Sammie

La telefonata arriva di martedì, ma lei non risponde, lascia scattare la segreteria. Porta il cellulare infilato nel reggipetto, con lo schermo a contatto con il lato del seno, e lo sente vibrare al momento della chiamata. Passerà un’ora prima che possa controllarlo, perché durante l’orario di lavoro non può farlo. C’è gente che è stata licenziata anche per meno, e Sammie ha bisogno di lavorare.

Ecco cosa succede quando i giornali diventano obsoleti, quando il tuo direttore parla di fluttuazioni economiche e spiega che non possono più permettersi di trattenerti ma tu hai comunque dei conti da pagare (il mutuo sulla casa e le rate della macchina e la spesa al supermercato, sei una donna adulta, sono cose che fanno parte del pacchetto), e non importa che tu abbia una laurea, un master addirittura, perché non sei padrona di un bel niente, men che meno del tuo destino, e non riesci a trovare un lavoro nel tuo settore che possa farti guadagnare bene.

E così prendi quello che passa il convento.

Sono quasi otto mesi che Dan Corbin l’ha licenziata, e per tre mesi Sammie è rimasta disoccupata, novanta giorni senza sapere cosa fare se non starsene seduta dodici ore al giorno al computer e inviare il proprio curriculum a mille indirizzi e compilare un milione di richieste, e alla fine è finita qui, in un negozio di un grande, lussuoso centro commerciale nella zona sud di Denver, non grazie alla sua istruzione o alla sua carriera ma per il suo aspetto. Questo almeno è ciò che lei pensa, poiché non sa nulla di cosmetica o di vendita al dettaglio. «Imparerai presto» le ha detto la direttrice nell’assumerla. «Mostrati sicura di te. Devi ispirare fiducia.»

È vero, Sammie ha imparato, e quello che non sa finge di saperlo, e la clientela sembra apprezzare, anche se sarebbe tutto più facile se fosse un gay o una straniera, visto che questa sembra essere la legge del mondo della cosmetica: i gay e le donne dell’Europa dell’Est sanno tutto. Ma va bene così. Non è come scrivere, non è eccitante e ci sono volte, mentre sta applicando l’eyeliner a una cliente o le sta mostrando ogni possibile sfumatura di rossetto sul dorso della mano, pregando che compri qualcosa, qualsiasi cosa, che si dice: questa è la mia vita. Questo è ciò che sono, e che sarò, per l’eternità. Diventerò vecchia e brutta e rugosa, e mi ritroverò ancora qui a dimostrare come far risaltare gli zigomi e tingersi le sopracciglia.

Sammie sta assumendo antidepressivi.

Durante la pausa pranzo va a sedersi nella zona ristoro del centro commerciale, a un tavolo vicino al centro della sala, dove può guardarsi intorno. È mezzogiorno, mancano ventiquattro giorni a Natale e le orde festive sono affamate. Se vuoi giudicare una persona, pensa Sammie, osserva come spende i suoi soldi. Ti dirà tutto quello che vuoi sapere.

«Oggi non mangi?»

Si sta infilando la mano sotto la camicetta per ripescare il telefono, ma si ferma e sorride al giovane in piedi accanto a lei. Si chiama Ethan; Sammie non ne conosce il cognome, non sa molto di lui se non che lavora in uno dei ristoranti, una gastronomia che serve panini, caffè e biscotti freschi. Ethan sta con una delle colleghe di Sammie: Kelly, fianchi larghi e bocca mai ferma, il genere di ragazza convinta che il mondo le debba qualcosa, il genere di ragazza che fa gaffe di continuo e non se ne rende neanche conto, continuando a blaterare. Lui passa spesso a trovarla in negozio, le porta da bere e da mangiare. Un ragazzo gentile. Ha finito il liceo da qualche anno, e sta cercando di capire cosa vuole fare nella vita. Ha riconosciuto Sammie perché ricordava la foto che il «Post» pubblicava sempre accanto ai suoi articoli, e Sammie è rimasta lusingata dal fatto che fosse così emozionato nel conoscerla; lui le ha detto che ha sempre desiderato scrivere, che vorrebbe proseguire gli studi e laurearsi in giornalismo. La tempesta di domande sulla redazione, sulla cronaca nera, sugli articoli che ha scritto. È come un bambino, sempre voglioso di saperne di più. E lei gli ha detto una quantità di cose, forse più del dovuto, perché nessun altro le ha mai chiesto di parlare del suo passato al «Post», tutti vogliono che viva nel presente e guardi al futuro. “Voltare pagina.” Ethan, invece, l’ascolta ammirato e non si accontenta mai.

