19. Le rivolte sociali cittadine

Vere e proprie rivolte scoppiarono invece nelle città, generate dall’incremento dell’artigianato che portò in taluni fra i più popolosi centri commerciali uno sviluppo di carattere industriale, specialmente nel campo tessile, uno sviluppo paragonabile soprattutto a quello dei grandi settori della Fiandra.

Nel Due-Trecento peraltro si erano determinati nell’organizzazione della produzione grossi mutamenti, generati dalla progressiva contrazione delle antiche botteghe artigiane e dallo sviluppo del mercante imprenditore, il quale era una sorta di controllore dell’intero sistema produttivo grazie all’acquisto della materia prima, alla distribuzione del lavoro fra diverse aziende in cui avevano luogo le differenti fasi del ciclo produttivo, quindi alla commercializzazione del prodotto finito.

Fu questa, in altre parole, una prima fase di divisione del lavoro pur differente dalla più moderna manifattura in quanto, allora, i vari momenti della produzione erano suddivisi in varie sedi, poste talvolta fuori delle città.

Collante dell’intera operazione fu allora la figura del mercante imprenditore che si impossessava del prodotto semilavorato e lo trasferiva alle aziende dedicatesi alla successiva, grande fase della lavorazione.

In tal modo di rado sorsero grandi sedi ove si concentrò la produzione industriale con numerosi lavoratori. Tuttavia, specialmente nei principali centri di produzione, si raggiunse un sostenuto numero di salariati tessili, contadini immigrati o, a volte, artigiani, presi dalla proprietà dei mezzi di produzione, quando, a causa della crisi, essi non si manifestavano più capaci di sostenere la concorrenza degli imprenditori più forti.

A rendere irrequieti tali lavoratori costituenti una sorta di proletariato contribuì, prima di tutto, la mancanza più assoluta di ogni tipo di tutela.

Essi infatti non potevano unirsi in corporazione, soggetti come erano alla rigida disciplina delle Arti, che tutelarono, come si sa, soltanto i proprietari delle aziende e non i salariati che non godevano di autonomia giurisdizionale nei problemi inerenti il lavoro.

I membri delle Arti erano inoltre anche giudici dei loro dipendenti e, in quanto esponenti dei ceti dominanti, partecipavano alle scelte politiche il cui riflesso sul mondo del lavoro era immediato.

Ricorderemo in proposito che in Firenze nel 1343, lo scardassiere Ciuto Brandini – componente dell’Arte dei Ciompi – tentò di organizzare una fratellanza di scardassieri o raffinatori di lana e fu per questo condannato a morte.

Scoppiò allora uno sciopero di protesta – forse il primo di cui si abbia memoria in Italia nel Medio Evo – sostenuto dai compagni di lavoro, allorché fu reso noto l’arresto di Ciuto, avvenuto durante la notte per mano del capitano del popolo, al quale e non solo in questo caso, oltre a compiti militari, ne furono affidati altri meno nobili di repressore di tensioni sociali.

Un atteggiamento meno severo fu riservato invece nel 1347 ai tintori, cui fu vietato di costituire una corporazione autonoma da quella dell’arte della lana, ma venne riservata comunque una modesta partecipazione al governo dell’Arte, accrescendo sino a nove il numero dei consoli che la controllavano e concedendone per l’appunto uno ai tintori.

La nuova organizzazione fiorentina a livello industriale – come è noto – venne devoluta alla produzione di grossi quantitativi di panni lani avviati per lo più all’esportazione.

Nei primi decenni del Trecento, la sola Arte della lana produsse un quantitativo di pezze superiore alle 100 mila contro un valore di oltre 600 mila fiorini d’oro.

L’attività produttiva fu legata all’andamento del mercato, risultò soggetta agli sbalzi congiunturali sfavorevoli con conseguenze negative per migliaia di lavoratori, ai quali i salari miseri non lasciavano possibilità di risparmio che consentisse loro di affrontare i periodi di disoccupazione.

Ciò spiega pertanto, perché le cosiddette crisi di sovrapproduzione nel Trecento contribuirono a generare e a mantenere condizioni di tensione giunte sino allo scontro.

Si moltiplicarono allora le lotte per il controllo del governo cittadino e le rivendicazioni dei salariati. Talvolta si notarono tentativi di strumentalizzazione di difficili situazioni economiche, delle classi egemoni e di chi voleva con ogni mezzo impadronirsi del potere.

Proprio ciò accadde a Firenze fra il 1342 e il 1343, allorché Gualtieri di Brienne, un condottiero napoletano al servizio del Comune si conferì il titolo di duca di Atene, divenendo signore della città con l’appoggio del popolo minuto, fra cui si contraddistinsero per l’impegno vinattieri, beccai, tintori e piccoli mercanti e artigiani, nonché gli scardassatori detti anche Ciompi.

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