Sammie
Sammie fa appena in tempo ad arrivare in bagno. Spalanca la porta di metallo della cabina, facendola rimbalzare contro la parete con tale forza che le colpisce la spalla di rimando e per poco non la fa cadere. Il cibo che le risale dallo stomaco e le schizza fuori dalla bocca è ancora denso e fibroso. In parte ha la stessa consistenza di quando l’ha ingerito: fili di insalata, pezzi di salame, grumi di pomodoro.
Sammie fa scorrere l’acqua, si lava le mani e si sciacqua la bocca con cura per cancellare il cattivo sapore, cercando di eliminare anche i frammenti imprigionati negli angoli più lontani, i resti tra le parti molli delle guance e le gengive. Il labbro superiore e la fronte imperlati di sudore, prende a rovistare nella borsetta in cerca di una mentina o di una gomma, perché non vuole che Hoskins senta odore di vomito nel suo alito. Se mai riuscirà a parlarci. In fondo alla borsa trova una striscia di gomma ancora parzialmente incartata. Dovrà bastare. Se nel bagno ci fosse una scorta di salviette di carta ne bagnerebbe una e se la premerebbe sulla nuca per far passare la nausea, ma ci sono solo gli asciugatori ad aria calda. Cazzo di riscaldamento globale, non si riesce neanche più a trovare una salvietta di carta.
Era ancora fuori ad aspettare Hoskins quando lui è uscito dalla villetta; intenzionata a non lasciarselo sfuggire senza aver fatto almeno un altro tentativo, Sammie l’ha notato mentre si faceva largo tra la gente, ma non ha visto cos’è successo a quel punto, ha solo udito le grida e sentito avanzare la folla. Ha aggredito un ragazzo, ha detto qualcuno. Per nessun motivo. L’ha placcato e l’ha scaraventato contro una macchina. Ha cercato di strozzarlo.
Poi è arrivata un’ambulanza, hanno caricato Hoskins e Sammie li ha seguiti fino all’ospedale, e da allora è in attesa di avere sue notizie. Ha informato l’addetta all’accettazione che è lì per lui, ma lei è sembrata totalmente disinteressata e l’ha congedata con un cenno della mano. E così è rimasta seduta in sala d’aspetto con i drammi di Divorce Court diffusi silenziosamente dal vecchio televisore che pende da un angolo, abbozzando lo schema di un articolo sul retro di una ricevuta pescata dal cestino della cartastraccia. Non ha altro di cui scrivere che Corbin possa essere interessato a pubblicare a parte questo, se riuscirà mai a scoprire cos’è successo dietro quel nastro giallo. Ha qualcosa a che fare con Seever, Sammie lo sa: per quale altro motivo Loren avrebbe dovuto travestirsi in quel modo e fargli visita in carcere? Sammie deve scoprire di che si tratta prima che lo faccia Chris Weber, il quale sarà di sicuro al corrente della sua telefonata con Corbin e del fatto che ora sono in concorrenza. Probabilmente Corbin l’ha chiamato non appena ha finito di parlare con lei, giusto per stuzzicarlo. Corbin è fatto così: farebbe qualsiasi cosa pur di strappare un bell’articolo ai suoi giornalisti.
Certo, si dice Sammie, ottenere qualche informazione da Hoskins non è poi così importante. Perché in realtà lei ha in mano la storia dell’anno, forse addirittura del decennio. Le basterebbe scriverla: Sono andata a letto con un serial killer.
Se arriverà a quel livello di disperazione, la scriverà. Laverà i suoi panni sporchi in pubblico, raccontando la storia di quando lavorava in uno dei ristoranti di Seever, del modo in cui Seever flirtava con lei, dei suoi commenti carichi di sottintesi, fino alla sera in cui erano rimasti soli nel locale e si erano accoppiati sul banco di acciaio in cucina. Sammie aveva solo diciannove anni e Seever era molto più anziano, ed era una cosa da cui lei era sempre stata attratta, la combinazione di età, potere e denaro, e la relazione era andata avanti per mesi prima che le venisse offerto un lavoro che non poteva rifiutare alla biblioteca universitaria; a quel punto aveva lasciato il ristorante e la tresca era finita così, improvvisamente. Sammie non aveva più rivisto Seever fino al processo, e anche lì sedeva sempre in fondo all’aula, dove c’erano abbastanza persone a separarli e dove lui non avrebbe potuto notarla.