«Oggi no.»

«Se vuoi posso prenderti un panino. Nessun disturbo.»

«Nah, lascia stare.»

Poche settimane fa le ha chiesto di uscire, ma poi si è rimangiato la proposta prima che lei potesse dire una sola parola. Non chiedeva una serata romantica, perché stava già con Kelly. Voleva solo parlare di scrittura, chiederle come farla diventare una carriera. Forse avrebbe frequentato un paio di corsi serali all’università pubblica. Non era mai riuscito ad avere successo in niente, se non nel preparare un gran panino al pastrami, e questo non sarebbe certo bastato a inorgoglire sua madre.

«Sono un fallito» le aveva già detto una volta. «Non ne combino mai una giusta.»

«Non è vero.»

«Sì che è vero. A volte penso che tu sia l’unica amica che ho.»

«C’è Kelly.»

«E tu hai tuo marito» aveva riso. Ethan non rideva spesso, e quando lo faceva Sammie lo trovava attraente. Avesse avuto dieci anni di meno e non fosse stata sposata ci sarebbe andata a letto, Kelly o non Kelly. O forse proprio per ripicca verso Kelly. «Ed eccoci qui.»

Il cellulare ha ripreso a vibrare.

«Scusami, devo vedere chi è» dice Sammie, tornando a infilare la mano sotto la camicetta. Ethan si allontana di qualche passo e poi si ferma. In attesa, come se intendesse riprendere la conversazione alla fine della telefonata. Probabilmente è Dean che la chiama per vedere come sta e come va la sua giornata, ma non è suo marito, anche se la chiamata proviene dal prefisso 303. È il «Denver Post». È Dan Corbin, il suo ex direttore.

«Sammie, grazie a Dio hai risposto.»

«Come?» Sammie non pensava di risentirlo mai più; gli aveva inviato diverse email per dirgli che se il budget fosse mai migliorato lei sarebbe stata interessata a tornare al giornale, ma lui non le aveva mai risposto. C’è un che di particolarmente glaciale nell’essere ignorata via email.

«Sono Corbin» riprende lui lentamente, e Sammie si rende conto che ha capito male, che pensa che lei non l’abbia sentito. «Del “Post”.»

«Sì, lo so.»

«Okay.» Una pausa. Qualsiasi essere umano normale le chiederebbe come sta, come ha passato la festa del Ringraziamento. Ma Corbin funziona in modo diverso. È una delle persone più intelligenti che Sammie abbia mai conosciuto, ma le sue capacità relazionali hanno sempre fatto schifo. «Ascolta, si sta avvicinando il settimo anniversario dell’arresto di Seever.»

Fa una pausa a effetto. Gli è sempre piaciuto fare un po’ di teatro, ma stavolta è giustificato. Questa è la telefonata che Sammie aspettava; erano più di sei mesi che si chiedeva quando Corbin avrebbe preso quel cavolo di telefono e l’avrebbe chiamata, e finalmente l’ha fatto.

«Okay.»

«E anche la data della sua esecuzione. Quanto manca, un anno?»

«Tredici mesi, mi sembra.» Ma quella di Sammie non è una congettura. Sa perfettamente quando Seever verrà giustiziato: il 13 gennaio 2017. Venerdì tredici.

«Be’, con tutte queste ricorrenze c’è un ritorno di interesse per Seever.»

