Gloria
Apre il rubinetto della doccia, aspettando che l’acqua calda risalga le tubature, e guarda il proprio corpo nudo allo specchio. L’anno prossimo compirà cinquantasei anni, un’età rispettabile. Non sarà ancora abbastanza vecchia da perdere l’esercizio delle facoltà mentali, ma sarà matura a sufficienza. I seni sono stati i primi a cedere, da alti e sodi si sono trasformati in due sacche di carne penzolanti; avrebbe potuto farsi una plastica e sistemarli per l’eternità, i soldi li avevano, ma non l’ha fatto. L’idea di finire sotto i ferri non le piaceva, e così al posto della chirurgia ha comprato reggiseni e creme e panacee, ma nulla ha funzionato come promesso. Poi è toccato allo stomaco, che era sempre stato piatto e quasi concavo e che adesso è diventato una specie di ingombrante marsupio, anche se Gloria non ha mai partorito né è mai stata grassa. Ecco cosa significa invecchiare, si dice. I suoi occhi sono stanchi, le labbra segnate dalle rughe. Nel corso della sua vita avrà speso migliaia di dollari per migliorare il proprio aspetto, ma a quale scopo? Nulla di tutto questo ha importanza. Guardandosi allo specchio, Gloria vede soltanto se stessa.
Oggi però l’immagine che lo specchio le restituisce è diversa dalla solita. Il punto delicato del labbro superiore appena sotto il naso, dove il ragazzo-Jacky le ha premuto la mano sulla bocca, è ancora gonfio, e sullo zigomo sinistro sta spuntando un livido, anche se è poca cosa e può essere facilmente nascosto dal trucco. Le è bastato un velo di correttore e i detective che l’hanno tempestata di domande su Chris Weber non se ne sono neanche accorti. Tipico degli uomini: si lasciano sempre sfuggire i dettagli, vedono solo quello che vogliono vedere. I lividi sul suo viso e i suoi movimenti lenti e cauti, il modo in cui l’indolenzimento e la stanchezza le fanno caricare il peso sull’anca destra, per esempio: in piccola parte sono dovuti a quello che le ha fatto il ragazzo, ma derivano soprattutto dalle pulizie che lei stessa ha eseguito dopo che lui se n’è andato. Oh, sarebbe stato facile lasciare Chris Weber dov’era, chiamare la polizia e raccontare com’erano andate le cose; loro sarebbero stati costretti a crederle, non avrebbero dovuto fare altro che guardarla bene per sapere che diceva la verità. Ma Gloria odia i poliziotti, odia il modo in cui la trattano quando capiscono chi è, e così prima ancora di riflettere ha affrontato il problema come ha sempre fatto in passato. Ha sfilato le chiavi di Weber dalla sua tasca e ha spostato la sua auto in garage, poi ha chiuso la saracinesca, ha avvolto il corpo in una vecchia trapunta e l’ha trascinato attraverso la casa. Ha impiegato tre ore a fare nove metri, e una dozzina di volte è stata sul punto di arrendersi, ma il pensiero di avere in casa un cadavere era così disgustoso che le ha impedito di fermarsi. E poi era ormai troppo tardi per chiamare la polizia: avrebbero voluto sapere cosa stava cercando di fare con il corpo, perché aveva provato a spostarlo. E così lo ha trascinato in garage, raccogliendo la trapunta nelle mani e tirando, facendo una smorfia nell’udire i tonfi della testa dell’uomo sui gradini che portavano in garage, finché è riuscita a caricarlo sul sedile posteriore; poi, malgrado le fitte alla schiena e una stanchezza che non aveva mai provato in vita sua, si è dedicata alle pulizie. Ha ficcato la trapunta in lavatrice, ha tirato fuori gli utensili e ha pulito il sangue. Non ce n’era molto, tranne che nel punto in cui Weber era crollato a terra, ed è riuscita a eliminarlo quasi del tutto dal parquet: restava solo una vaga ombra rosso scuro che poteva benissimo essere una chiazza di vino rosso, ma lei l’ha ugualmente coperta col tappeto. Certo, se la polizia avesse deciso di svolgere i suoi test sul pavimento avrebbe scoperto la verità in un secondo: Gloria era una brava casalinga, ma non così brava. A quel punto si è messa al volante dell’auto di Weber ed è uscita dal garage, con l’intenzione di attraversare la città e abbandonarla in un parcheggio qualsiasi, ma invece ha deciso di rimetterla dove Weber l’aveva lasciata al suo arrivo. Non si considera una pigra, ma era stanca, e temeva che nello stato di spossatezza in cui era il suo cervello non sarebbe stato in grado di portare a termine alcun piano. L’ultimo pensiero cosciente che ha avuto prima di crollare sul letto e addormentarsi è stato per Jacky: com’era riuscito a fare tutto questo così a lungo?
Al risveglio Gloria ha chiamato la polizia e ha coperto le macchie di sangue sul divano con un telo di velluto. I due detective ci si sono seduti sopra, proprio sulle prove di cui avevano bisogno, e uno di loro le ha addirittura fatto i complimenti sulla morbidezza del tessuto, e lei ha dovuto sforzarsi di non ridergli in faccia. Era tutta una gran barzelletta… non necessariamente spiritosa, ma comunque una barzelletta. Sarebbe stato più semplice non avvertire la polizia, ma il pensiero che qualcuno, magari un bambino, Dio del cielo, potesse scoprire il corpo di Chris Weber l’ha costretta a prendere il telefono e fare il numero. E i poliziotti sono arrivati, hanno curiosato in giro e a quanto pare si sono accontentati della sua spiegazione: che lei sarà sempre presa di mira a causa di Jacky («Guardate solo cos’hanno scritto con la vernice spray sulla porta di casa!»), e che forse l’Assassino di Seconda Mano sta cercando di dire qualcosa. Gloria sa che prima o poi torneranno, ma non subito, perché non sospettano di una vecchia signora come lei.