Oh, potrebbe scrivere di Seever e avrebbe un pubblico attento: la gente penderebbe dalle sue labbra. Potrebbe descrivere il modo in cui lui le afferrava i fianchi nudi tra le mani per penetrarla meglio, la sensazione delle sue dita callose sulla pelle. Potrebbe raccontare che gli piaceva legarla, oppure che una volta le aveva chiesto di annodargli la manica della camicia intorno al collo e stringere mentre lui si masturbava, ma non ce la fa. Vuole riprendere a scrivere ma il suo amor proprio le impedisce di spingersi fino a lì, perché a quel punto la gente la guarderebbe in faccia e saprebbe, Dean compreso, e lei non vuole vedere il disgusto nei suoi occhi. La fa rabbrividire, il pensiero che un giorno tutti potrebbero sapere queste cose di lei, e come potrebbe difendersi? Dicendo che era troppo giovane, che voleva solo divertirsi, che non sapeva che fosse un assassino? È tutto vero, ma non importerebbe a nessuno, perché l’unica cosa che conta è lo scandalo.
Sammie stava riflettendo su queste cose quando le si è rivoltato lo stomaco ed è dovuta correre in bagno. La causa del vomito è Seever, si dice. Non riesce a trovare altra spiegazione, poiché i problemi di stomaco erano cominciati poco dopo che si era messa a lavorare sul caso Seever, poco dopo che aveva iniziato la relazione con Hoskins, e da allora erano progressivamente calati fin quasi a scomparire. Ma ancora adesso, se pensa a Seever e a quel periodo della sua vita le si impasta la lingua e le si capovolge lo stomaco. Le prime volte che era successo aveva provato con un’autodiagnosi, era andata online e aveva cercato i sintomi, aveva provato a penetrare nella propria testa e capire il perché di quel sapore nauseante che sentiva alla base della lingua dopo ogni pasto, della contrazione che avvertiva in gola e dello strano piacere che provava a svuotarsi lo stomaco dopo averlo riempito di cibo. Forse, si era detta, le succedeva tutto questo perché Seever era diventato così grasso col passare del tempo, o forse perché aveva appetiti così smisurati per il cibo, per l’omicidio, per la vita, o magari era lo stress, perché era difficile scrivere di un uomo che tutti odiavano tanto, anche se lei era brava a fingere che non lo fosse, a farlo sembrare facile. O forse non aveva niente a che vedere con gli uomini nella sua vita, o col suo lavoro: forse stava semplicemente cercando di restringersi, di ridursi al minimo, di rimpicciolire finché non fosse rimasto niente di sé.
Sammie sta uscendo dal bagno quando suona il cellulare. È Dean.
«Dove sei?» le chiede preoccupato. È la cosa migliore del matrimonio: il fatto che a casa c’è sempre qualcuno che ti aspetta.
È anche la cosa peggiore.
«Sei all’ospedale?» prosegue Dean. «Va tutto bene?»
Quando qualche mese prima suo marito l’aveva sorpresa con un nuovo telefono, l’idea che potesse essere qualcosa di diverso da un bel dono non l’aveva neanche sfiorata. Era un modello recentissimo, con una custodia rosa shocking, dotato di tutti i gadget e gli accessori. Era stato solo in seguito che Sammie aveva scoperto che grazie al telefono Dean era in grado di rintracciarla in qualsiasi momento consultando un sito Web, come se lei fosse un animale con un chip di localizzazione. È una funzione che hanno tutti i cellulari, le aveva spiegato, e Sammie gli aveva creduto, e se quel puntino azzurro luminoso sullo schermo era tutto quello di cui Dean aveva bisogno, lei glielo avrebbe concesso.
«Sto bene» risponde. «Non sono io, è… Heather.» Nel tessere la menzogna tradisce un istante di esitazione. Negli ultimi tempi è fuori allenamento, ma non può dire la verità a suo marito. Se lui scoprisse che è lì per Hoskins le creerebbe una quantità di problemi, perché malgrado abbiano affrontato la terapia di coppia, ne abbiano parlato e abbiano fatto tutto il possibile, Dean pensa ancora che lei voglia scoparsi Hoskins.
«Heather?»
«Sì, hai presente, la mia collega, quella che vende gli, ehm… gli oli essenziali?»
«No.»
«Quella carina, te ne ho parlato. Temo abbia un’infezione intestinale. Forse un frutto marcio che ha mangiato in pausa pranzo.»
«Come sta?»
«Non lo so. Sono in sala d’aspetto. Non me ne posso andare, non so ancora se suo marito verrà a prenderla.»
«A che ora pensi di rientrare?»
«Ah, non lo so.» Si accorge che qualcuno è entrato in sala d’attesa. Alza gli occhi e si ritrova davanti Chris Weber, che si fa paonazzo non appena la vede. «Eccola. Devo andare, cerco di tornare presto.»