«Okay.» Annuisce e sorride, perché ha imparato ormai da tempo che la gente può avvertire il sorriso nella tua voce: uno dei suoi capi le aveva addirittura montato uno specchietto sul lato del computer perché potesse vedersi mentre parlava al telefono. Ha ancora il sorriso sulle labbra, ma vorrebbe tanto che Corbin la finisse di tergiversare e le chiedesse di tornare. Di ridare vita alla sua carriera con colui che l’aveva lanciata: Jacky Seever.

«Quando tu scrivevi di Seever avevamo più abbonati di sempre, e penso che riportare a galla i suoi delitti con una nuova serie di articoli potrebbe essere una buona idea. Potrebbe aiutarci a generare affari, a riportarci ai livelli di un tempo.»

È troppo bello per essere vero.

«Mi sembra un’idea fantastica» dice Sammie. «Ho ancora tutti i vecchi file e tutte le foto. Sarei felice di tornare.»

C’è un istante di silenzio, tanto che Sammie teme che possa essere caduta la linea, ma poi Corbin emette una specie di risata rauca, simile al latrato di un cane.

«Mi sa che non ci siamo capiti, Sam. Non ti sto chiedendo di tornare al “Post”. Mi sembrava di avere capito che avessi smesso di scrivere. Sam, sei ancora lì?»

«Sì, sono qui» risponde lei, ed è incredibile quanto il suo tono sembri normale, come se non ci fosse alcun problema, ma Ethan la sta guardando preoccupato. Devo avere una gran brutta faccia, pensa distrattamente. Come se avessi ricevuto una pessima notizia. Come se mi avessero appena detto che qualcuno ha dato fuoco a casa mia e ha ammazzato il mio cane. Gesù. Ruota sullo sgabello verso i ragazzi della pizzeria che fanno vorticare le basi di pasta e affettano le pizze pronte. «Allora perché mi hai chiamata?»

«Volevo vedere se ti andava di dare una mano a Weber» dice Corbin. «Di aggiornarlo su Seever, passargli le tue fonti o metterlo sulla strada giusta.»

«Weber?» ripete Sammie. «Hai affidato l’incarico a Chris Weber?»

«Sì. Te lo ricordi?»

«Certo che me lo ricordo» dice scuotendo la testa. Chris Weber era un coglione totale. Un cretino cresciuto convinto che la sua merda non puzzasse. Era grande e grosso ma non grasso, gli piaceva vestirsi con camicie button-down con le maniche arrotolate fin sotto i gomiti. Era il classico tipo perfetto per la cronaca nera, e Sammie l’aveva detestato fin dal primo momento. «È un deficiente.»

«Sta lavorando bene, Sam.»

«A me non sembra.»

«Leggi ancora il “Post”?»

«Ogni tanto.» Oh, le bugie. Sammie si fa ancora consegnare a casa il giornale, lo divora ogni mattina subito dopo essere scesa dal letto ed essersi preparata il caffè, dalla prima all’ultima pagina, ogni singola parola. A Dean non piace che lo faccia, dice che è come una neonata che si attacca al ciuccio, e forse è vero, ma lei lo manda a quel paese e lo fa ugualmente. A volte legge il giornale e poi si siede al computer e apre le versioni online dei suoi vecchi articoli, anche se stanno diventando sempre più difficili da trovare, sepolti nelle montagne di spazzatura della rete, e li legge lentamente, tanto che ormai ha memorizzato quasi ogni singola parola che abbia mai scritto. La sua foto, il costoso ritratto che si era fatta fare da un professionista e che aiutava i lettori a ricordare la sua faccia, è scomparso, ma il suo nome è ancora lì, e lo sarà sempre: quello, se non altro, non possono sottrarglielo.

«Il suo primo pezzo importante esce domani in prima pagina. Dacci un’occhiata quando puoi. È buono. Weber è un giornalista coi fiocchi, ti chiedo solo di dargli una mano. Cazzo, Sam, fammi ’sto piacere.»

