Se fosse un film, a questo punto scorrerebbero i titoli di coda e si accenderebbero le luci in sala e tu saresti in dubbio se aspettare che la mandria di persone sulle scale si sia diradata oppure cercare di farti largo, perché la coda ai bagni sarà lunga e le strade che portano a casa sono piene di sobbalzi e durante il film hai bevuto una Coca gigante, non grande ma extra-grande, quella che fa ridere gli altri paesi e provoca battute sugli americani grassoni. Alla fine aspetti, malgrado la vescica gonfia, perché a volte dopo i titoli di coda c’è una bella sorpresa, come quella scena in cui i supereroi pranzavano tutti insieme dopo avere salvato il pianeta: quella proprio non se l’aspettava nessuno. E poi vorresti sinceramente sapere che fine ha fatto questa gente, vuoi sapere tutto e così rimani, per poco non te la fai addosso ma ti trattieni, e non resti deluso.

Il suo nome completo era Ethan Rhodes Hobbs, e se fosse stato sepolto sarebbe stata questa l’intestazione della sua lapide. Invece è stato cremato, e sua madre è venuta da Minneapolis per riportarne a casa le ceneri. Patty Hobbs, nata Haven, aveva sempre temuto che suo figlio avrebbe fatto una brutta fine, ma non così. Per tutta la durata dei suoi studi scolastici Ethan era passato da un problema all’altro; era sempre stato violento e astioso, e c’era stato quel brutto episodio con quella ragazza, e quell’altro col cane dei vicini; ma lei ne aveva sempre dato la colpa ai suoi amici, dicendo che Ethan era troppo influenzabile, era solo un ragazzo normale che cercava di trovare la sua strada nella vita. Ma quando è stata informata di tutto quello che suo figlio aveva fatto dopo il suo trasferimento a Denver, ha dovuto rivedere il proprio giudizio.

E così Patty ha ritirato le ceneri di suo figlio e quella notte in albergo ha dormito con la modesta urna di ceramica sul comodino accanto al letto. Pensava che sarebbe stato bello passare un’ultima notte con suo figlio, dirgli addio prima di riportarlo a casa e disperdere le sue ceneri al vento, e nessuno sa di preciso cosa sia accaduto quella notte, ma il mattino dopo Patty Hobbs ha pagato il conto dell’albergo, si è fermata al primo fast-food che ha incrociato e ha rovesciato l’intero contenuto dell’urna nel cassonetto dell’immondizia. Lo stesso giorno è ripartita da Denver e ha proseguito a guidare fino al Minnesota con l’urna vuota sul sedile accanto, ma quando è arrivata a casa l’urna era di nuovo piena, forse di sabbia, forse di cenere di sigaretta, forse non ha importanza.

Ed Ethan? Le sue ceneri sono finite in gran parte a trenta chilometri da Denver, nella discarica Tower di Commerce City, insieme ai pannolini sporchi e ai cartoni di latte vuoti e ai giornali ammuffiti, sepolte sotto strati di terra e sabbia e sassi. Ma prima dell’arrivo dei netturbini, un po’ di quelle ceneri sono state catturate dal vento invernale e hanno attraversato vorticando la città, e quei frammenti di Ethan Hobbs sono ancora lì, e danzeranno per sempre nelle strade di Denver, perché il male lo puoi bruciare, lo puoi fare a pezzi e schiacciare e pensare di averlo eliminato, ma non ci riuscirai mai fino in fondo, mai del tutto.

