27. L’espansionismo signorile
La Signoria determinò in Italia l’avvio di numerosi tentativi a carattere espansionistico, volti a semplificare il quadro sociale dell’Italia del ’400 mediante la creazione di soggetti politici di varia dimensione. L’espansionismo anzi fu legato alla vita stessa delle Signorie, come provano gli esempi dianzi menzionati.
Nel Veneto furono protagonisti di tale ambiziosa politica i già ricordati Scaligeri, i quali esercitarono grande influenza, oltre che nel Veneto, in Toscana e in Lombardia. Protettori di artisti e letterati, essi ospitarono, fra l’altro, durante l’esilio Dante Alighieri che, grato, glorificò la loro memoria.
La potenza maggiore della famiglia fu raggiunta tuttavia da Mastino II (1329-1351) il quale dopo la presa di Treviso, conquistò Brescia, Parma e Lucca e pareva volesse diventare «re di Lombardia». Farmato tuttavia da Firenze, da Venezia e dai Visconti di Milano, enne a un accordo con i suoi nemici, stipulando con essi nel 1339 la pace di Venezia, dopo di che il suo dominio si ridusse a Verona e a Vicenza. Nel 1387 poi la stessa Verona passerà nelle mani dei Visconti.
Il crollo degli Scaligeri sgombrò tuttavia il cammino ai Visconti che, nonostante le rivalità interne e le resistenze incontrate nel governo cittadino, ampliarono di mano in mano i loro domini. Personaggio significativo della famiglia fu Luchino Visconti che, in dieci anni, fra il 1339 e il 1449, estese lo Stato milanese in Toscana, i Emilia, in Piemonte e nel Canton Ticino, ove si impossessò di Bellinzona e Locarno.
Morto allorché preparava la conquista di Genova, la città ligure fu resa dai Milanesi nel 1353 ad opera di un successore di Luchino, Giovanni Visconti (1349-1354). Cantato dal Petrarca per le sue doti di politico sagace e avveduto, nonché di protettore delle arti e delle lettere, Giovanni in principio tentò opera di pacificazione, ma questa fu una strategia più sottile di quella usata da Luchino. Così dopo aver preso Bologna dai figli di Taddeo Pepoli per 250.000 fiorini, nel 1351 conquistò Pistoia minacciando l’anno dopo, ma invano, la stessa Firenze.
La morte dell’arcivescovo Visconti costò alla Signoria milanese la perdita di Genova e Bologna. Giangaleazzo nel 1385 uccise lo zio Bernabò, onde rimanere arbitro del potere, e pose però un’ipoteca per una riscossa della fortuna familiare. Legatosi con la corona francese mediante le nozze di sua figlia Valentina con il duca di Orléans, fratello di Carlo VI, fece suo di nuovo il programma dell’arcivescovo Giovanni, per conquistare Padova, Verona, Vicenza e Treviso, per volgersi con determinazione verso la Toscana, ove sottomise Pisa e sconfisse Firenze pur senza domarne la resistenza.
Certo va detto che il programma visconteo era troppo ambizioso, mentre la stabile conquista dei centri fiorentini e toscani era praticamente impossibile.
Fra la fine del ’300 e l’inizio del ’400 infatti, la Toscana centrosettentrionale, in particolare la zona del bacino dell’Arno, aveva raggiunto il massimo dell’urbanizzazione.
Oltre a Firenze, Pisa, Arezzo, Lucca e Prato, molti altri luoghi divennero fiorenti. Nel 1350, nonostante la crisi successiva alla peste, la Toscana aveva un milione di abitanti dislocati in centri più o meno grandi ove sarebbe stato impossibile venire a capo di una resistenza forte e caparbia.
Firenze in particolare chiamò gli Italiani a stringersi intorno a sé in nome della libertà contro il tiranno Giangaleazzo Visconti. Questi proclamò di battersi per garantire pace e benessere agli Italiani. L’atteggiamento visconteo non era privo di mordente e infatti in varie città dell’Italia centrosettentrionale nacquero organizzazioni favorevoli a Giangaleazzo, allorché nel 1402 la morte pose fine alla sua ascesa e a quella di Milano.
Per il ducato seguirono allora anni di anarchia fino a che nel 1412 Filippo Maria Visconti non recuperò le posizioni perdute, riprendendo in un decennio il controllo della Lombardia, di Genova e delle terre svizzere.
Nonostante i propositi di grandezza viscontea, fra il ’300 e il ’400 gli Stati italiani del centro-nord raggiunsero una dimensione di carattere regionale. I Visconti così costituirono un grande ducato ma essenzialmente lombardo.
Importante in proposito la situazione di Firenze che dopo essersi battuta contro i Visconti in nome della libertas contro i tiranni, cominciò essa stessa a effettuare conquiste territoriali che raccolsero gran parte della Toscana, tranne Lucca e Siena che conservarono la loro indipendenza. Le tappe più significative dell’espansione fiorentina furono Arezzo nel 1384, Pisa nel 1406, Cortona nel 1411.
