Sammie

Qui è dove viveva Jacky Seever, il punto in cui sorgeva casa sua. La casa che condivideva con la moglie, con uno studio accanto alla sala da pranzo dove teneva i libri mastri dei suoi ristoranti e un computer: lo stesso computer su cui la polizia aveva trovato ore e ore di pornografia, anche del genere in cui le donne venivano legate e torturate fino a morire, ma in effetti non era possibile sapere se morissero davvero, probabilmente era tutto solo una messinscena. Oppure no. Qui è dove Seever cenava, costruiva modellini d’auto nel tempo libero, e qui è dove aveva ucciso più di trenta persone.

Ma ormai non resta più nulla, ogni singolo mattone è stato abbattuto e asportato, per essere usato con discrezione da qualche altra parte oppure eliminato. È stato fatto per tenere lontani i curiosi, i pervertiti in cerca di souvenir, di qualcosa di Jacky Seever da portarsi a casa. Sammie non capisce come faccia certa gente a esporre il ricordo di un assassino in casa propria. Lo trova sgradevole. Di cattivo gusto. Lei impazzirebbe, sapendo di avere un pezzetto di Seever sempre con sé, qualcosa che la costringa a pensare a lui e a quello che ha fatto. Già lo ricorda a sufficienza, non è vero? Ogni giorno, costantemente, non riuscirà mai a dimenticarlo fino al giorno della sua morte.

Com’era, scopare con lui?

Sammie si sente ancora addosso il tanfo di vomito.

Non sa bene perché è venuta qui dopo avere riaccompagnato Hoskins alla sua macchina, fermandosi sotto un lampione solitario di fronte al lotto deserto in questo quartiere tranquillo: forse perché è qui che è cominciato tutto. In realtà, se proprio bisogna essere precisi, non è qui che ha avuto inizio la storia di Seever: il suo vero principio è probabilmente altrove, anni e anni prima, nel profondo della sua infanzia, chi lo sa. Ma per lei questo è un ragionevole punto di partenza.

Carrie Simms. Per Seever non era stata l’inizio bensì la fine, quella che ne aveva finalmente causato la cattura. Se non fosse riuscita a fuggire, se fosse morta in quel garage e fosse stata sepolta sotto quel vespaio insieme a tutte le altre vittime, forse Seever sarebbe ancora a piede libero. E adesso Carrie Simms è morta. Uccisa a casa propria, sette anni dopo. Loren ha preso a vestirsi come Seever. Hoskins è silenzioso, chiuso in sé, diverso da quello che lei conosceva. E Jacky Seever è in prigione. C’è sotto qualcosa, ma Sammie non sa ancora cosa: è come se brancolasse nel buio senza sapere quello che sta cercando.

Fa uno strano effetto, questo terreno vuoto nel bel mezzo di un isolato di villette, anche se l’associazione dei proprietari di casa è diligente nell’impedire che l’erba cresca troppo e tiene il marciapiede sgombro quando nevica. Sammie si chiede quanto tempo impiegheranno a metterci un campo giochi. Qualche panchina, un’ampia sabbiera, una bella fontana. Forse succederà, forse no. Forse questo posto è troppo maledetto perché lo si possa salvare. Lei non ci veniva da un bel pezzo, fin da prima che la casa venisse demolita, quando stavano ancora dissotterrando corpi da sotto il vespaio. È quasi mezz’ora che è parcheggiata davanti al terreno e ha visto passare solo due persone, una coppia che fa un’ultima passeggiata notturna con il cane. Quando la scorgono, i due la guardano male. Sammie muove la mano in un saluto e prova a sorridere, ma la donna fa una smorfia e allontana il cane con uno strattone e l’uomo le mostra il dito medio. Poco male. Probabilmente da questa strada passano fin troppi sconosciuti, stronzi morbosi in cerca di brividi. Sammie non si offende, ma avvia l’auto e riparte, perché ha visto che l’uomo sta parlando al cellulare, e la guarda gesticolando agitato.

Deve vomitare di nuovo, sbarazzarsi degli ultimi resti di hamburger che le sono rimasti nello stomaco. Invece entra nel suo minuscolo studio, perché l’unico bagno di casa si trova tra le due camere da letto e Dean è probabilmente ancora sveglio, in attesa, e si pianterebbe davanti al bagno, accostando un orecchio alla porta e dilatando le narici per fiutare l’odore della colpa.

Non può farlo in cucina, anche se il lavello potrebbe andar bene in mancanza di alternative, perché Dean se ne accorgerebbe, lo scoprirebbe per quanto lei possa sciacquare e spruzzare candeggina, e tornerebbe tutto come prima, quando lei lo faceva ogni giorno, e ci sarebbero domande o discussioni, e stasera Sammie non ne ha voglia. E così si siede nello studio e manda giù la bile che le è montata in gola. È uno spazio angusto, più un angolo che una vera e propria stanza, sufficiente a ospitare una piccola scrivania, una sedia e uno scaffale strapieno di libri.

