31. Milano viscontea e sforzesca
La prosperità milanese nell’età di mezzo si fondò maggiormente sul commercio che sull’industria. Tuttavia nel ’400, poi nel secolo successivo, la produzione cittadina si avvalse di due nuove cospicue risorse: il riso e la seta. La risicultura era però agli inizi e seppur promettente non costituì ancora un elemento distintivo nell’economia lombarda. La seta invece fu una vera e propria industria da quando i mercanti fiorentini chiamati da Filippo Maria Visconti nel 1442, non dettero uno sviluppo alla confezione e alla diffusione di quel prodotto. Così le seterie si affiancarono ai manufatti tessili per i quali Milano era largamente nota.
I Visconti prima, gli Sforza poi, compresero l’importanza di assicurare uno sviluppo economico alla loro città, potenziarono le corporazioni di arti e mestieri e promossero la riforma degli statuti, la cui autonomia fu spesso limitata secondo le tendenze oligarchiche del governo.
L’industria dei velluti e del fustagno, del ricamo, degli arazzi, quella del ferro battuto e dell’oreficeria non ebbero quasi rivali in Italia. Milano si arricchì allora di intellettuali, ospitò dame eleganti e artisti venuti da ogni parte della penisola. A rilevarlo, fra gli altri, fu Bernardino Corio, storico dell’età di Ludovico il Moro, il quale sottolineò l’apporto degli artisti venuti da fuori, sui quali «si sollevarono del capo e delle spalle sugli altri Bramante da Urbino e Leonardo da Vinci».
Colui che progettò la famosa abside di Santa Maria delle Grazie giunse a Milano verso il 1474, l’autore del pregevole Cenacolo invece vi arrivò nel 1482, anno in cui inviò una molto conosciuta lettera a Ludovico il Moro al quale si presentò come architetto, idraulico, scultore e pittore in tempo di pace, ingegnere militare in tempo di guerra.
Prima e dopo il rinnovamento introdottovi da Leonardo, Milano ebbe buona tradizione in ambito pittorico: Giovannino de Grassi, Michelino da Besozzo, Cristoforo Manetti, poi Vincenzo Foppa, Bernardino Butinone, Bernardino Zenale, alcuni precedenti, altri contemporanei di Leonardo, furono vigorosi seppur ancor rozzi pittori.
Attorno a Bramante e a Leonardo, convennero una schiera di uomini di cultura che introdussero progressi indubbi in non pochi ambiti del sapere: Luca Pacioli e Fazio Cardano, il padre di Gerolamo, l’autore della Domificazione, il matematico Giovanni Marliani allo stesso tempo, medico e astronomo fra i più noti e celebrati del XV secolo, insieme con i figli Girolomo e Pier Antonio, Piero Monti, ingegnere militare, uomo dalla vita avventurosa al pari di un romanzo, approdato a un certo momento alla critica contro i riformati, e ancora Giovanni Andrea da Ferrara, scienziato dedito a ogni genere di speculazione, innamorato della sua patria, antifrancese, e perciò decapitato e squartato dai Francesi nel castello Sforzesco nel maggio del 1500, gli astronomi Piattino Piatti e Andrea da Imola, il medico anatomico Marcantonio della Torre, sono tutti esponenti di una sorta di scuola destinata a fare di Milano viscontea e sforzesca una vera, moderna metropoli e un centro di cultura umanistica, meno importante di Firenze, Roma e Napoli, ma certamente non spregevole.
Anche la cultura umanistica conobbe nella metropoli lombarda impulso notevole da quando Francesco Petrarca fu ospite dei Visconti fra il 1353 e il 1361 e allorché poi Gian Galeazzo Visconti ospitò Coluccio Salutati e Pier Candido Decembrio fu accolto da Filippo Maria e dalla repubblica ambrosiana (dopo l’avvento dei Francesi emigrò in Roma alla corte papale).
Francesco Filelfo, autore della Sforziade, colto ed elegante sebbene poeta cortigiano, Panfilo Castaldi, Antonio Zaroto, Filippo Cavagni da Lavagna, furono, ad esempio, tra i primi stampatori a livello della penisola.
Giorgio Menila, Gaspare Visconti, Ermolao Barbaro, Bernardino Corio, Demetrio Calcondila e altri uomini di lettere e artisti, fecero sì che la corte di Ludovico il Moro e di Beatrice d’Este nel Castello di Porta Giovia, divenuto già con gli Sforza oltre che fortezza militare, fastosa corte residenziale, si trasformasse in uno dei centri culturali più rinomati d’Italia.
Fra quelle mura, nozze, nascite, feste di accoglienza e celebrazioni di vittorie, divennero pertanto motivi d’incontro e di diffusione di pensiero e di cultura, celebrata con un fasto originale e senza pari: si pensi che a organizzare feste, rimaste celebri per gli splendidi arredi, i balli, i costumi, talune vere e proprie costruzioni gastronomiche, capolavori di cesello e di bulino oltre che di culinaria, non disdegnò a volte di partecipare lo stesso Leonardo da Vinci che dedicò il suo multiforme ingegno a bizzarre costruzioni di «trionfi» e di «Chimere», considerate una gioia per gli occhi oltre che per la tavola dei duchi e dei loro ospiti.
Le partite di caccia e i tornei furono anch’essi momenti distintivi e irripetibili di una corte non seconda alle più ricche e colte d’Europa, allietata da danze, concerti, manifestazioni teatrali cui parteciparono attori rinomati e usi a calcare le scene dei teatri delle corti allora più in voga.
Tutto ciò ingentilì e dette talora un tocco di leggiadra levità a una politica tutt’altro che filantropica e magnanima, ove odi, pugnali, arrivismo, egoismo e crudeltà furono all’ordine del giorno.
Ciò non toglie che una città e uno Stato volti a costituire per lungo tempo una sorta di antemurale che salvò la penisola dallo straniero cadde senza scampo nelle mani dei Francesi. Niccolò Machiavelli ascrisse la responsabilità del grave accaduto alla politica personale del Moro «cagione della rovina d’Italia» e perciò da lui contrapposto ai Medici, dei quali fu più accorto e consapevole nelle arti diplomatiche.
Machiavelli colse certo nel segno, anche se non tenne conto che la morte sottrasse il Medici all’obbligo di prendere decisioni che anche per lui sarebbero state di grandissima difficoltà e quindi fu troppo severo nel suo giudizio sul Moro, in quanto come alla maggior parte degli storici che trattano di problemi a loro contemporanei, gli mancarono l’opportuna profondità e il distacco necessari per comprendere appieno l’origine di eventi che è facile ascrivere a responsabilità di singoli individui, mentre risultano scaturiti da cagioni più profonde spesso al di sopra della volontà di determinati ed eccelsi uomini.
Comunque, a parte le negative conclusioni, la Milano dei Visconti, degli Sforza e del Moro, resta un punto di riferimento italiano e soprattutto europeo.