Una cosa che Dean non dice a nessuno, in parte perché se ne vergogna e in parte perché non sa bene come esprimerla a parole: ha avuto la tentazione di lasciare che Ethan Hobbs uccidesse sua moglie. Ci ha pensato nel vedere Sammie a terra ed Ethan chino su di lei e intento a mozzarle le dita: oh, non l’avrebbe abbandonata del tutto, sarebbe tornato in macchina e avrebbe chiamato la polizia e aspettato, ma sa benissimo che al loro arrivo Sammie sarebbe stata già morta. Non è stato che un istante isolato, è passato in un battibaleno, ma lui l’ha pensato, e in seguito, quando Ethan è ormai morto e Sammie si sta riprendendo in ospedale e tutti lo chiamano eroe, dicendo che ha salvato sua moglie, lui si sente un codardo, si sente in colpa, e sa che questa consapevolezza lo accompagnerà per il resto dei suoi giorni. Ma non la rivelerà mai a Sammie, perché la ama, e questa volta non l’ha delusa.

Tre giorni dopo la morte di Ethan la polizia abbatte la porta di Gloria Seever. I due agenti erano venuti a informarla che l’assassino di Chris Weber era stato trovato, ma lei non rispondeva né alla porta né al telefono. E si sente odore di marcio, si dicono i due. Forse Gloria è caduta, forse si è rotta l’anca e non riesce a rialzarsi, e nessuno va a trovarla. Sono cose che succedono. E così sfondano la porta.

Non si aspettavano di trovare la moquette intrisa d’acqua, e c’è qualcosa che galleggia in superficie, come schiuma vischiosa su uno stagno. In seguito il medico legale spiegherà che si trattava di pelle umana, strati sottili di epidermide scorticata dal forte getto della doccia. L’acqua scorre ancora, i due agenti la sentono chiaramente, e quando aprono la porta del bagno uno dei due si ritrae barcollando e rischiando di vomitare la colazione. Non è solo l’odore, anche se in bagno è più forte; è più la vista di Gloria Seever gonfia come un pallone, della sua pelle grigia e tirata, delle piaghe che si sono aperte in certi punti e dei vermi pullulanti che la stanno già divorando. La tenda della doccia è stata strappata dall’asta (Gloria doveva avere perso l’equilibrio ed essere caduta, ipotizzerà in seguito il medico legale, quando le pillole avevano cominciato a fare effetto) e il corpo giace metà fuori dalla vasca, rigido e gonfio come un legno saturo d’acqua, ma la cosa peggiore, il peggio del peggio è la sua bocca spalancata, le labbra crepate al punto da non sembrare più labbra bensì fauci senza fondo, fameliche e implacabili e rabbiose.

Saranno costretti a basarsi sulla sua dentatura per identificarla, perché il resto di lei è così gonfio e deforme che è impossibile riconoscervi Gloria Seever. Non sembra neanche più umana, somiglia più a un mostro. E forse, probabilmente, in questo Gloria avrebbe trovato conforto.

Ethan Hobbs era entrato in possesso di trentun quadri di Jacky Seever, e aveva trasformato la sala da pranzo dei Wachowski nella sua personale galleria d’arte. Era stato lui a entrare in casa di Gloria Seever e rubare le tele, e se la polizia avesse preso sul serio la denuncia di Gloria e avesse indagato, forse avrebbe potuto arrestare Ethan Hobbs prima ancora che cominciasse a uccidere; ma questa è la vita, ci sono strade che imbocchi e altre che ignori, non c’è niente da fare.

Erano tutti dipinti dei pagliacci che Seever amava tanto, ritratti mentre se la spassavano sorridendo e gonfiando palloncini a forma di animali, e paesaggi, e un cielo notturno. Innocenti e privi di valore. Le immagini di violenza erano state tutte vendute dalla galleria o sequestrate dalle autorità, e Gloria aveva nascosto il ritratto di Sammie, e forse era stata una fortuna, perché se Ethan lo avesse visto fin dall’inizio, se si fosse reso conto di quello che Seever aveva in mente per lei, forse Sammie sarebbe stata la sua prima vittima e non l’ultima.

Questa, quanto meno, è la teoria di Loren e Hoskins.

Ha perso il mignolo e l’anulare della mano sinistra. Il più delle volte non vi bada nemmeno, se non quando sorprende qualcuno a fissarle la mano mutilata, chiedendosi cosa ci sia dietro, e la nasconde dietro la schiena. Altre volte le dita, pur non essendoci più, le fanno ancora male. Dolore fantasma, lo chiamano i medici, e Sammie è stufa di essere perseguitata da cose che in realtà non esistono.