«Di cosa parla il pezzo?»

«Non posso dirtelo, lo sai.»

«Smettila di fare lo stronzo, Corbin. L’articolo esce domani, non resterà a lungo un segreto.»

«Hai saputo di quelle due donne ripescate qualche settimana fa nel bacino idrico di Chatfield?»

«Sì.» La notizia aveva suscitato un improvviso interesse: due donne assassinate, forse stuprate e gettate in acqua. Una coppietta le aveva trovate durante una passeggiata pomeridiana e aveva avvertito la polizia. «Mi sembrava che non avessero ancora diffuso i dettagli. Nemmeno i loro nomi.»

«Weber ha seguito un paio di poliziotti in un bar, ha offerto qualche birra e li ha fatti parlare. E ha scoperto l’intera storia.»

«E sarebbe?»

«Le due donne sono Tanya Brody e Selene Abeyta.»

Sammie impiega un minuto o poco meno a riconoscere i nomi, ma poi ricorda tutto. Le aveva intervistate entrambe dopo l’arresto di Seever, anche se ai tempi erano solo due ragazze all’ultimo anno di liceo. Avevano passato molto tempo a casa Seever, sbrigando faccende domestiche e facendosi pagare in contanti. Avevano accettato entrambe di parlare di lui e si erano presentate insieme all’intervista, perché erano amiche per la pelle e inseparabili.

«E meno male che lo siamo» aveva detto Tanya. «Se lui ci avesse sorprese da sole, probabilmente a questo punto saremmo morte.»

«Mi ha sempre dato i brividi» aveva confessato Selene, e insieme avevano riso. Una risata sarcastica, anche se questo Sammie non l’aveva scritto.

E ora, sette anni dopo, erano state uccise. Erano morte allo stesso modo in cui avevano vissuto: insieme. Sammie le ricorda ancora, ricorda le risatine e i gridolini mentre le intervistava, l’eccitazione per il loro quarto d’ora di celebrità, il modo in cui si erano scambiate la gomma da masticare, da una bocca all’altra. Ai tempi le aveva trovate irritanti, era stato un sollievo quando se n’erano andate, anche se le avevano fornito ottimo materiale per il suo articolo.

«Dici sul serio?» domanda.

«Sono serio come un attacco di cuore» risponde Corbin. «Quando sono state ritrovate, mancavano all’appello da diversi giorni. I poliziotti non sono scesi nei dettagli, ma hanno detto che sono state uccise con gli stessi metodi di Seever.»

«Pensano che Seever possa essere coinvolto?»

«Forse. È molto strano, due donne che forse ai tempi si stava preparando ad ammazzare che un bel giorno vengono uccise. Tu avevi ipotizzato che Seever avesse un complice. Potresti avere ragione, il tizio potrebbe aver deciso di portare a termine l’opera.»

«È possibile.»

Sammie esplora un angolo della bocca con la lingua. Osserva un bambino piccolo a qualche tavolino di distanza che sta facendo una strage con le patatine e il ketchup mentre la madre è occupata a scambiare messaggi e leggere email. Si alza e si avvicina al grande caminetto di pietra al centro della sala, dove fa meno freddo e c’è meno gente.

«Sam? Sei ancora lì? Maledetti cellulari…»

«Ci sono» risponde in tono secco. «Sono ancora qui.»

«Allora, darai una mano a Weber? Gli sarebbe utilissima per gli articoli che sta scrivendo, e il libro…»

«Il libro?»

«Ah, sì.» Corbin sembra imbarazzato, come se si fosse lasciato sfuggire un segreto che avrebbe voluto mantenere. «Un mio vecchio compagno di università fa l’agente letterario. Questo fine settimana è passato da Denver, e io gli ho raccontato di Seever e delle due donne. Era molto interessato, crede di poter trovare facilmente un editore.»