Le veneziane sono ancora aperte, e seduta al buio Sammie vede perfettamente la cucina dei vicini. È una coppia senza figli. Non devono avere molti soldi perché ci sono neanche le tende alle finestre. Magari l’idea di essere osservati non li infastidisce. In questo momento sono entrambi in cucina, davanti all’ampia isola piastrellata al centro della stanza, e Sammie non capisce se stiano parlando oppure semplicemente condividendo in silenzio un momento privato senza rendersi conto di avere un pubblico. Li ha già visti prima, passa molto tempo a osservarli malgrado loro non facciano nulla di particolarmente interessante. Ma sembrano due persone piacevoli. Normali. Amano toccarsi, si tengono per mano quando sono uno accanto all’altra, si scambiano colpetti affettuosi sulle cosce quando si siedono a cenare. Guardandoli Sammie si sente tornare bambina, quando giocava con la casa di bambola che le avevano regalato a Natale e faceva compiere alle figure i gesti quotidiani di un’esistenza senza drammi. La madre che cucinava la cena e sistemava i mobili. Il padre che tagliava l’erba del prato e portava fuori la spazzatura. Una vita banale e noiosa, ma in qualche modo confortante.

Sammie accende il computer e apre un documento nuovo. Il cursore lampeggia sulla pagina bianca, in attesa.

Comincia a scrivere: Jacky Seever ha trascorso questi ultimi sette anni in prigione, ma la città di Denver è ancora tormentata dai suoi crimini. L’1 dicembre 2015 Carrie Simms, l’unica vittima di Seever che fosse riuscita a sopravvivere, è stata trovata nella sua abitazione, brutalmente assassinata…

È un buon pezzo, si dice alla fine. Sbigativo, ma buono.

Lo invia a Corbin per email e attende. Ogni tanto ricarica la pagina della posta in arrivo, anche se non è necessario. Corbin a quanto pare non dorme mai, ed è sempre lesto a rispondere. E in quest’ultimo anno non è cambiato: quattro minuti dopo il suo invio, Sammie ha già una risposta.

Bene, dice l’email, molto bene. Farò in modo di pubblicarlo sul giornale di domani. Cos’altro hai?

E poi l’ultima riga, che le fa balzare il cuore in gola:

Bentornata.

Sammie e Dean sono una coppia a cui piacciono i giochi. Non quelli sessuali: dopo anni di matrimonio hanno quasi del tutto abbandonato di quel genere di svago. E neppure i giochi da tavolo o le carte. A volte si tratta di giochi psicologici, ma sarebbe fin troppo prevedibile, specialmente con due come loro.

In realtà il loro gioco è uno solo, e non lo fanno più tanto spesso, perché invecchiando sono sempre più stanchi e gli ultimi minuti prima di dormire si riducono spesso a un susseguirsi di gesti automatici come lavarsi la faccia e spazzolarsi i denti. Ma una volta lo facevano ogni sera, dopo che le porte erano state chiuse a chiave, le luci spente e la casa era sprofondata in un silenzio rotto soltanto dagli occasionali mormorii della caldaia. È sempre più facile fare questo gioco di notte, quando entrambi non sono altro che due voci incorporee che si fanno strada nel buio. Nel buio non sono costretti a vedersi.

È un gioco di domande e risposte, di infinite possibilità. A volte sono domande ipotetiche, altre volte no. Lo fanno fin da prima di sposarsi, provocandosi e ridendo, sferrandosi affondi con le dita e strappandosi a vicenda le lenzuola per farsi venire la pelle d’oca. Ma a volte il gioco si fa serio, ed entrambi ne escono turbati o furiosi, e la camera da letto sembra diventare troppo calda, anche con la ventola a soffitto che non smette di girare sopra di loro.

«Sei ancora innamorata di me?» chiede Dean. Sammie è andata a letto un’ora fa, dopo l’arrivo dell’email di Corbin. Si è infilata sotto le lenzuola credendo che Dean dormisse, ma ora può sentire il battito delle sue palpebre, su e giù, il suono leggermente viscoso che producono aprendosi e chiudendosi.

«Cosa?» domanda girandosi e strappandosi via la coperta che le si è attorcigliata sotto il braccio.

«Sei ancora innamorata di me?»

«Perché me lo chiedi?»

«Perché voglio saperlo.»

«Sono sposata con te, giusto?»

«E questo che significa? Non tutte le persone sposate sono innamorate.»

«Se non ti amassi, ti lascerei. Mi troverei un altro.»

«Davvero?» chiede lui divertito. Sammie vorrebbe tanto vederlo in faccia, anche solo per un momento. «Mi sa che questo l’hai già fatto una volta.»