Nel 1421 il capoluogo toscano acquistò Livorno da Genova dietro pagamento di una prima rata di 60.000 fiorini e con l’esborso totale di 100.000 monete. Particolarmente importante si rivelò invero tale conquista di un centro marittimo dopo il continuo impaludamento del porto di Pisa. Tale mossa infatti consentì a Firenze l’accesso al mare.
Così dal 1422 le navi della città del fiore solcarono i mari con rotte verso Oriente e Occidente secondo il modello veneziano.
Venezia incominciò più tardi il suo espansionismo, risultato di una decisiva svolta della sua politica estera. Già a metà ’300 la Serenissima acquistò Treviso e Castelfranco, anche se ciò non la distolse dall’obiettivo principale, ossia la dominazione del Mediterraneo orientale e dei mercati su esso gravitanti.
Tale ambizioso obiettivo pose Venezia in competizione con Genova che assunse il controllo del Tirreno dopo la vittoria riportata su Pisa alla Meloria (1284). Genova poi nel 1298 sconfisse anche i Veneziani presso le isole Curzolari. Nacque di qui una lunga guerra combattuta fra Tirreno e Adriatico da Genova e Venezia.
Nel 1380-1381 le sorti sembrarono volgere a favore dei Genovesi dopo che, sconfitta la repubblica lagunare a Pola, essi entrarono in Chioggia.
In pari tempo Venezia era minacciata da una forte coalizione guidata dai Carraresi di Padova, dal patriarca di Aquileia, dal duca d’Austria e dal re d’Ungheria.
Nel pericolo i Veneziani fecero però appello alle loro forze, bloccarono i nemici di terraferma, investirono Chioggia con la flotta dell’ammiraglio Vettor Pisani. La situazione così si capovolse e i Genovesi furono costretti ad abbandonare l’Adriatico.
Allora nel 1381, per la mediazione di Amedeo VI di Savoia, fu conclusa a Torino una pace che comportò per Venezia la perdita di Trieste e di un tratto di costa dalmata a favore degli Asburgo, ma le consentì di uscire pressoché indenne da una grave situazione.
Venezia comprese pertanto l’importanza di avviare una coerente politica di terraferma. Così fra il 1404 e il 1420 conquistò Treviso, Vicenza, Padova, Verona, Belluno, Feltre, Bassano, il patriarcato di Aquileia, l’Istria e il Friuli.
Nello stesso tempo crebbe in Piemonte la potenza dei conti di Savoia che dai domini del versante francese, traversate le Alpi, si diressero verso la pianura padana, giovandosi della loro posizione di custodi dei passi alpini. La famiglia si rafforzò con Amedeo V (1285-1323), Amedeo VI (1343-1383) e con Amedeo VIII (1383-1391), il quale con un sistema di alleanze si rese determinante per ristabilire la pace fra Genova e Venezia. Nel 1416 l’imperatore Sigismondo lo elesse duca.
Per la loro ascesa ai tempi di Giangaleazzo, i Visconti si basarono su tre magistrature: il Consiglio di giustizia (tribunale d’appello), il Consiglio segreto per attuare la politica estera, la Camera ducale per . la politica finanziaria e tributaria.
Lo Stato dei Visconti fu moderno, essi modificarono gli statuti cittadini, ampliarono e abbellirono città, nel 1361 istituirono l’Università di Pavia e riuscirono a superare la crisi quando Filippo Maria assunse la guida del contado.
Diverso fu il modello organizzativo di Firenze che dominò Pisa, Arezzo, Pistoia e venne incontro alle esigenze economiche dei cittadini, dando maggiore autonomia alle comunità rurali. Tale politica ebbe il gradimento delle popolazioni della campagna ma non ebbe l’appoggio dei ceti urbani che si vedevano privati del controllo del contado. Firenze pertanto ritenne opportuno stabilire un sistema di deroghe che ricondusse gradualmente la giurisdizione dei territori ai centri urbani vicini. In questo modo essa domò il malcontento e ammodernò la sua amministrazione.
Di tipo intermedio fu invece la politica veneziana, più vicina alla politica viscontea che a quella fiorentina. La Serenissima infatti abbandonò l’amministrazione locale nelle mani dei patriziati urbani, ma ridimensionò il loro potere ingerendosi nei consigli municipali e nei contrasti fra città e contado. Nacque così uno Stato omogeneo seppure accentrato e perciò in grado di superare per secoli momenti di difficoltà e di tensione.
Agevolati nella politica amministrativa risultarono infine i Savoia, il cui ducato gravitante prima attorno a Chambery poi intorno a Torino, conobbe un modello fortemente accentrato.