23. Dalla crisi degli orientamenti comunali alla Signoria cittadina: gli Scaligeri a Verona

Come già notavamo, le istituzioni comunali si trovano per diversi motivi in uno stato di perenne instabilità alla cui origine, in varie situazioni anche relative a territori distanti fra loro, si rinvenne anzitutto una vitale dinamica sociale che, nell’ambito di un’economia espansiva, portò al trionfo di nuove famiglie e all’egemonia di nuovi ceti sociali, capaci di allargare gli spazi del loro potere.

V’è però anche la scarsa capacità dei Comuni di provvedersi di orientamenti atti a non trasformare le tensioni sociali in motivo di pregiudizio per il funzionamento di società complesse come quelle dell’Italia centrosettentrionale.

Bisogna poi tener conto dell’intraprendenza di grandi famiglie aristocratiche feudali che, puntando sulle loro clientele vassallatiche dei loro territori rurali e sul collegamento con le consorterie nobiliari cittadine, precipitarono la crisi delle istituzioni comunali in senso signorile.

Il primo precoce caso è quello di Ferrara (in questo importante centro la rapidità del fenomeno fu un evento inatteso che sorprese i Comuni vicini e la stessa Bologna), città in cui, già nel XII secolo, il Comune era condizionato dalle lotte per la prevalenza di due fazioni nobiliari: i Torelli e i Marchesella-Adelardi. Il posto di questi ultimi, a partire dal 1190, sarà preso dagli Estensi che nel 1240 raggiunsero la vittoria finale con il marchese Azzo VII.

Tuttavia, solo nel 1264 con la presa del potere da parte di Obizzo, l’assetto di quei signori ebbe valenza giuridico-formale.

Il loro dominio poggiò allora sul sostegno di famiglie aristocratiche cittadine, nonché su una cospicua base fondiaria impiegata per aumentare il peso dei propri fautori, mediante l’accrescimento dei loro feudi.

Ai nuovi vassalli fu poi assegnato l’obbligo di dare aiuti militari per sedare i tumulti cittadini e nel territorio circostante.

Esempio più significativo dell’instabilità comunale, fonte di sbocco nella Signoria, è offerta dagli Ezzelini, casata di ragguardevole base fondiaria e di importanti clientele vassallatiche nella fascia prealpina del Veneto.

Il loro maggiore esponente, Ezzelino III da Romano – come è noto – si imporrà a partire dal 1230 su Verona, Vicenza, Padova e Treviso, preannunciando quello che nel XV secolo sarebbe diventato il dominio di terraferma di Venezia.

Nel passato gli storici hanno sottolineato i metodi assolutistici seguiti da questo personaggio per la conquista e il mantenimento del potere sino a quando, nel 1259, non fu sconfitto e ucciso nella battaglia di Cassano d’Adda, da un esercito raccolto dai suoi avversari. Inoltre, si è insistito in prevalenza sull’appoggio prestato a Ezzelino da Federico II che gli dette in moglie una figlia naturale e gli concesse il vicariato imperiale.

Tutto ciò è vero ma non può esimerci dall’individuare, anche nella rete dei fiancheggiatori di varie città, una base del potere ezzeliniano; altrimenti si spiegherebbe poco la lunga durata del suo dominio e altresì la fedeltà di Verona e Vicenza anche quando la fortuna aveva ormai volto le spalle a quella impareggiabile guida.

Analogo il caso di Oberto Pelavicino che, dopo l’alleanza di Ezzelino, si pose alla testa dell’esercito che ne provocò la fine. Provvisto di fortezze e di terre situate lungo la pianura padana, egli si impose in pochi anni su Alessandria, Milano, Cremona, Pavia, Piacenza e Parma, dando vita a un’ampia Signoria tra Piemonte, Lombardia ed Emilia, destinata a piombare in crisi, allorché Carlo I d’Angiò scese in Italia, per poi svanire del tutto nel 1269.

Grande ma effimero successo nel Piemonte occidentale ebbe Guglielmo VII del Monferrato, il cui potere fu di origine strettamente feudale e quindi forte di appoggi di singole fazioni cittadine, ma privo del prestigio personale, legato come fu a una specifica città. Così con la sua morte, nel 1292, dopo la ribellione di Alessandria, la sua fortuna si esaurì rapidamente.

Diversa invece fu la sorte di altre famiglie quali i Visconti, gli Scaligeri, i da Camino, i Carraresi, i Gonzaga, forti nei Comuni di Milano, Verona, Treviso, Padova e Mantova, donde mossero i primi passi per una non momentanea vittoria.

A Verona i Della Scala furono una famiglia di antica tradizione cittadina che nel XII secolo era già sensibilmente inserita nella vita del Comune veronese e fece parte del ristretto numero dei notabili.

Mastino della Scala prese il posto di Ezzelino da Romano, dopo la scomparsa di quest’ultimo nel 1259. In apparenza a Verona tornò allora un regime di tipo comunale, dato che agli inizi, questi non prese il nome di signore ma quello di podestà e poi, nel 1262 quello di capitano del popolo.

Tuttavia con lui si ebbe la creazione di un potere di fatto che solo più tardi si calò sull’intera città dopo essersi separato da quei gruppi che all’inizio lo avevano sostenuto. Oltre che a Verona, come dicevamo dianzi, gli Scaligeri daranno un volto particolare a gran parte del Veneto, per esempio a Padova ove alla loro presenza fu pure connessa l’origine dell’Università da collocarsi nel 1262.

A sua volta Padova liberò Vicenza da Ezzelino, guidò la città tanto che il primo podestà vicentino fu di Padova e la parabola vicentina fu orientata tutta in senso patavino così che, quando nel ’300 il destino di quei due centri urbani si distinse, Vicenza giunse al suo declino.

La Signoria veronese fu particolarmente significativa anche per il fatto che Mastino della Scala giunse al potere con l’appoggio del ceto mercantile che alla testa dello schieramento di opposizione ai magnati controllava quel che restava del Comune. Così, in vista del pericolo della ripresa dell’egemonia magnatizia e delle lotte per il potere, nella città veronese i mercanti si posero sotto la tutela di un signore – Mastino per l’appunto – mostrando in tal modo di ritenere la stabilità politica la loro mira principale.

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