22. Il problema storiografico delle Signorie
Tra la fine del ’700 e la prima metà dell’800, si contraddistinsero pertanto lavori che tennero conto di una situazione antica, con l’occhio spesso volto a recenti condizioni. Ludovico Antonio Muratori nei suoi Annali, sensibile all’aspetto culturale del problema, sottolineò il movimento nato con l’Umanesimo e il Rinascimento e tuttavia dette forse eccessivo peso alla perdita delle libertates cittadine, in più casi già tramontate prima dell’avvento delle Signorie.
Più marcato tale giudizio pessimistico fu nel Sismondi che nella Storia delle repubbliche italiane (1807-1814) rimpianse la perdita delle libertà comunali, in un’Italia signorile in cui la condizione dei cittadini venne resa difficile dalla concentrazione del potere nelle mani di pochi governanti.
A sua volta il Guizot evidenziò come passando dal Comune alla Signoria, il destino umano si fece più misero e all’allargamento del cerchio istituzionale fece riscontro una restrizione delle libertà e mancò la sicurezza della vita, prima condizione di uno Stato sociale, mentre tramontò il progresso delle istituzioni.
Di più ampio respiro i giudizi di Carlo Cipolla che nella sua storia estesa fra il 1313 e il 1530, guardò il fenomeno di cui ci occupiamo con maggiore obiettività. Romolo Caggese e Luigi Salvatorelli nella prima metà del nostro secolo compirono opera meritevole e utile per l’ampiezza dei dati e per il quadro d’insieme delineato, tenendo conto soprattutto degli aspetti politico-sociali del problema e del oro risvolto economico. Se pur meno, però anch’essi insistettero molto sulla perdita della libertà e dell’indipendenza italiane.
Qualche riserva può farsi anche in merito alla Voce di Giorgio Falco nel XXVI volume dell’Enciclopédia italiana e alle pagine del de Vergottini nel IV volume del Dizionario di politica. Riserve maggiori suscitano le riflessioni in proposito dettate da Gioacchino Volpe.
In vario modo gli storici del nostro secolo qui nominati risentirono della lettura di un bellissimo ma «pericoloso» lavoro del Burckhardt dedicato nel 1860 alla Civiltà del Rinascimento. Il grande storico svizzero infatti pose felicemente in luce l’apporto delle Signorie italiane alla cultura umanistico-rinascimentale di cui tutto l’Occidente e il mondo civile sono debitori all’Italia, una terra che vide l’impareggiabile fioritura di città e corti, la splendida successione di opere di carattere architettonico, pittorico, scultoreo, di composizioni dovute a poeti e letterati, storici e filosofi che riportarono in auge la cultura della nostra penisola in Europa.
Burckhardt tuttavia ebbe la responsabilità di forzare taluni termini già presenti nella storiografia illuministica, in base ai quali al Rinascimento vennero conferiti meriti artistici, culturali e ideologici, mentre al Medioevo vennero connessi aspetti di chiusura tenebrosa, rozzezza e inciviltà. Così anche se in misura non sempre eguale, Falco e de Vergottini, ma soprattutto il Volpe scorsero nelle Signorie e nel Principato più che l’autunno del Medioevo, il sorgere dell’età moderna.
Tuttavia le opere surricordate contengono osservazioni utili, così come il lavoro sul Rinascimento italiano di Hans Baron, ove le Signorie costituirono un sapiente motivo conduttore.
La storiografia del II dopoguerra ha segnato però in ogni senso una riscossa della medievistica e ha conseguito buoni risultati anche in merito agli studi sul passaggio dal Comune agli Stati regionali e sull’affermazione del potere di questi ultimi nell’Italia centro-settentrionale.
In questo senso, pare emblematico lo studio di Cinzio Violante, La società italiana nel basso Medioevo, in cui si susseguono riflessioni destinate a sgombrare il campo da inutili steccati fra mondo medievale e moderno, quindi fra Comuni e organizzazioni territoriali più ampie, viste per la prima volta al di là di giudizi superati e ininfluenti dal punto di vista storico.
Negli ultimi trent’anni poi si sono approfonditi altri motivi legati alla ricomposizione del territorio, operata dalle Signorie che in Italia ebbero in qualche modo la funzione assunta in altre zone dell’Occidente dagli Stati nazionali.
Così Signoria e Principato non sono stati più veduti come la conclusione autoritaria dell’aristocrazia comunale, ma si è compreso come le nuove istituzioni anticipassero nella penisola vari aspetti della formazione dello stato moderno. Su questi e altri punti si intrattiene una specifica letteratura storica, sviluppatasi negli ultimi anni: ricorderemo Sergio Bertelli che si occupa del Potere oligarchico nello stato-città medievale. Giorgio Chittolini invece affronta La crisi degli ordinamenti comunali e le origini dello stato del Rinascimento.
Del caso Venezia si occupa il Cozzi nella raccolta Stato, società e giustizia nella repubblica di Venezia, mentre Alberto Tenenti prende di mira Firenze dal Comune a Lorenzo il Magnifico.
Importante il lavoro del Varanini Dal Comune allo stato regionale. Stimolante infine il volume curato da Giorgio Chittolini e Dietmar Willaweit, L’organizzazione del territorio in Italia e in Germania, uscito due anni fa, ove si tenta un’analisi comparata dell’organizzazione territoriale nell’Italia centrosettentrionale e meridionale e poi nell’area austriaca e germanica. Per rimanere alle Signorie italiane, ricorderò il contributo di Paolo Cammarosano che studia le regioni dell’arco alpino, quello di Gianmaria Varanini, attento alla marca trevigiana, alla Lombardia e all’Emilia, quello di Andrea Zorzi dedicato alla zona fiorentina, mentre Bruno Figliuolo, Pietro Corrao e Vincenzo d’Alessandro, si insinuano nella geografia amministrativa e nell’organizzazione territoriale del Mezzogiorno tardo medievale e della Sicilia.
Perspicuamente conclude Cinzio Violante affermando che debbono ancora concentrarsi gli sforzi per rendere storicamente comprensibile il fenomeno dell’aggregazione e dell’organizzazione territoriale, in poco tempo svoltesi in tutta Europa, nei più disparati centri con diversi elementi e differenti forme giuridiche.