Si guarda di nuovo allo specchio, si passa le dita sulle guance e tende la pelle. È invecchiata, certo, ma il volto che vede non è diverso da quello di ieri o del giorno prima. No, i veri mutamenti non sono così evidenti. Sono nella pelle tirata intorno agli occhi, nelle parentesi profonde che si sono formate ai lati della bocca. Per la prima volta Gloria si vede vecchia. Non è mai accaduto prima, neanche ai tempi dell’arresto di Jacky, nei mesi terribili del processo, quando lei non era sicura di cosa le sarebbe accaduto.
Il bagno è invaso dal vapore che fuoriesce da sopra la tenda della doccia, e Gloria passa una mano sullo specchio appannato creando un ventaglio pulito. Il ragazzo-Jacky l’ha baciata alla fine, un tenero bacio su un sopracciglio, carezzandole distrattamente la guancia. «Torno presto» ha detto, e poi se n’è andato. Lei è rimasta per un po’ sul divano, stringendosi al petto la gonna strappata e sentendo sulle gambe nude il soffio d’aria calda proveniente dalle bocchette di ventilazione. In quel momento, guardando il soffitto a buccia d’arancia, si è resa conto che Jacky avrebbe continuato a far parte della sua vita, in un modo o nell’altro, e che sarebbe sempre stato così, fino alla fine dei giorni.
«È il nostro piccolo segreto» le ha detto il ragazzo, e lei è sempre stata brava a mantenere i segreti, l’aveva fatto a lungo con Jacky, lo aveva protetto, forse era l’unica cosa che avesse mai fatto bene. Aveva mantenuto i suoi segreti per l’intera durata del loro matrimonio, finché aveva visto quella ragazza nel garage, legata e bendata, e anche allora sarebbe stata pronta a non dire nulla, a proteggere suo marito finché morte non ci separi, se quella notte non avesse sognato di tornare in garage, avvicinarsi alla ragazza, strapparle la benda dagli occhi e rendersi conto che non era un’estranea, che gli occhi che la guardavano erano i suoi.
Nell’armadietto ci sono delle pillole, alcune provengono dalle scatole dei farmaci prescritti a Jacky, medicine che Gloria non ha mai gettato, che si è portata dietro da una casa all’altra. Le pillole sono strane, da questo punto di vista: le si conserva, le si accumula anche quando non si ricorda più a cosa servono, anche quando sono ormai scadute, perché non si sa mai. E adesso lei ne ha bisogno, tira fuori le boccette arancioni e le sistema sopra il gabinetto. Riempie il bicchiere che usa per sciacquarsi la bocca dopo che si è lavata i denti e comincia, versandosi in mano qualche pillola da una boccetta, ingoiandole e poi bevendo l’acqua in un’unica sorsata che le procura una fitta di dolore al centro della fronte, finché sente il ventre gonfio e rigido. Pensa al garage mentre manda giù il sapore amaro delle pillole, la Boom Boom Room, e pensa alla ragazza con i polsi e le caviglie legati e la benda sugli occhi. Lei si era accorta della sua presenza e le aveva chiesto aiuto, ma Gloria si era allontanata, era andata a cucinare la cena e poi a letto e il mattino dopo si era recata in biblioteca e aveva chiesto di usare il telefono, perché non le era venuto in mente nessun altro posto in cui andare, erano anni che non vedeva più un telefono pubblico e non sapeva dove trovarne, e una telefonata del genere non voleva farla da casa. La bibliotecaria era stata più che lieta di farle usare l’apparecchio perché i Seever erano generosi nelle loro donazioni, e Gloria le aveva sorriso e aveva atteso che si allontanasse prima di comporre il numero.
«Ho informazioni riguardo a un caso su cui state indagando» aveva detto a bassa voce. Il suo tono era amabile, per evitare che qualcuno si preoccupasse e le si avvicinasse. Un bambino le era passato davanti di corsa e le aveva sorriso, e lei aveva ricambiato agitando le dita come se fosse tutto normale, un giorno come un altro, quando in realtà non aveva mai sentito un tale freddo, un tale vuoto dentro di sé. «Quelle persone scomparse che state cercando, le ho viste entrare in una casa e non uscirne più. Sì, posso darvi l’indirizzo. E vorrei restare anonima.»
Gloria apre un’altra boccetta, ne fa uscire altre compresse. Prosegue a versare fino a riempirsene la mano.
«Tu lo ami, vero?» le ha chiesto il ragazzo riabbottonandosi i calzoni. Scuoteva la testa, sbalordito o ammirato. «Tutto quello che hai fatto per lui… Sei la moglie perfetta.»
Quella ragazza in garage doveva avere freddo, perché aveva la pelle d’oca. Era in mutande e maglietta, e le sue labbra erano violacee.
Gloria affonda la faccia nell’asciugamano appeso. È uno di quelli ruvidi, e le fibre del tessuto le graffiano la pelle. Di solito li usa per asciugare gli spargimenti d’acqua, non sa come questo sia finito in bagno, ma ormai non ha importanza. Scosta la tenda ed entra nella doccia, facendo attenzione a posare i piedi sui fiori gialli adesivi sul fondo della vasca per non scivolare.
La ragazza aveva implorato il suo aiuto. E lei era rientrata in casa e aveva richiuso il lucchetto. Poi aveva preparato la cena. E adesso la ragazza è morta. Finalmente morta. Gloria l’ha visto al telegiornale pochi giorni fa.
Richiude la tenda della doccia ed entra sotto il getto. L’acqua è bollente, e lei la lascia scorrere sulle spalle, sentendola bruciare lungo tutto il corpo.