14. La pace di Venezia
Se la battaglia di Legnano rappresenta il momento di massima espansione e affermazione dei Comuni lombardo-padani, la pace di Venezia costituisce il momento di grande vittoria del pontefice Alessandro III.
L’incontro del 1177 si svolse nei termini più amichevoli possibili sulla gran parte delle questioni formali, relative alla pacificazione. Fu quello un giorno di gioia per tutta la cristianità e segnatamente per il papa.
L’imperatore dei Romani e re di Germania, dinanzi al cui potere tutti avevano tremato per quasi venticinque anni, si impegnava con un solenne giuramento, considerato quasi simbolo di assistenza della grazia divina, ad attuare il concetto di sacro impero, basato sul riconoscimento della supremazia pontificia. Egli pertanto avrebbe baciato la sacra pantofola di Alessandro, e avrebbe retto la staffa alla sua cavalcatura.
Certo, al di là della promessa di fedeltà alla santa sede, l’imperatore si riservava di proteggere il papa che, quasi come nei secoli precedenti, avrebbe continuato a dipendere da un impero, denominato sacro, ma pur sempre contrapposto alla Chiesa. Però, nella giornata veneziana trionfarono solo i motivi volti a unire e non quelli destinati a riaccendere in futuro le divisioni fra regnum e sacerdotium.
Alessandro III e Federico I si distinsero entrambi per la cura posta nella realizzazione di grandiosi preparativi. Un cerimoniale complesso e attento ai minimi particolari fu predisposto per far sì che la manifestazione fosse sotto ogni aspetto indimenticabile. Era previsto, ad esempio, il modo in cui l’imperatore doveva muovere verso il papa e quello con cui quest’ultimo doveva farsi incontro a Federico che sarebbe stato assolto dalla scomunica, dietro la più scrupolosa osservanza delle prescrizioni canoniche. Il cerimoniale inoltre prevedeva quanti passi Alessandro e Federico avrebbero dovuto fare dal Canal Grande alla basilica di San Marco, in qual punto preciso, il sovrano avrebbe dovuto spogliarsi dei suoi parimenti e accostarsi al successore di Pietro per il bacio del piede.
Lo stesso Alessandro fu preoccupato di ridurre al minimo l’umiliazione del re sconfitto. Infatti, per non rendere troppo mortificante per Federico la cerimonia con cui avrebbe preso la staffa e guidato la cavalcatura papale, egli decise che la cavalcata, tutto sommato spiacevole anche per il papa, si effettuasse per il brevissimo tratto che congiungeva la tribuna posta accanto al portale di San Marco, all’approdo delle gondole, in modo da conferire a un atto il cui significato era squisitamente politico, un senso simbolico, soprattutto religioso.
Da parte sua l’imperatore cercò in ogni modo di far sì che la sua immagine non uscisse immiserita dall’insieme della manifestazione. Anzitutto egli si fece prestare una grossa somma dai banchieri veneziani, poi accompagnato da una imponente corte al suo seguito, si trasferì presso il centro monastico di S. Nicola al Lido, per ricevere lì dai messi papali, circondato dai principi dell’impero, l’assoluzione dalla scomunica.
La mattina del 24 luglio 1177 – tale fu il giorno prescelto – ancor prima che si levasse il sole, piazza S. Marco era gremita di popolo come accadeva nelle grandi occasioni. Numerosissimi erano gli stendardi e le bandiere dai colori sgargianti, radunati in gran parte presso l’approdo delle imbarcazioni. Di fronte al portale d’ingresso della basilica fu posta una grande tribuna su cui fu collocato un ricco baldacchino per papa Alessandro. Dalle finestre circostanti pendevano drappi preziosi e ghirlande di fiori intrecciati.
Prima che sorgesse il sole, il pontefice accompagnato dai cardinali e dai nobili lombardi e siciliani entrò in S. Marco per celebrarvi la Messa. L’organo, accompagnato dal coro, spandeva alti suoni, affievoliti in parte da quello delle campane di tutte le chiese cittadine.
In S. Nicola al Lido, frattanto, aveva luogo la manifestazione cui si faceva dianzi cenno. Federico ripudiò l’antipapa Callisto III, ammise i suoi errori e riconobbe come legittimo capo della cristianità Alessandro III da lui combattuto per anni con pervicacia. I nobili del seguito ripeterono anch’essi la formula di rito per far sì che tutti potessero essere considerati cristiani di fatto, oltre che di nome.
Al Lido sbarcarono poi il Doge e il clero cittadino per accompagnare Federico a S. Marco. Federico si accomodò in una galea riccamente addobbata, scortato dal seguito e da un tripudio di popolo e di campane per giungere a piazza S. Marco nel momento stesso in cui il papa saliva sulla tribuna. In piazza tutto il popolo si inginocchiò, allorché Alessandro levò il braccio per dare la benedizione. Di fronte, sorridente ed eretto, ammantato di porpora con la lancia e la spada nelle mani, si presentò Federico, il quale con tranquillità si accinse a compiere i pochi passi che lo separavano dal baldacchino papale. Egli era circondato dal doge che portava nelle mani una rosa d’oro, dal patriarca e dal clero veneziano recante candele accese, croci e corone.
Giunto presso Alessandro che egli aveva combattuto per venti anni, l’imperatore si apprestò a ricevere con partecipazione commossa ma senza umiltà la benedizione apostolica. Lo sguardo di Alessandro era vagante e stanco e nessuno potrà mai dire se in lui trionfassero sentimenti di compassione per il sovrano perdente o di gioia per la raggiunta, universale pacificazione. Alzò comunque la mano per la benedizione e Federico chinò il capo, depose la corona mentre il manto gli scivolava a terra. Il principe più potente del mondo, in ginocchio, baciò la pantofola al pontefice che, aiutatolo ad alzarsi, lo abbracciò paternamente.
Mentre la folla gridava di giubilo e lo scampanio si faceva più vibrante, Federico dette la destra al vecchio papa per condurlo in S. Marco. Spentesi le ultime note del Credo, Alessandro salì sul pulpito per la predica svoltasi a voce così bassa che Federico dovette accostarglisi per distinguere le parole, tradotte poi vocabolo per vocabolo in tedesco. Conclusosi il servizio divino, Federico prese nuovamente il pontefice per la destra, lo condusse fuori S. Marco. L’augusto vegliardo fu sollevato sulla sella del cavallo mentre l’imperatore compì la famosa, difficile cerimonia di reggergli la staffa. Poi, mentre si apprestava a prendere nelle sue mani le redini per condurre umilmente il cavallo del papa, Alessandro cortesemente lo respinse e lo congedò benedicendolo.
La giornata di Venezia non si esaurisce a questo punto. Ebbero infatti luogo i colloqui confidenziali in cui papa e imperatore, nonostante la pace raggiunta, si trovarono su posizioni distinte e distanti circa l’annosa questione dei beni matildini, da Federico considerati imperiali, da Alessandro invece reclamati come in gran parte appartenenti alla Chiesa. Tuttavia, se la realtà dei rapporti fra papato-impero non era tutta nella prestigiosa assise di S. Marco, non si può sottacere che almeno per un momento, in quel luglio 1177, tutta la cristianità apparve pacificata.