Corbin dice che dovrebbe scrivere il libro. E gli articoli. Tutto quanto, non appena sarà in grado di farlo. Non ha più concorrenza, perché Weber è morto, e a parte questo la storia dell’anno è la sua. È stata l’amante di Seever, ha scritto del suo arresto e l’ha scampata. È una sopravvissuta.

Ma le parole sembrano essersi esaurite.

Dean è tornato in ufficio ma lei resta a casa, guarda molta televisione, sonnecchia di continuo. Dean ha portato il tavolo della cucina in garage e lo sta levigando nel tempo libero. Poi lo rifinirà e metterà un nuovo rivestimento sulle sedie. Le cose belle hanno bisogno di tempo, le dice guardandola. Gli sono spuntati i primi capelli grigi sulle tempie.

Sei mesi dopo la morte di Ethan, Sammie torna a sedersi al computer. Scrive lentamente una parola, picchiettando con l’indice sulla tastiera. Seever. Tutta questa vicenda riguarda lui, ha avuto inizio ed è finita con lui, e forse è arrivato il momento di succhiare via il veleno dalla ferita e sbarazzarsi di lui una volta per tutte. Scrivere di Seever e di Ethan fino a espellerli da sé. Sarà un lavoro lento, ma è la vita, giusto? Ci si infila i pantaloni una gamba per volta, si vive un respiro per volta.

E Sammie si rimetterà una parola per volta.

E quelle dita?, ti chiederai. Tra Seever ed Ethan e tutta la morte che hanno seminato, è una bella quantità di dita mozzate. Dove sono finite? Questo, sfortunatamente, rimarrà per sempre un mistero, visto che gli unici due a conoscere la verità non sembrano intenzionati a parlare.

Glen e Ruby Wachowski vengono trovati nello scantinato di casa loro, accanto alla caldaia. Alcune altre tracce indicano che Ethan aveva imprigionato in cantina anche alcune delle altre vittime, l’Abeyta, la Brody e Jimmy Galen; aveva trasformato quel luogo nella sua personale camera di tortura, dove poter fare quello che voleva senza interruzioni.

E in cantina Ethan aveva anche cominciato a dipingere. Aveva montato un cavalletto e comprato degli acquerelli. Ci sono decine di dipinti, ma sono molto diversi da quelli di Seever. Sono rozzi, malfatti. I soggetti sono quasi sempre case, quadrati marroni con volute di fumo che si levano dai comignoli, grandi nubi paffute nel cielo e in un angolo un sole giallo sorridente.

Sono come l’opera di un bambino.

Frank Cho, il proprietario della dépendance in cui era stata assassinata Carrie Simms, l’ha fatta abbattere poco dopo la sua morte. Ha pensato che lasciarla in piedi sarebbe stato come sfidare la fortuna, e probabilmente aveva ragione. Mezz’ora prima della demolizione Cho ha attraversato il cottage per l’ultima volta, facendo attenzione a evitare le macchie di sangue sul pavimento, e si è fermato a leggere le parole ancora tracciate sulla parete della camera da letto.

Non finirà mai.

La frase non significava nulla per lui, anche se gli investigatori vi avevano prestato grande attenzione, e Cho li aveva sentiti discutere a lungo di come fosse finita su quel muro, finché non avevano lasciato perdere. Nessuno di loro aveva capito che in realtà era stata la stessa Carrie a scriverla sopra il suo letto poco dopo il suo arrivo in quella casa. Seever aveva pronunciato quelle parole nel suo garage, anche se lei non se ne rammentava; ma una parte della sua mente doveva ricordare, perché le parole avevano continuato a echeggiare nei suoi sogni, facendola impazzire finché si era decisa a sradicarle dalla sua testa e scriverle sul muro. E ogni volta che le rileggeva provava un’inquietante sensazione di aspettativa, quasi fosse in attesa di qualcosa di cui ignorava la natura.