«Quando Corbin mi ha detto cosa stavi combinando, credevo che mi stesse prendendo per il culo» dice Weber avvicinandosi impettito. Indossa giacca, pantaloni con la riga e dolcevita. Ai primi tempi al «Post» girava in jeans e felpe. Indumenti da strada. Ha fatto carriera. È diventato un reporter serio. «Cosa diavolo ci fai qui?»
«Aspetto che un amico venga dimesso dal pronto soccorso» ribatte gelida Sammie. «E tu?»
«So che quello in corsia è Hoskins» insiste Weber facendosi sotto. «Questo incarico è mio, e se non ti levi dai coglioni te ne farò pentire.»
È più alto e più grosso di lei, e probabilmente è abituato a intimidire la gente con la sua mole. Ma Sammie ha passato anni in redazione, ha imparato a rispondere in fretta e a fare la dura, a imprecare come un marinaio e a reggere l’alcol. Quando giochi con i maschietti ti devi comportare da maschietto, e dopo tutti quegli anni al «Post» un uomo in dolcevita non le crea problemi.
«E cosa mi fai?» gli chiede. «Mi spezzi le gambe? Lo dici alla mia mamma?»
«A che gioco stai giocando? Questa storia è mia.»
Sammie gli scoppia a ridere in faccia. È una bella sensazione, non dover essere amabile, gentile e disponibile come è costretta a essere ogni giorno in negozio.
«Cosa sei, nuovo del giro?» ribatte. «Non è la tua storia. È a disposizione di tutti, chiunque può vincere l’oro.»
«È la mia occasione» protesta Weber. «Sai cosa ho dovuto fare per ottenere questo incarico?»
«Cosa? Hai dovuto rubare? Barare? Succhiare cazzi?»
«No.» Fa un passo indietro, sconcertato dal vetriolo nelle sue parole. Non può non aver sentito le voci che girano su Sammie, e di sicuro sa cosa ha dovuto fare lei, e di cosa è capace, ma sembra lo stesso sorpreso. «Niente del genere.»
«O magari l’assassino sei tu» sussurra lei facendo un passo avanti. Lo sta semplicemente provocando, ma gli vede guizzare un’emozione sul volto: è shock o rimorso? Ma prima che riesca a capirlo è svanita. «Sarebbe un modo perfetto per dare una bella spinta alla tua carriera, giusto? Ammazzare un po’ di gente come se fosse opera di Seever. A quel punto saresti lanciato, no?»
«Sembra una cosa che potresti fare tu, non io» dice Weber. «Quest’ultimo anno ti sarai sentita molto sola, con quel tuo patetico lavoretto in negozio.»
«Oh, piantala» sbotta Sammie con rabbia. Sente abbassarsi gli angoli della bocca, e la ruga tra le sopracciglia le si fa più marcata. È furiosa, e la collera non è attraente. «Credevi che sarebbe stato facile, vero? Che Corbin distribuisse gli incarichi senza fare calcoli, che io avrei implorato di aiutarti? Ma non è così che funziona.»
In quel momento Hoskins entra in sala d’attesa. Si ferma ad ascoltare l’impiegata dell’accettazione, poi guarda Sammie. Ha un cerotto di traverso sul dorso del naso e si preme una borsa del ghiaccio sulla nuca.
«E adesso levati dalle palle, che ho un articolo da scrivere» taglia corto Sammie, dandosi una sferzata ai capelli e allontanandosi da Weber.
«Cosa ci fai qui?» le chiede Hoskins. Non sembra felice di vederla ma nemmeno troppo contrariato, e Sammie lo prende come un buon segno. A quanto pare non si è neanche accorto di Weber. «Mi stai ancora seguendo?»
«Hai una pessima cera.»
«Proprio quello di cui ho bisogno. Che qualcuno mi faccia notare che aspetto ho dopo che mi hanno spaccato la faccia.»
«Ho saputo che te lo sei meritato» dice Sammie, e lui la fissa battendo le palpebre. Il bordo interno della narice sinistra è percorso da una linea di sangue incrostato. «Cos’è, adesso vai in giro a picchiare i ragazzini?»
Hoskins sbuffa dal naso, poi si prende la testa tra le mani con un gemito.
«Gesù, che male.»
«Ti offro un caffè» dice Sammie posandogli la mano sul braccio e conducendolo via, lontano da Weber, il quale ha l’aria di chi ha appena incassato un calcio negli zebedei abbastanza forte da trasformarli in tonsille. Ma si riprenderà in fretta, e Sammie vuole essere lontana quando accade, e sola con Hoskins. «Magari anche la cena.»
«E tu in cambio cosa ottieni?» chiede Hoskins, ma dal modo in cui la guarda lei sa già che ha capito cosa vuole: il suo racconto. Come ai vecchi tempi.
«Il piacere di aiutare un buon amico.»