7. La dimensione delle città comunali
Se nelle campagne, come ora dicevamo, la società medievale del XII secolo saprà e vorrà compiere un complessivo balzo in avanti e la curtis cederà il passo alle Comunità rurali di villaggio il cui centro sarà costituito dalla Chiesa, nelle città ove i poteri feudali erano più deboli e rallentati si affacciarono più rapidamente e con decisione i Comuni, di cui in precedenza abbiamo indagato le origini e i primi segni che ci permettono di ravvisarne la presenza.
Ma parlare dei Comuni nel XII secolo e nei successivi vuol dire anzitutto parlare della complessa realtà rappresentata dai centri urbanizzati. A proposito dei quali tutti son pronti a sostenere che l’Occidente cristiano è popolato di città, mentre i primi distinguo nascono allorquando di esse si cerca di precisar meglio la consistenza.
Nella maggior parte dei casi infatti si sottolinea che l’età di mezzo non conosce il fenomeno delle megalopoli e che il numero di abitanti di un centro urbano era per solito assai contenuto. Il che tuttavia non basta affatto a determinare l’entità di un centro che va messa in rapporto con quella degli altri luoghi più o meno vicini e inoltre con il numero complessivo degli abitanti delle singole regioni dell’Occidente e dell’Oriente cristiano, musulmano oppure cinese o indiano.
In altri termini una città odierna, con i suoi due o tre milioni di abitanti – si pensi per fare un esempio a Roma o a Milano – può definirsi più o meno una megalopoli quando sia posta in rapporto con altre capitali e comunque megalopoli quali Parigi, Londra, Madrid, Monaco di Baviera, Lione, e soprattutto con il numero di abitanti della nazione cui essa appartiene.
In altri termini la consistenza di Roma va misurata confrontandola sia con quella di altre capitali, sia rapportandola alla popolazione complessiva della Repubblica italiana e comunque essa va sempre considerata nel contesto della terra e dello Stato in cui sorge, il che pone una serie di difficoltà in quanto la mancanza di censimenti e di organi di stima attendibili, comunque allora quasi mai adoperati, rende difficile proporre e quindi precisare l’entità di una città e ancor più quella di uno Stato. Pertanto compiere ricerche di tal tipo degne di fede, costituisce una fatica improba spesso destinata a conseguire scarsi risultati scientifici.
Pur tuttavia se, con gli strumenti e i mezzi di verifica di cui disponiamo, possiamo dire che l’Italia del ’200 o del ’300, prima comunque della pestilenza che attorno alla metà del XIV secolo ne decimò in talune zone gli abitanti, non superò mai gli otto, nove milioni di anime per raggiungere solo alla fine del ’400 i circa dieci milioni e se possiamo ancora ritenere che l’Inghilterra all’inizio del’300 non superasse i quattro milioni – scesi a poco più di due dopo la ora ricordata peste nera – si può sostenere che i 100 mila Fiorentini o Parigini o anche i supposti 50 mila Romani non siano per nulla pochi (questo soprattutto vale per Firenze, se calcoliamo la sua popolazione odierna e la paragoniamo a quella di Parigi, per cui si vede come lo sviluppo della città del fiore nel Medioevo abbia del prodigioso e come essa possa considerarsi allora una vera megalopoli sul piano di quelle attuali extraeuropee) soprattutto qualora li confrontiamo con le assai più numerose civitates dell’età di mezzo, i cui abitanti andavano dai 10 ai 30 mila!
Quel che conta però anzitutto è che conosciamo l’esistenza di centri che dall’XI secolo in poi, soprattutto quando vi si siano affermati i Comuni, tornano a pulsare di attività mercantili di carattere artigianale e industriale e vedono un’aumentata promozione delle loro attività liberali. E ancor più conta che riusciamo a precisare l’entità dei traffici, dei contatti con comunità lontane, la presenza di persone provenienti anche da molto lontano, che parlano lingue differenti e spendono differenti monete e che conferiscono nel loro insieme un’aria quasi internazionale a centri nel primo millennio chiusi in una sorta di vita ristretta dal punto di vista economico e culturale e – tout court – da quello civile.
