nel 1280 essi vengono per la prima volta espulsi da Bologna e definitivamente lo saranno nel 1306 in quanto volti, con gli altri magnati, anzi con più pervicacia, al controllo del governo cittadino da cui intendono escludere gli artigiani e altri mercanti meno ricchi, anch’essi desiderosi di far parte di coloro che erano nell’ambito del potere.

Piuttosto chiara anche la situazione genovese allorché, dall’XI al XIII secolo, erano entrate nei ceti governativi dell’importante centro ligure le più potenti famiglie di mercanti-finanzieri. Anche nella metropoli ligure si deve notare insomma una progressiva posizione autoritaria da parte di mercanti arricchiti che in forza delle loro sostanze hanno acquisito metodi di vita e schemi mentali propri dei nobili: per esempio l’organizzazione in gruppi familiari – a Genova verranno denominati alberghi – e la tendenza a farsi la guerra per garantirsi l’assunzione del potere.

Uno dei fenomeni ricorrenti del Trecento e del Quattrocento genovese fu poi l’affermazione di un patriziato cittadino, originatosi dalla commistione del vecchio ceto cavalleresco e dell’alta borghesia, un patriziato chiuso e determinato a frenare l’ascesa politica ed economica di nuove famiglie, ad un tempo osservanti un alto livelle culturale e con la netta propensione per il lusso, il mecenatismo, una delle componenti invero peculiari della civiltà rinascimentale.

Il caso più noto in questo senso fu quello di Venezia. La repubblica adriatica infatti non aveva sofferto per le tensioni sociali e l’instabilità politica che avevano costituito l’ambascia di Genova, data l’assenza nella città di San Marco di numerose consorterie nobiliari e la tendenza dei nobili a far entrare nell’ambito del potere talune famiglie arricchitesi con il commercio.

A ciò aggiungeremo che l’economia veneziana, basata sul commercio e la finanza e meno sulla produzione tessile e sull’artigianato, non conobbe la concentrazione dei lavoratori salariati e di piccoli e medi artigiani che resero precario l’equilibrio di altri centri urbani (per esempio Firenze).

Tuttavia fu proprio Venezia che con i suoi aristocratici si chiuse maggiormente e nel 1297 attuò la Serrata del Maggior Consiglio, nel cui nome l’accesso al più importante organo di governo della Repubblica divenne appannaggio delle famiglie che già ne avessero fatto parte nei precedenti quattro anni; mentre nel futuro altri avrebbero potuto aspirare a farne parte solo su proposta del Doge e del Consiglio.

La chiusura poi divenne ancor più forte nel 1323 allorché si convenne che solo a quanti avessero ricoperto uffici comunali era consentito l’accesso al Maggior Consiglio e agli altri organismi di governo. Così da allora alla fine del XVIII secolo, congiure e colpi di mano – si pensi al tentativo di Marin Faliero – furono vanificati, mentre la Repubblica si dette alla conquista del Veneto per contrastare tentativi espansionistici da parte di Verona e, soprattutto, di Milano.

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