«Ma un libro su Seever è stato già scritto» obietta Sammie. Quel libro avrebbe dovuto scriverlo lei, ma i due autori erano stati più veloci, avevano sfruttato l’occasione e prosciugato la fonte fino all’ultima goccia. L’editoria è così, Sammie l’ha ormai imparato. Se non sei rapidissimo vieni lasciato nella polvere senza che a nessuno freghi niente.

«Sai bene quanto me che fa schifo» dice Corbin. «E i crimini di Seever, soprattutto se sono collegati a questi nuovi delitti, sono più che sufficienti a reggere un altro libro. Un bel libro. E il mio amico è d’accordo con me.»

Non era così che doveva andare. Non era così che Sammie si era immaginata la scena sotto la doccia, in attesa che il balsamo le penetrasse tra i capelli, recitandosela mentalmente come se Corbin fosse lì davanti a lei e la stesse pregando di tornare al «Post». No, non immaginava che sarebbe andata così, ma Sammie è un tipo sveglio, ed è già avanti di un passo: è un demonio agli scacchi, e la vita non è altro che questo, giusto? Una grande partita a scacchi.

«E se indagassi io stessa?» chiede, formulando lentamente la proposta. «E se ti scrivessi un pezzo su Seever o su questi nuovi omicidi? Qualcosa di meglio di quello che potrebbe fare Weber. Lo pubblicheresti?»

«Non lo so» risponde Corbin, ma lei avverte già la nota di eccitazione nella sua voce, e non può fare a meno di chiedersi se il piano non fosse sempre stato quello. Perché Weber non ha bisogno del suo aiuto, è abbastanza esperto da sapersela cavare, può farcela benissimo da solo. No, questo genere di tattica è tipica di Corbin: mettere due giornalisti uno contro l’altro, guardarli combattere e alla fine raccogliere la vincita. Se potesse trasformare la sua vita in un reality, complotterebbe fino a far votare la cacciata di chiunque altro dal gioco. «L’ho già promesso a Weber, non sarebbe corretto.»

«Non penso che un buon articolo debba essere corretto» ribatte Sammie, e sa di avere appena apposto il sigillo definitivo sulla cosa, perché Corbin non è un tipo corretto, pensa solo alle vendite, e se lei riesce a presentargli qualcosa di buono, qualcosa che porti la gente a tirare fuori il portafoglio e pagare, i giochi sono fatti. «Penso che debba funzionare, chiunque l’abbia scritto.»

«È quello che ho sempre ammirato di te» dice Corbin. «Faresti qualsiasi cosa per ottenere ciò che vuoi.»

«Mentiresti a chiunque, pur di prenderti ciò che vuoi» le aveva detto Hoskins, e ripensandoci Sammie tradisce una smorfia. Quasi le stesse parole. Poca differenza.

«Mi farò viva con qualche idea» taglia corto e termina la chiamata, perché è sempre meglio essere quella che mette fine alla conversazione, e non c’è bisogno di perdersi in saluti imbarazzati. In realtà Sammie sta già riflettendo su quale potrà essere il suo prossimo passo, immaginando la faccia di Weber quando si renderà conto che lei gli ha sfilato l’incarico da sotto i piedi. Meschino, lo sa, ma sarà un bel momento. No, non bello. Spettacolare.

«Riprenderai a scrivere per il giornale?» chiede Ethan alle sue spalle, e Sammie sobbalza per lo spavento ma subito dopo gli getta le braccia al collo. È al settimo cielo, ragione per cui ignora il modo in cui lui le cinge i fianchi e la stringe a sé. Sono tutti disturbi in sottofondo, perché adesso le si è presentata un’occasione, e una persona non ha bisogno d’altro. I topi possono infilarsi in buchi grandi la metà di loro, possono penetrare dove meno te lo aspetti, e lei ci è già riuscita una volta; era stata una lotta, arrivare a scrivere di Seever, per ottenere quel traguardo aveva dovuto fare cose sgradevoli, ma può riuscirci di nuovo. È lì davanti a lei, la feritoia da cui deve passare. Deve solo adattarsi.