Il problema è Hoskins, si rende conto Sammie. In qualche modo Dean sa che ha passato la serata con lui. Vorrebbe potergli dire la verità, potergli dire tutto, ma lui perderebbe il controllo, e a quel punto sarebbero guai. Perché lei ama Dean, qualsiasi cosa lui creda. Si era innamorata di lui perché era un uomo sobrio e risoluto e sembrava avere sempre tutto sotto controllo, a differenza di quasi tutti quelli che aveva frequentato al college, che parevano più interessati a stonarsi, occuparsi delle loro automobili e scopare il più possibile. Dean aveva un suo programma fin da allora: voleva mettere su famiglia, comprare casa e trovare un buon lavoro. Voleva diventare adulto. Anche Sammie desiderava tutto ciò, ma era stato solo dopo essersi sposata che si era resa conto che essere adulti non era poi così divertente, che risparmiare significava non spendere, che fare programmi non voleva necessariamente dire che si sarebbero realizzati. Sa cosa pensa Dean: pensa di averla delusa, che se lei è infelice è colpa sua. Non è vero, quanto meno non del tutto, ma lui non le crede.

«Che tu ci creda o no, non sei il centro del mio universo» gli aveva detto Sammie un giorno quando lui le aveva rinfacciato la sua insoddisfazione, tutto perché lei aveva commesso l’errore di lamentare l’assenza dei canali premium più costosi nel loro abbonamento tivù. Dean l’aveva accusata di essere sempre scontenta, delusa che lui non guadagnasse di più, che non avesse un impiego migliore, ma lei sospettava che in realtà quello insoddisfatto fosse lui, arrabbiato con se stesso per tutto ciò che non era riuscito a realizzare.

«Forse rimpiangi di non avere sposato un altro» le aveva detto. «Uno migliore di me.»

Ci aveva pensato, a come sarebbe stato essere sposata con qualcun altro. Ma d’altra parte, chi non è mai stato sfiorato dall’idea? E comunque, sarebbe stato poi tanto meglio avere un marito diverso, o magari scegliere di rimanere da sola? Alla fine la risposta era sempre no, ma non era mai riuscita a convincere Dean del fatto che era lui, la scelta giusta, e Sammie è ormai stanca di cercare di farglielo capire. “Ho scelto te” vorrebbe dire, ma non lo fa. “Avrei potuto lasciarti in qualsiasi momento, potrei essere con Hoskins, invece sono con te.”

Oh, il loro rapporto non è perfetto, ma Dean (insieme a Hoskins) è l’unico che non l’abbia mai trattata soltanto come un bel pezzo di figa. L’ha sempre ascoltata e incoraggiata, si è sempre sforzato di esserci, e lei vorrebbe tanto poter essere sincera, ma lo vede troppo impaurito. Troppo insicuro.

«Ho ripreso a scrivere» dice. «Corbin mi ha chiamata per quelle due donne che sono appena state uccise. Pensano ci sia un collegamento con Seever.»

«Hai ripreso a scrivere.» Dean muove i piedi sotto le lenzuola, allontanandoli dai suoi e spezzando il contatto. «Di Seever.»

«Sì.»

«Pensi che sia una buona idea?»

«Perché no? È l’occasione che aspettavo.» Ma Sammie ha capito cosa le sta chiedendo. Vuole sapere se rivedrà Hoskins, se tornerà a letto con lui. Non è sicuro di lei, e forse, dopo quello che gli ha fatto, lo si può capire.

«Se lo dici tu.»

«Hai mai fatto del male a qualcuno?» chiede Sammie, facendo uscire le parole nel buio perché deve dire qualcosa e questa è la prima cosa che le è venuta in mente.

«Fisicamente?» chiede Dean, sorpreso. «Sì, suppongo di sì.»

«Come è successo?»

«In terza elementare diedi uno spintone a un bambino e lo mandai a sbattere contro il muro, facendogli sanguinare il naso.»

«No, più di recente.»

«Di recente? No.»

Sammie allunga un piede finché le loro dita si toccano, poi lo ritrae.

«Saresti capace di uccidere?»

Il lungo silenzio che segue le fa pensare che Dean si sia riaddormentato.

«Sì» dice lui finalmente. «Lo farei, se dovessi.»

«In che senso?»

«Per legittima difesa, ad esempio. Se qualcuno ci penetrasse in casa e cercasse di aggredirci, avrei il diritto di difendermi.»

«Molto politicamente corretto.»

«E lo farei per te.»

«Come?»

«Ucciderei, se tu mi chiedessi di farlo. A volte penso che sarebbe l’unico modo di ottenere le tue attenzioni. Cominciare ad assassinare la gente per darti una storia da seguire.»

Sammie non dice niente, ma le parole di lui le fanno scattare un vago allarme interno, le richiamano alla mente qualcos’altro, anche se non sa bene cosa. Hanno pronunciato strane parole al riparo del buio, rivelando aspetti di loro stessi che in qualsiasi altra situazione avrebbero negato. Una parte di Sammie vorrebbe approfondire, fargli altre domande, ma invece fa girare suo marito su un fianco, e gli si incolla da tergo finché i loro corpi sono perfettamente allineati, appoggiando la fronte sul punto in cui il collo di lui si distende nella schiena, e si addormentano così, come un solo corpo sotto le lenzuola.