10. Il Comune consolare

Il Comune dei consoli – come lo denominerà Giovanni Tabacco – si presenta con una notevole flessibilità istituzionale, senza pretese di esclusività. Esso non cercò di monopolizzare le funzioni di carattere pubblico nelle città, non contestò diritti di esazione e di controllo sui mercati, su pesi e misure, su posti di dazio o pedaggio spettanti ad enti ecclesiastici o trasmessi ereditariamente alle famiglie comitali.

Il Comune cittadino consolare rappresentò una forte esigenza di partecipazione che rimase al di là del periodo consolare stesso e divenne uno dei connotati dell’intera civiltà comunale.

Già nel XII secolo Milano avanzò prepotentemente nell’ambito comitale e della città di Lodi mentre a Castel Seprio sostituì i conti locali con l’autorità dei consoli della medesima comunità rurale.

Dove il Comune subentrò al conte – Pisa, Genova, Bologna, Padova, Verona, Firenze – la sua autorità si estese di fatto e di diritto al contado. Quando subentrò al vescovo e si sviluppò in un quadro episcopale, ebbe invece a generarsi una realtà resa più complessa dalla presenza della giurisdizione ecclesiastica.

Il Comune nacque con modalità ovunque peculiari che si differenziarono dall’esempio milanese e che si notarono nelle istituzioni affermatesi nei quarant’anni intercorsi fra il 1080 e il 1120, ossia nell’epoca della lotta per le investiture. In certi casi il potere consolare è accertabile con qualche anno di ritardo, ma si tratta probabilmente di situazioni casuali, legate alla perdita o alla sottrazione dei primi documenti.

Questa comunque la data di nascita dei primi Comuni italiani: Pisa (1081), Asti (1095), Milano (1097), Arezzo (1098), Genova (1099), Pistoia (1105), Ferrara (1105), Cremona (1112), Lucca (1115), Bergamo (1117), Bologna (1123), Piacenza (1126), Mantova (1126), Modena (1135), Verona (1136).

Il potere in questi casi si concentrò spesso nel ceto aristocratico, mentre in città toscane e piemontesi di sviluppo mercantile, si mostrò preminente la presenza dei commercianti e degli imprenditori.

Sempre però i termini di consules e consulares furono adoperati per riferirsi al gruppo di famiglie aristocratiche o borghesi da cui provennero le magistrature consolari.

Va detto inoltre che in un primo tempo i gruppi consolari non costituirono un ceto chiuso, in esso infatti entrarono tanto i nobili immigrati dalle campagne, quanto i mercanti arricchitisi.

La chiusura invece si verificò fra il XII e il XIII secolo in seguito alla grande crescita mercantile e artigianale, quando le famiglie dominanti cercarono di tener fuori le altre dai più diretti ambiti del potere.

I consoli per altro si ripromisero di seguire gli interessi dell’intera città e non solo del gruppo sociale che li espresse e ciò fa comprendere perché essi, almeno in questa prima fase, godettero del consenso di pressoché tutto il complesso urbano.

Gli organi del governo consolare furono quasi sempre l’Arengo ovvero l’assemblea generale dei cittadini, cui spettò di decidere sulle questioni interessanti la collettività cittadina, quindi il Collegio dei consoli che ebbe il potere esecutivo.

I consoli rimasero in carica per un periodo ristretto, 6 mesi o un anno tutt’al più, onde evitare la possibile creazione di regimi personali. Ciò consentì una rapida rotazione di cariche e pertanto di quasi tutti gli esponenti delle famiglie che espressero il Comune, giunte agevolmente al vertice della loro amministrazione.

All’inizio del mandato, i consoli compirono un giuramento nell’Arengo con cui si legarono alla garanzia della giustizia e della pace, alla cura del bene, alla difesa della città, al rispetto delle leggi e delle consuetudini vigenti e alla soluzione delle questioni in rapporto con la realtà locale.

Anche i cittadini fecero poi un giuramento, presenti i consoli, con cui promisero obbedienza e collaborazione rivolte al mantenimento dell’ordine e della pace.

Quando all’inizio l’Arengo fu costituito da quanti presero l’iniziativa di sostituirsi alle autorità presenti per dar vita al Comune, l’elezione consolare avvenne mediante acclamazione. Quando poi entrarono nell’assemblea tutti i capofamiglia cittadini, la situazione si fece complessa e si resero necessari cambiamenti di carattere istituzionale: l’assemblea generale fu allora commutata da due consigli: il Consiglio maggiore i cui poteri furono deliberativi e un più ridotto Consiglio minore – detto pure Consiglio di credenza o Consiglio degli anziani – affiancato ai consoli durante il disbrigo del loro lavoro, dotato di potere esecutivo.

Le modalità elettive cambiarono nelle varie città, ma i sistemi elettali furono predisposti in modo da assicurare la prevalenza ai notabili. Anche l’elezione dei consoli non fu più direttamente appannaggio del Consiglio maggiore, ma si svolse attraverso due o tre gradi intermedi che assicurarono il monopolio delle famiglie predominanti.

Molto presto l’amministrazione comunale si prefisse il compito di comunicare con il circostante mondo rurale.

Canale preferenziale di trasmissione con tale ambiente fu di fremente l’aristocrazia cittadina, dotata di beni fondiari e di diritti giurisdizionali sui contadini e spesso legata pure ai signori feudali e ai missi regi e comitali da rapporti parentali mediante i quali risolse facilmente i contrasti inevitabili in un momento di tanto accentuata sperimentazione politica.

Inoltre, orientarono decisamente il Comune verso il controllo del Scostante contado i mercanti e gli artigiani, gli uni e gli altri nell’intento di estendere le loro attività e quindi di cancellare gli ostacoli alla circolazione delle merci, originati dal cumulo delle giurisdizioni locali in concorrenza fra loro.

Furono questi gli interessi di cui il preminente ceto si fece portavoce, in quanto la sua autorità venne connessa a una non comune capacità di farsi interprete delle esigenze della comunità cittadina.

L’abilità comunale di proiettarsi sul contado e sulle città vicine si esplicò in modi e tempi diversi da città a città e da zona a zona e il XII secolo rappresentò il momento in cui essa apparve più ampia.

Tuttavia non mancarono occasioni in cui la vitalità cittadina si rivelò tanto grande che, al termine del XII secolo, il processo di superamento del particolarismo politico dovette considerarsi già in atto. Proprio questo infatti si verificò in Milano, già all’inizio del XII secolo, impossessatasi di territori e di città limitrofe quali Pavia, Novara, Como e Lodi, dando luogo alle ragioni che richiesero l’intervento dell’imperatore, appena esso ebbe modo di far sentire pienamente la sua autorevole presenza nella penisola.

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