Comunque le aree di più intensa urbanizzazione – per esempio nell’Italia centro-settentrionale e nelle Fiandre – diverranno tali soprattutto per il gran numero delle loro città più che per l’entità delle medesime.
Il massimo dell’estensione e della consistenza abitativa è poi raggiunto agli inizi del ’300 da città come Milano, Firenze, Parigi che già possiedono una terza cerchia muraria, mentre le due precedenti risultano anguste e superate dal moltiplicarsi delle costruzioni e dei loro abitanti che in tali centri raggiungeranno e supereranno i 100 mila, raccolti in una superficie di 450 ettari a Parigi e di 600 a Firenze.
La densità delle città tedesche o di quelle delle Fiandre al cui interno si aprono più spesso spazi con orti, giardini e ampi prati disabitati, fanno sì che al numero degli abitanti non corrisponda una pari estensione cittadina. Per esempio a Colonia, la più popolosa città tedesca, 40 mila abitanti si distribuirono in circa 400 ettari; a Bruges i 60-70 mila, al massimo sono collocati in una superficie di 430 ettari e a Gand la stessa consistenza abitativa è ripartita in una misura di 644 ettari, assai più ampia dunque di quelle fiorentina e parigina, ove sono concentrate quasi il doppio delle persone. E ciò dipende di certo dalla maggior vitalità delle comunità maggiormente concentrate – una per tutte la fiorentina – e quindi dal costo dei suoli destinato a incidere non poco sull’economia cittadina e sul suo sviluppo.
Oltre a quelle già menzionate, le città più grandi in età comunale sono in Italia Venezia e Genova, anch’esse forse non lontane nella stessa epoca dai 100 mila abitanti. Più numerosa assai la fascia dei centri che contano fra le 30 e le 50 mila presenze: di essi fanno parte molte città italiane, Bologna, Pisa, Siena, Padova, Verona, Roma, Napoli, Palermo, Messina e Catania.
Nelle Fiandre menzioneremo Tournai, Ypres, Bruxelles e Lovanio. Fra le occidentali non dimenticheremo poi Colonia, Londra, le città iberico-musulmane quali Siviglia, Granada e Cordova e quelle cristiane quali Barcellona e Valencia anch’esse mantenutesi su una cifra pressappoco eguale.
Ancora di più sono peraltro i centri annoverati fra i 15 e i 30 mila abitanti, sicuramente in maggioranza fra le città italiane, tra le quali citiamo Pavia, Piacenza, Parma, Mantova, Vicenza, e Treviso, Ferrara, Modena, Lucca, Arezzo, Ancona, Viterbo, Perugia, L’Aquila, Barletta, Lucera, Trani, Bitonto, Melfi, Trapani, Sassari. Fra le metropoli franco-belghe in simili condizioni ricorderemo almeno Arras, Lille e Lièges. Fra le tedesche si impongono all’attenzione senza dubbio Lubecca, Brema, Amburgo, Strasburgo, Norimberga.
Ancor più ampio infine l’elenco delle città italiane e delle franco-fiamminghe postesi intorno ai 10 mila abitanti che non ricorderemo per brevità, limitandoci a nominare qualche esempio tedesco, Treviri, Augusta, Ulma, Aquisgrana, e olandese, Leida, Amsterdam, Utrecht.
Due precisazioni faremo ancora a questo punto: nel parlare del fenomeno comunale italiano amiamo riferirci anche noi soprattutto a esempi tolti dal contesto centro-settentrionale della penisola. In Italia meridionale invece diversa è la sorte delle città del Regno, rette dalle Universitates sviluppatesi nell’ampia e forte cornice di un potere centrale normanno-svevo e poi angioino-aragonese.
Destino diverso avrà poi il Commune Veneciarum, discostatosi per conformazione orografica, per caratteri istituzionali, collegamenti fra ceti sociali e posizioni politiche sia dai centri urbani più lontani, sia da quelli dislocati nel territorio circostante.