4. Il Comune, espressione dei particolarismi locali

Così come le diversità delle ipotesi storiografiche relative al Comune non rappresentano tanto e soltanto una diversità di interpretazione, generata dalla peculiare estrazione culturale, dalla mentalità e dal metodo del singolo studioso, del pari la differenza fra le situazioni in cui l’amministrazione comunale nasce e cresce non costituisce una sola diversità di contesto che sottende una sostanziale tenuta del quadro generale.

Il fenomeno in sé – ce lo ha spiegato il Volpe – riveste origini, caratteristiche ed esiti differenti da luogo a luogo. Al limite pertanto, potremo tentare di delimitare talune aree geografiche, omogenee all’interno dai vari punti di vista e procedendo mediante un’indagine per campione, verificheremo eventuali somiglianze di situazioni.

A noi pertanto basterà ricostruire una prima griglia su aree geografiche situate in terra italiana per verificare effettive differenze o eventuali consonanze.

Si è abituati, ad esempio, a presentare come zone prettamente diverse, soprattutto dopo la formazione dello stato unitario normanno, l’Italia centro-settentrionale e l’Italia meridionale. Noi diremo subito che, senza dubbio, la tesi non appare del tutto priva di fondamento, dal momento in cui i Normanni, a partire dalla fine del secolo XI e soprattutto nel successivo, formarono uno Stato accentrato dalla Sicilia all’Abruzzo e ciò potrebbe rendere plausibile la persistenza di condizioni «feudali» nel mezzogiorno d’Italia.

Tale distinzione tuttavia, in sé e per sé, non è né necessaria né sufficiente a dare spiegazioni di segno consimile, in ogni caso riscontrabili e verificabili. Infatti nel centro-nord, nonostante le discrasie e le divergenze, rinveniamo una sopravvivenza di istituzioni feudali, che non dovrebbero esser rimaste in vita, data la presenza dei Comuni. Invece all’estremità del Nord-Est, nella Marca del Friuli e nel Principato di Trento, le strutture politico-feudali, malgrado una situazione non gravitante verso uno Stato unitario, si mostrarono solide e durature, mentre anche le strutture del terreno e il decentramento rispetto alle grandi vie del commercio non favorirono lo sviluppo e la formazione di grandi centri, eccettuata la città di Trento ove tuttavia pesarono molto la presenza e l’influenza del vescovo-principe, laddove il Friuli gravitò fra il Ducato di Carinzia, il patriarcato di Aquileia e lo Stato veneziano.

Pari situazione poi si genererà nel Piemonte nord-occidentale, anche se quella provincia fu aiutata dalle vie di comunicazione verso la Francia e le terre nord-occidentali. Anche qui insomma in assenza di qualsiasi processo unitario le sottostanti strutture feudali mostrarono nel complesso una buona capacità di sopravvivenza.

Le aree ove lo sviluppo economico e quello del commercio risultano maggiori sono comunque la valle Padana e quella dell’Arno. Qui si producono e si concentrano le più notevoli risorse commerciali in città di notevoli proporzioni, volte ad attrarre la popolazione dei territori circostanti fino a creare quasi il vuoto attorno a loro.

Proprio queste sono insomma le zone ove si trovano i più grandi centri urbani dell’epoca, centri che stanno per aggregarsi in forti comunità politiche autonome, atte a esprimere energie militari, pronte a tutelare le proprie libere conquiste e ad ampliare l’entità del proprio potere e capaci di dar vita a veri e propri imperi economici.

Sensibilmente diversa invece appare la situazione umbro-marchigiana, nonché quella del Montefeltro e della Romagna. L’economia di tali terre risulta infatti già allora costituita su basi eminentemente agricole. Essa tuttavia godrà di uno sviluppo commerciale e industriale dipendente da altre zone, quindi il progresso è lì più lento e tardo rispetto a quanto succede nella bassa Padana e più che altrove in Firenze, ove il commercio subisce un invero notevole incremento.

I centri urbani romagnoli e pure quelli umbro-marchigiani raggiungeranno tuttavia egualmente un sensibile incremento, segnatamente nel XIII e pure nel XIV secolo, ma essi sono pur sempre complessivamente centri medio-piccoli, la cui consistenza non potrà competere con quella delle grandi città lombarde e con le toscane.

La più contenuta solidità economico-sociale e anche demografica romagnola e umbro-marchigiana, sarà tuttavia compensata proprio dal grado di complessiva intensità maggiore degli insediamenti abitativi, atti ad esprimere una buona organizzazione politica, pur non arrivando ad estendere la rispettiva influenza su aree territoriali più vaste.

Il ceto feudale però nelle suddette parti della penisola non restò indebolito dalle continue lotte con comunità locali piccole e medie; anzi esso svettò robusto e gagliardo e, servendosi degli organismi sociali su cui si basarono le strutture comunali, giunse a modificarle sulla scorta del nuovo potere espressosi nelle Signorie a partire dal ’300.

Sappiamo tuttavia che pure nell’ambito delle comunità medio-piccole la cosiddetta omogeneità fu spesso un pio desiderio. Sorte ben differente ebbero infatti le città umbre rispetto a quelle romagnole e queste rispetto alle marchigiane e ciò avvenne anche, ma non soltanto, per la maggiore consistenza e per l’influenza dell’Umbria e dei suoi agglomerati urbani sul centro politico-amministrativo della Curia romana e quindi per la maggiore possibilità che esse detennero di seguire e controllare la loro situazione politica e le intenzioni dei pontefici nei loro riguardi.

Le città romagnole, forse per la loro posizione decentrata verso Roma e per la difficoltà di raggiungere le strade che direttamente portavano alla città dei papi, e anche per la loro ricorrente rissosità risoltasi spesso in congiure e in lotte intestine combattute tra centri vicini, ebbero difficoltà a emergere e a prevenire mosse pericolose, esercitate dai pontefici nei loro confronti.

Tutto ciò, insomma, consiglia di prescindere dalle generalizzazioni e pur riconoscendo al Comune una coincidenza cronologica e una dislocazione geografica ad ampio spettro, che ci consentono di considerare tale fenomeno come elemento peculiare di una precisa età della storia, diremo che forse il fenomeno stesso non necessariamente e sempre rivoluzionario, come fummo abituati a ritenere, ha costituito un’esperienza significativa e consistente segnatamente nella parte del centro-nord della penisola italiana.

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