Ethan le aveva lette solo dopo averla stordita, quando le si era seduto sul petto, ascoltando i suoi rantoli e aspettando che riprendesse conoscenza. Si era chiesto cosa significassero, ma poi se n’era dimenticato. Aveva altre cose a cui pensare.

E così la casetta è stata demolita e le macerie asportate e Frank Cho ha venduto l’intera proprietà a un prezzo molto inferiore al suo valore, spinto dal pressante bisogno di tagliare i ponti e dal desiderio di trasferirsi più vicino ai suoi cari. In particolare a sua nipote, una graziosa bimba di nove anni che lo chiamava Pop-Pop, e di qui a un anno, quando lei scomparirà nel nulla mentre torna a casa da scuola, Frank ascolterà le urla di tormento di sua figlia, guarderà le proprie mani tremanti e ripenserà a quelle parole sul muro, dicendosi che è vero, non finirà mai, non c’è mai fine alla sofferenza.

Ma forse è meglio conservare questa storia per un’altra occasione.

Il detective Ralph Loren smette finalmente di vestirsi come Seever. Ripone i completi tre pezzi e gli occhiali sfumati, getta via il gel per capelli. Torna a quella che per lui è la vita normale, che in realtà è tutt’altro che normale, e per la prima volta Hoskins gliene è grato.

Un pomeriggio primaverile Hoskins si reca all’Istituto Correzionale di Sterling. Seever è ricoverato nel reparto ospedaliero e costretto a letto: ha avuto un attacco di cuore poco dopo aver saputo di Gloria e di Secondamano, dei suoi delitti che non avevano niente a che vedere con lui ma che erano legati a lui a filo doppio, e non si è mai più ripreso. Manca ancora circa un anno alla sua esecuzione, sempre che non venga rinviata grazie a qualche cavillo legale, ma Hoskins ha la sensazione che Seever non ci arriverà. Sta per andarsene, un battito dopo l’altro il suo cuore si sta avvicinando all’addio. Nel letto d’ospedale somiglia più a una delle sue vittime dissotterrate che al Seever di un tempo.

«Ehi, ciccione di merda» lo saluta Hoskins, e Seever ruota la testa sul cuscino verso di lui, ma nei suoi occhi non c’è alcuna scintilla di riconoscimento, alcun bagliore di risposta. L’uomo nel letto non è Seever: ne è un pallido fantasma che ha distribuito in giro parti di sé, a Hoskins e Loren, a Ethan e Sammie, minuscole schegge che si sono conficcate nei loro cuori come chiodi arrugginiti e non vogliono staccarsi, e quello che è rimasto non basta a formare un uomo intero. Non più. «È finita. Sono venuto a dirti addio. Non perderò più il mio tempo pensando a te.»

Seever muove la labbra, sta cercando di dire qualcosa o forse sta solo delirando, ma Hoskins non si trattiene ad ascoltarlo, perché non è più interessato. Ha dedicato troppo tempo, in questi ultimi anni, ai danni che Seever ha causato alla sua vita.

Lascia il carcere e si rimette in viaggio verso Denver. Deve andare a visitare suo padre, ma Joe si sta adattando bene alla casa di riposo, era un bel po’ che non stava così bene, è felice. Hoskins passerà a salutarlo, poi tornerà a casa, metterà i piedi sul tavolino e guarderà qualcosa alla televisione. Farà un sonnellino, uscirà a bere con Ted, lavorerà un po’. Vorrebbe poter dimenticare Seever, dimenticare Sammie sul pavimento di quella casa, il suo sguardo vacuo mentre Dean gridava ed Ethan Hobbs giaceva su un fianco con un rivolo di sangue che gli colava da una narice. Vorrebbe poter dimenticare tutto, ma si accontenterebbe anche se i ricordi si sfocassero e si attenuassero come una fotografia lasciata fuori al sole. Sarebbe già abbastanza.